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Scientia Antiquitatis
giovedì 11 settembre 2014
Pianeta scimmia: Il lato genetico dell'intelligenza degli scimpanzé.
La variabilità delle capacità cognitive negli scimpanzé è spiegata per il 50 per cento da fattori genetici. La componente attribuibile all'ambiente è quindi rilevante, ma meno importante di quanto ritenuto finora. Il risultato apre la strada alla comprensione dell'origine genetica dell'intelligenza in tutto il gruppo dei primati e può aiutare a determinare i geni responsabili delle capacità specifiche dell'essere umano.
Alcuni scimpanzé sono più intelligenti di altri e metà della variabilità individuale che si rileva statisticamente è dovuta alla componente genetica, che si trasmette di generazione in generazione. È questa la conclusione di uno studio apparso sulla rivista “Current Biology” a firma di William Hopkins della Georgia State University, ad Atlanta, che aiuta a capire come si sono sviluppate le abilità cognitive dei primati.
Nel caso degli esseri umani, l'importanza della genetica rispetto a quella dell'ambiente nel determinare il livello di intelligenza è un tema che è stato dibattuto ampiamente nel grande alveo del dilemma “Nature vs Nurture”. Le ricerche di genetica del comportamento, in particolare con gli studi sui gemelli, in cui si misurano i quozienti intellettivi (QI) di gemelli omozigoti che hanno vissuto in famiglie diverse e li si confrontano tra di loro e con quelli dei genitori naturali e adottivi, hanno dimostrato che le prestazioni nei test d'intelligenza di un soggetto dipendono dai fattori genetici, anche se il contributo dell'ambiente è comunque considerevole.
Il rapporto tra geni e intelligenza per altri animali invece non ha ricevuto finora la stessa attenzione. In quest'ultimo studio sono stati considerati i dati relativi alle abilità cognitive di 99 scimpanzé di età compresa tra 9 e 54 anni. I ricercatori hanno trovato che circa il 50 per cento della variabilità delle prestazioni degli scimpanzé in una serie di test cognitivi standardizzati è attribuibile a fattori genetici. In particolare, è emerso che gli animali vissuti in cattività, e quindi cresciuti e accuditi da esseri umani, non si sono comportati meglio di quelli vissuti allo stato brado e quindi svezzati e cresciuti dalla madre.
Gli studi sull'intelligenza degli scimpanzé sono importanti per capire le radici genetiche delle capacità cognitive nell'intera famiglia dei primati, e offrono un canale privilegiato per chiarire molti aspetti di questo problema. Per esempio, consentono agli studiosi di mettere da parte tutti i problemi di valutazione delle differenze socio-culturali tra i diversi individui o delle differenze nei sistemi scolastici frequentati.
I risultati di questo studio in particolare permettono di ipotizzare che le differenze nelle capacità cognitive nei primati derivano da un comune antenato di esseri umani e scimpanzé vissuto cinque milioni di anni fa.
“Per ora non è noto quali geni o gruppi di geni possano essere responsabili delle differenze cognitive individuali”, spiega Hopkins. “Tuttavia, cercare di capire quali siano può portarci a individuare i cambiamenti genetici da cui possono essere scaturite alcune capacità prettamente umane”.