giovedì 4 aprile 2013

Italia: La storia sacrificata agli Ex Mercati Generali a Roma.




Un silenzio quasi irreale. Infranto solo dal garrire dei gabbiani che volteggiano a bassa quota. Da quello di alcuni esemplari di una particolare specie di uccelli che amano le zone acquitrinose. Il Piazzale delle Erbe è una spianata di ghiaia nella quale, alle due estremità, spiccano le due torri dell’acqua. Ci sono anche due grandi gru ma appaiono immobili. A breve distanza, di fronte allo spazio coperto nel quale era ospitato il Mercato del pesce, tantissimi prefabbricati, di varie dimensioni, usati come uffici in periodi differenti. Ci sono anche mezzi di cantiere, un’infinità di assi di legno, un po’ accatastati in maniera ordinata, altri gettati a terra. Non mancano una gran quantità di materiali di risulta, soprattutto edilizi. Parte ancora disposti a cumulo. Poi sul lato verso la ferrovia, un’area ancora più depressa,  c’è una sorta di laghetto. Con tanto di vegetazione, spontanea, del tipo lacunare. 
Siamo all’Ostiense, non lontano da Porta S. Paolo da una parte, e gli uffici e alcune facoltà di Roma 3, dall’altra. Siamo nell’area degli ex Mercati Generali. Dall’esterno della recinzione del grande cantiere non si vede quasi nulla. Ma è sufficiente percorrere il nuovo avveniristico ponte che collega l’Ostiense con la Garbatella, intitolato a Settimia Spizzichino e sporgersi da uno dei parapetti per poter guardare dentro. Per verificare come procedano i lavori. Per rendersi conto di quel che accade. A dieci anni dall’avvio di uno dei progetti che avrebbero cambiato Roma. A detta dell’allora sindaco capitolino, Walter Veltroni.
Era il 2003 quando l’astro nascente della politica di sinistra si fece promotore de “La città dei giovani”, un progetto firmato da Rem Koolhas che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto garantire un luogo multifunzionale di aggregazione. Librerie e biblioteche, un palazzetto dello sport, cinema, negozi, ristoranti, due centri gastronomici, una grande mediateca e un centro fitness. In realtà, nella sostanza, un centro commerciale, come Porta di Roma, come Euroma. Un progetto di riqualificazione dalla gestione non facile. Per quel che riguarda sia i tempi che le procedure. Problemi di budget. Non certo causati dalle indagini archeologiche preliminari, come da programma, realizzate su indicazione della Soprintendenza archeologica di Roma. Peraltro non sull’intera superficie disponibile. Né tantomeno dai successivi rinvenimenti. Straordinariamente importanti.
Tracciati stradali e, soprattutto, una straordinaria opera di bonifica, presumibilmente connessa ad un utilizzo ad horti dell’area. Centinaia di anfore betiche, lusitane, ma anche africane, utilizzate, in vario modo, per bonificare, per rendere l’area parafluviale e quindi acquitrinosa, coltivabile.
Un sito che, forse unico nel proprio genere, se non altro per la sua estensione, nell’intero ambito italiano, avrebbe meritato di essere conservato. Per tutti, ma forse, soprattutto, proprio per quei giovani ai quali sarebbe stato dedicata la cittadella veltroniana. Invece, niente. I resti scoperti quasi immediatamente, sotterrati sotto circa 1 metro di inerti e stabilizzati dal passaggio di mezzi meccanici.


La possibilità che si potesse ripensare il progetto iniziale, alla luce delle scoperte, neppure presa in considerazione. Quella pagina di storia, nuovamente finita sottoterra. Questa volta con davvero esigue speranze di poter, in futuro, essere ancora scavata. Il cemento armato della nuova struttura non sembra lasciare alcuno spazio a nuove ricerche. Così si accresce il rammarico per non aver utilizzato i rinvenimenti come occasione. Per riprogettare la riqualificazione. Inserendovi le strade basolate e le significative opere di bonifica.  Seguendo un indirizzo che altrove, in Europa, è ampiamente praticato. E’ sufficiente volgere lo sguardo alla vicina Spagna.  A Cordova, dove l’ampliamento del locale Museo archeologico, concepito nel 2000 dagli architetti Pau Soler, Joaquín Lizasoain e Jesús M. Susperregui, è stato modificato dopo la scoperta dei resti di un teatro romano di età primo imperiale. Musealizzando per intero la struttura rinvenuta. Aggiungendo un elemento a quanto preventivato per la nuova struttura.
Siviglia, dove i lavori per le Setas, il gruppo di enormi funghi, trasformati nel progetto di Jurgen Mayer in una struttura sinuosa e lenticolare, consentirono il rinvenimento di importanti strutture archeologiche. La realizzazione nel livello sotterraneo più basso della nuova costruzione di un Museo-Antiquarium ha permesso di restituire alla città il suo passato. Senza doverlo sacrificare.
A Roma, per gli ex Mercati Generali, si sarebbe potuto adottare lo stesso criterio. Lasciare spazio alle scoperte fatte. Valorizzarle. In un’ottica di matura e ragionevole consapevolezza che conservare ogni cosa è estremamente difficoltoso. Piuttosto che di preconcetta ostilità al nuovo.
A Roma non si chiede di diventare una città-museo, nella quale gli spazi del quotidiano divengano sempre più esili, continuamente erosi da nuove scoperte. La Città non può permettersi di smettere di esistere, di muoversi, in ossequio al suo passato. Sarebbe però necessario che in almeno in alcuni casi la necessaria modernizzazione non diventassero il facile alibi per nulla osta ad operazioni immobiliari nelle quali a far le spese sia solo la conoscenza. Come sembra davvero sia accaduto agli ex Mercati Generali.
Intanto il progetto iniziale è stato rivisto. Non per quanto scoperto e prontamente sotterrato. A far cambiare idea ben altro. Una deliberazione di Giunta nel marzo 2012 ha previsto una diminuzione della cubatura prevista per la cultura, con l’eliminazioni di un teatro da 2400 posti e al suo posto l’incremento delle cubature di uffici e servizi commerciali.
Quel che è certo è che comunque finirà la questione degli ex Mercati, aldilà di quando arriverà a conclusione, si sarà consumato un pasticcio. Ci si agiterà nel dire che Roma avrà finalmente un nuovo spazio “polifunzionale”. Omettendo però che quell’aggiunta ha comportato una sottrazione “gratuita”. Che si sarebbe potuto evitare. Tutelando concretamente quell’archeologia che a parole tanti affermano di voler far diventare uno dei motori di sviluppo della Capitale. Insomma ancora un esempio di storia, sostanzialmente, negata.