venerdì 15 marzo 2013

Oceania: Vestire il corpo.

"...mia bisnonna mi avvolgeva nel siapo ai tempi in cui i balenieri percorrevano le coste antipodee per il bottino". ( C. Barford ).






I resoconti dei primi esploratori in Oceania abbondano di descrizioni dettagliate e disegni che illustrano la grande varietà di modi di svestire/vestire incontrati in quei mari esotici: dai maestosi mantelli di piume rosse e oro dei nobili hawaiani alla nudità pressoché integrale degli aborigeni australiani, facili indici di relativa civiltà nella letteratura etnocentrica coloniale.
Gli stessi esploratori e i commercianti che li hanno seguiti hanno introdotto nuovi materiali nei repertori del vestire, come i tessuti scambiati con gli indigeni.
In seguito i missionari, in particolare i protestanti accompagnati dalle mogli, hanno dedicato molte attenzioni ed energie alla dimensione del vestire, e all'importazione di un senso del pudore basato sulla moralità vittoriana.
L'adozione di abiti di foggia occidentale era interpretata come segno esteriore di civilizzazione e conversione.
Di certo le trasformazioni socioculturali avvenute in Oceania dal XIX secolo sono facilmente identificabili nell'abbigliamento: quasi ovunque è diffusa tra le donne una variazione degli ampi scamiciati in cotone, adattamenti degli abiti europei al clima tropicale; meri blaus in Nuova Guinea, robe mission in Nuova Caledonia e tipula a Tahiti.
Questi abiti non sono semplicemente derivati da un nuovo ordine imposto.
Secondo gli antropologi Kuchler e Graeme sono parte intregante dei nuovi modi di essere e di pensare emersi grazie alla reazione creativa degli indigeni agli imput esogeni, e sono entrati a far parte del bagaglio indentitario delle donne indigene.
Per Colchester l'abbigliamento europeo non ha sostituito né è stato inserito nella cornice preesistente, bensì vi è stato aggiunto.
Soprattutto nei contesti cerimoniali, dove si tende a favorire l'uso di abiti tradizionali, la coesistenza di realtà stratificate o parallele si manifesta, per esempio, nell'abbinamento di gonne di tapa o di foglie con reggiseni o altre forme di copertura innovative ma confezionate con materiali locali.





Una donna Maisin dipinge una tapa

L'abbigliamento tradizionale Maisin e di altre popolazioni della Oro Province era costituito da gonne (per le donne) e perizomi (per gli uomini) in tapa.
Oggi le tapa sono riservate alle occasioni festive e cerimoniali, ma continuano a essere importanti come beni di scambio e sono diventate simboli culturali nel contesto nazionale.
Sono le donne a produrre e dipingere la tapa.
Dopo la preparazione, tracciano con tinture naturali nere le due linee parallele che formano il disegno e inseriscono i punti e trattini decorativi, in seguito usano una tintura rosso-bruna per riempire lo spazio intermedio tra due linee nere parallele.







I tipici disegni composti da circonvenute linee parallele riprendono gli schemi grafici ed estetici che adornano i volti tatuati delle donne, e sono riconosciuti in tutta la Papua Nuova Guinea come maisini.
Secondo John Barker, è stato grazie alla tradizione di tapa che i Maisin hanno potuto contare su una fonte di redditoalternativa ai progetti di sviluppo legati alla deforestazione della loro terra per vederne il legname.





Kahu topuni, mantello da guerra maori, Nuova Zelanda, inizi del XIX secolo, Auckland War Memorial Museum


Mantelli come questi venivano indossati dai capi di battaglia.
Come altri emblemi del mana o potere spirituale delle persone di rango elevato, erano indumenti tapu che dovevano essere trattati con riguardo e avevano la funzione di proteggere i leader che li indossavano e allo stesso tempo contenere il potere che essi incarnavano.
Il mantello prodotto con fibre di lino intessute, è orlato con pelliccia di cane, simbolo di prestigio in tutta la Polinesia.
La tessitura era un'attività specializzata riservata alle donne.
Nel 1836 questo mantello è stato donato dalla tribù Arawa a quella Ngaiterangi, come offerta di pace a conclusione di una sanguinosa guerra tribale. 






Dopo il raccolto di ignami, nei villaggi Trobriand si celebra il mila mala, un periodo di feste, divertimenti, danze e giochi.
Le gonne in fibra vegetale, che per le feste sono composte di diversi strati e tinte a colori sgargianti, sono beni femminili scambiati dalle donne in importanti occasioni cerimoniali.
Le ragazze imparano dalla madre e dalle zie a confezionarle; ne esistono di fogge, lunghezze e colori diverse, per segnalare status e relazioni sociali particolari.
Durante le mestruazioni e il lutto si porta una gonna più lunga.
Nella vita quotidiana le donne ne indossano due: quando devono lavorare tolgono quella superiore per non rovinarla e rimangono con la sottogonna, una gonna vecchia e sbiadita.




Taumi, pettorale per guerrieri tahitiani, Londra, British Museum 

I pettorali Taumi erano indossati dai capi dei guerrieri di Tahiti, nelle isole della Società.
Testimonianze della seconda spedizione del capitano Cook descrivono accesi combattimenti tra canoe; i capi guerrieri, in piedi sulle piattaforme delle canoe, si distinguevano grazie al Taumi che indossavano.
Le piume sono fissate a una base rigida costituita da una struttura in canne intrecciate con fibra di cocco, il che fa pensare che il pettorale avesse anche una funzione protettiva.
Le piume multicolori, i denti di squalo e la frangai di pelliccia canina sono applicati in maniera da dare risalto ai colori e ai disegni geometrici.
Sia le piume sia la pelliccia di cane erano materiali pregiati in Polinesia, e riservati ai ranghi elevati della società.
Testimoninze storiche rivelano che i tahitiani ottenevano la pelliccia di cane e la madreperla attraverso scambi commerciali con le Isole Tuamotu, in cambio di tapa.