Non solo scimpanzé, ma anche passeri e insetti sono in grado di trovare piante medicinali di aiuto per combattere le infezioni parassitarie, sia come terapia sia come profilassi. Un nuovo studio passa in rassegna i risultati delle ricerche su questi comportamenti, la cui diffusione, oltre a suggerire un possibile meccanismo evolutivo, può servire da ispirazione per la ricerca di nuovi principi attivi da sfruttare in ambito farmacologico.
Anche gli animali selvatici hanno una forma di “automedicazione”: numerose specie vanno alla ricerca di erbe medicinali che difendono dai parassiti. Ma qual è il significato evolutivo di questi comportamenti? Servono davvero ad adattarsi meglio all’ambiente? Un nuovo rticolo di commento pubblicato sulla rivista "Science" a firma di J.C. de Roode della Emory University di Atlanta e colleghi passa in rassegna gli studi in questo campo e ne discute le conclusioni.
Uno degli esempi più noti di automedicazione tra gli animali è quello degli scimpanzé che vanno alla ricerca di specifiche erbe medicinali per curare le proprie malattie. L'osservazione di questo comportamento ha portato a ritenere che sia legato a capacità cognitive di alto livello, ma studi recenti hanno dimostrato, per esempio, che anche passeri e fringuelli raccolgono cicche di sigarette e le portano nei loro nidi, usando la nicotina per ridurre l'infestazione di acari. In effetti, negli ultimi anni l'insieme degli “animali farmacisti” si è ampliato sempre di più fino a comprendere formiche e moscerini, suggerendo quindi che si tratti di comportamenti innati.
In realtà, spiegano de Roode e colleghi, il problema dell'automedicazione negli animali è assai complesso. Anche se ci si limita al fenomeno meglio descritto e conosciuto, e cioè la difesa dai parassiti, si possono distinguere interventi curativi, quando l’infezione è già in atto, o di profilassi, cioè per prevenire il parassitismo; inoltre i medicamenti possono essere utilizzati per se stessi oppure per difendere la prole.
L'unico dato incontrovertibile è che l'automedicazione è molto diffusa, ma per stabilire che si tratti di comportamenti di carattere adattivo, ricorda De Roode, occorre che siano soddisfatte diverse condizioni, in particolare che rappresentino la risposta a un imput ambientale (l'infezione parassitaria) e che tale risposta dia un vantaggio evoluto.
Gli studi in realtà, mostrano soltanto l'utilità dell'automedicazione, ma non ne indagano con rigore le ragioni e le conseguenze evolutive, per esempio sull'evoluzione dl sistema immunitario e la coevoluzione ospite-parassita.
La presenza di questi comportamenti, inoltre, dovrebbe essere tenuta in conto nell’ambito della produzione di cibo per il consumo umano: nel caso dell’apicoltura, per esempio, occorre prestare attenzione a non interferire con le capacità di automedicazione delle api. E il fenomeno ha implicazioni anche per la medicina umana: studiare approfonditamente le sostanze usate dagli animali per l’automedicazione a fini terapeutici potrebbe servire nella ricerca di nuovi principi attivi da usare per nuovi farmaci.