In un pianeta colpito dal global warming, la geografia della produzione mondiale di vino cambierà, spostandosi dalle zone tradizionalmente adatte alla coltivazione della vite, come l’area del Mediterraneo, verso regioni più fresche. E a risentirne sarà la biodiversità in zone particolarmente sensibili, come quelle montane. È quanto sostengono sui "Proceeding of the National Academy of Sciences".
Lee Hannah, del Betty and Gordon Moore Center for Ecosystem Science and Economics ad Arlington, in Virginia, e colleghi, di un'ampia collaborazione internazionale.
La coltivazione dei vitigni dipende in modo critico dalle condizioni di temperatura e di umidità. Particolarmente favorevole è il clima delll'area mediterranea, caratterizzato da estati calde e secche e da inverni freddi e umidi, che si riscontrano anche in California, Cile, Sudafrica e sulle coste meridionali dell’Australia. Queste cinque regioni, sono comprese nelle nove maggiori aree produttive del mondo, insieme con altre in cui il clima non è di tipo mediterraneo, come la Nuova Zelanda e una zona diversa dell'Australia, e infine l’Europa del Nord e l’America nordoccidentale. Il primo risultato dello studio è che le zone con clima di tipo mediterraneo diventeranno tendenziamente troppo calde per sostenere l'attuale produzione di vino, mentre quelle con clima attualmente più freddo potranno aumentare la produttività proprio in virtù dell'incremento delle temperature.
Più in dettaglio, l'estensione delle aree idonee alla coltivazione della vitesubirà una forte contrazione in Cile (tra meno 19 e meno 25 per cento, secondo i modelli utilizzati), nell’Australia con clima di tipo mediterraneo (tra meno 73 e meno 69 per cento) e nell’Europa a clima mediterraneo(tra meno 70 e meno 60 per cento), interessando in particolare zone tradizionali di produzione di vini di pregio come il Bordeaux e la valle del Rodano, in Francia, o la Toscana, in Italia.
Al contrario, in zone ora poco adatte il fenomeno sarà di segno opposto, con un incremento del 189-231 per cento nel Nord America e dell’84-99 per cento nel Nord Europa.
Nei prossimi decenni è previsto anche un aumento della domanda di vino, che allargherà il suo mercato anche nelle economie emergenti. Per tenere il passo, i produttori tradizionali che vedranno ridursi i terreni idonei alla coltivazione dovranno ricorrere a tecniche agricole che aumentino la resa dei raccolti, oppure spostarsi verso altre zone, con un notevole impatto ambientale. L’avviamento di una nuova coltivazione di vite prevede infatti la rimozione della vegetazione nativa, seguita da un'aratura profonda e dalla fumigazione con bromuro di metile o con altri composti chimici per di sterilizzare il suolo, e infine dall'applicazione di fertilizzanti e funghicidi.
Uno dei fenomeni prevedibili è che molte coltivazioni si sposteranno verso altitudini maggiori, alla ricerca di temperature più fresche: ciò comporterà la modificazione degli ecosistemi delle regioni montane. Inoltre, le pratiche d'irrigazione porteranno a un ipersfruttamento delle risorse idriche.
Nei prossimi decenni, la coltivazione mondiale della vite si troverà dunque di fronte a una duplice sfida: riuscire a mantenere o addirittura aumentare gli attuali livelli di produzione e di qualità e farlo in modo sostenibile per l’ambiente. Gli studi come quello di Hannah e colleghi possono contribuire a rendere prevedibili gli effetti più deleteri di questo processo.
Per i paesi come l'Italia e la Francia, invece, il problema fondamentale sarà di tipo economico e culturale, per i mutamenti imposti ad aree geografiche la cui economia è tradizionalmente legata alla produzione di vini di pregio che, secondo le previsioni, potrebbero un giorno portare un'etichetta scandinava.