giovedì 8 novembre 2012

Sri Lanka: Rapnapura e le pietre preziose.


Rapnapura è il centro delle pietre preziose dello Sri Lanka, per strada si avvicinano persone che vi sussurrano di avere in tasca, ben incartato, l'affare della vostra vita.
A meno che non siate esperti di pietre preziose, quasi nel 100% dei casi si tratta di un affare della controparte, non vostro.





Le pietre preziose si trovano ancora con un vecchio e tradizionale sistema di estrazione.
Gli scavatori cercano i filoni di illama, uno strato ghiaioso che a volte contiene gemme.
E' tipico delle zone pianeggianti, fondovalle, letti di fiume, posti umidi in generale.
Sulla strada Colombo-Rapnapura si possono osservare infinite operazioni di scavo nelle risaie che costeggiano la strada, ma c'è ne sono molti altri sulle colline e nei campi dintorni.
L'estrazione delle gemme è un lavoro di cooperazione: uno scava l'illama, un secondo pompa l'acqua fuori dal pozzo o della galleria, un terzo lava via la ghiaia fangosa e un esperto riconosce tra i sassi le eventuali pietre preziose che potrebbero fare la loro fortuna.
Quando ne trovano una, dividono il ricavato fra tutti i membri della cooperativa, dal finanziatore all'amaudes, l'uomo che sprofonda nel fango fino al collo e che indossa il solo perizoma.
Le miniere possono essere orizzontali o verticali, a seconda della direzione dell'illama.
Stranamente in Sri Lanka si estraggono pietre divers dallo stesso filone.
Il valore di una pietra dipende da molti fattori tra cui la rarità, la durezza e la bellezza.
Le gemme sono ancora tagliate e lucidate a mano, anche se si stanno diffondendo sistemi di lavorazione più moderni.








Alcune pietre vengono tagliate e sfaccettate ( en cabochon ), mentre altre sono semplicemente lucidate.
La distinzione tra pietre preziose e semi-preziose è puramente arbitraria: non c'è una precisa definizione di ciò che rende una pietra preziosa e un'altra solo semi-preziosa.
La pietra più nota di questo gruppo è il berillo, lo smeraldo non si trova in Sri Lanka.
L'acquamarina, che al contrario si può trovare nell'isola, non è molto cara perché è meno dura e luminosa di altre pietre.
I rubini di maggior pregio sono quelli rossi e non si trovano in Sri Lanka nei giacimenti commerciali.
Però troverete i rubini rosa, chiamati anche correttamente zaffiri rosa.
Rubini e zaffiri sono lo stesso tipo di pietra, con gradazione e colore diversi a seconda della proporzione degli elementi chimici che contengono.
Gli zaffiri possono essere anche gialli, arancioni, bianchi e, i più preziosi, blu.
Fate attenzione alle persone che cercano di far passare per zaffiri degli spinelli rosa o blu.
Spesso il corindone contiene "seta", piccole particelle che danno alla pietra una luminosità brillante, in particolare sotto un'unica fonte di luce.







L'occhio di tigre e l'alessandrite sono le pietre più note di questo gruppo.
L'occhio di tigre, con il suo riflesso simile a quello dell'occhio del felino noto come chatoyancy, varia dal verde, al miele, al marrone; controllate la luminosità, la chiarezza e il bagliore del raggio di luce che emana.
L'alessandrite è pregiata per il cambiamento di colore che avviene alla luce naturale e artificiale.
Attenti alle tormaline che spesso vengono fatte passare per occhio di tigre e sono molto meno preziose.
La pietra di luna ( felspato ) è la gemma caratteristica dello Sri Lanka.
Di solito una pietra grigia di colore grigio, può assumere una leggera sfumatura blu, anche se questa clorazione è piuttosto rara.
Gli spinelli sono piuttosto comuni e si tratta di pietre abbastanza dure e belle.
Ci sono diversi colori e possono essere trasparenti o opachi.
I granati sono delle specie di rubini dei poveri; quelli marroni chiaro vengono usati speso per gli anelli in Sri Lanka.
Nell'isola non si trova il topazio, se ve ne viene proposto uno si tratta probabilmente di un quarzo.







Cuba: Hemingwayana.


Nel centro de la Habana Vieja ci sono tre punti caratteristici del mito hemingwayano.





La Habana Vieja con i suoi 5 km quadrati di compatto e omogeneo tessuto urbano risalente ai secoli XVII e XVIII, esteso tra le acque della baia, la stazione ferroviaria, la Calle Egidio e l'Avveniva Belgica, il centro storico della capitale è il più vasto nucleo coloniale dell'America Latina conservatosi fino ai giorni nostri.
Degradatosi progressivamente dopo l'indipendenza, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo subisce il destino dei centri storici delle città europee: viene abbandonato dalle classi più abbienti, che si spostano in quartieri moderni in fasce più esterne e viene abitato dalle classi più povere.
Negli anni cinquanta è ricettacolo di prostituzione e malavita.
Fulgencio Batista si era riproposto di rifarne il volto radendo al suolo il patrimonio storico ambientale per sostituirlo con un tessuto contemporaneo a sfondo commerciale.
La rivoluzione glielo ha impedito e già negli anni settanta aveva incominciato a mettere mano ai restauri degli edifici più importanti, quando nel 1982 la dichiarazione di tutto il quartiere nel suo complesso a patrimonio culturale dell'umanità e l'ingente iniezione di capitali da parte dell'Unesco hanno accelerato ed esteso i lavori di restauro.
Molto resta ancora da fare, ma la strada è imboccata, anche nella prospettiva di conservare il più possibile attività artigianali e negozi che ne mantengano l'atmosfera e lo spirito.
La stessa atmosfera e lo stesso spirito di quando uno scrittore bazzicava da questi parti: Ernest Hemingway.






Nel centro de la Habana Vieja ci sono tre punti caratteristici del mito hemingwayano.
L'Hotel Ambos Mundos, in Calle Obispo angolo Calle San Ignacio, ospitò il premio Nobel americano, come ricorda la facciata, durante tutti i primi anni dei suoi soggiorni a l'Avana, dal 1932, prima che comprasse la sua residenza Finca Vigia a san francisco de Paula all'est della città. 
Tutto è rimasto come ai tempi dello scrittore. 
Notevole la vista all'ultimo piano sulla città vecchia.










La Bodeguita del Medio in Calle Empedrado 207, di fianco alla cattedrale, è il bar ristorante dove andava a sorseggiare il mojito, il cocktail a base di rum, zucchero, succo di limone, acqua minerale e yerbabuena, la mentuccia che scivola dolcemente in gola ravvivando lo spirito.
Le pareti sono tappezzate di firme, di foto, di ricordi delle centinaia di personaggi, artisti, scrittori, attori, politici, che sono transitati attraverso i suoi stretti locali sempre ridondanti di son, di gente, di fumo, di profumi di rum e di menta.
Locale sapido, è riuscito a conservare un'atmosfera al di sopra della travolgente ondata di turisti.
La cucina criolla è all'altezza della sua fama.









El Floridita, angolo fra Calle Obispo e Avenida Belgica ( Monserrate ), è la culla e cattedrale del Daiquiri.
Si chiamava Pina de Plata, ananas d'argento, quando fu rilevato da Constante Ribalaigua Vert, che mise a punto la ricetta del Daiquiri, consacrato dai consumi straordinari di "Papà Hemingway".
Il restauro del 1991 ne ha conservato lo sgabello, in fondo al bancone del bar della prima sala, per consegnarne alla storia il mito.
La cucina è una combinazione indovinata di sapori criollo internazionali.







mercoledì 7 novembre 2012

Le grandi spedizioni: George Bass, alla ricerca delle culture sommerse.

Nel 1960, quando studiava la civiltà micenea all'Università della Pennsylvania, George Bass si vide offrire un'opportunità che non poteva rifiutare: dirigere i lavori di recupero di numerosi manufatti bronzei al largo di Capo Chelidonia, all'estremità sud-occidentale della Turchia.





Per il giovane si sarebbe trattato di uno scavo diverso da qualsiasi altra indagine archeologica che avesse mai condotto.
In primo luogo il sito era sommerso da 28 metri d'acqua, perciò avrebbe dovuto imparare a immergersi.
Si scrisse alla YMCA ( Young Men's Christian Association ) locale per prendere lezioni, quindi partì alla volta della Turchia.
In quei tempi la pianificazione sugli scavi sottomarini era un'impresa totalmente nuova, benché il recupero dei relitti fosse una pratica antica quanto i relitti stessi.
Da sempre le navi affondate avevano attratto individui decisi a impadronirsi dei loro carichi di dobloni d'oro, gioielli e innumerevoli altri tesori.
Negli anni cinquanta persino Jacques-Yves Cousteau aveva recuperato alcune anfore dal relitto di una nave greca, affondata nel Mediterraneo 2200 anni prima, senza preoccuparsi dei preziosi resti in mezzo ai quali giacevano gli antichi recipienti.
Gli scavi di Capo Chelidonia rivelarono non un cumulo casuale di manufatti, ma i resti di una nave dell'Età del Bronzo, colata a picco intorno al 1300 a.C.
Pur sforzandosi di essere scrupoloso come se lavorasse in un sito archeologico di terraferma, Bass si trovò comunque a dover improvvisare.





Per prima cosa i subacquei fotografarono il relitto e tracciarono alcuni schizzi dei manufatti, servendosi di normali matite e di fogli di plastica.
Inoltre, poiché la corrosione e la flora sottomarina avevano "fuso" con il fondale il carico della nave, Bass dovette staccarne i pezzi con il martinetto di una jeep e trainarli in superficie con il verricello, per poter separare a riva i singoli reperti.
L'età del vascello fu determinata esaminando la foggia del vasellame ed effettuando la datazione con il carbonio 14; la sua provenienza fu stimata in base al tipo di carico.
I lingotti di rame, del peso di 20 chili ciascuno, dovevano essere originari di Cipro, mentre gli altri manufatti sembravano prodotti siriani e palestinesi.
Bass ne dedusse che la nave era cannacea o fenicia e che aveva caricato i lingotti dopo il tragitto dalla Siria a Cipro: era iniziata l'era dell'archeologia marina.





Le acque dell'Egeo e del Mediterraneo al largo della Turchia, per secoli testimoni di guerre e commerci tra la Grecia Micenea, Troia e altre culture, si dimostrarono terreno fertile per gli archeologi sottomarini.
Molti ricercatori devono il loro successo ai pescatori di spugne turchi, i quali, nel corso di migliaia di ore trascorse nelle acque lungo la costa, hanno imparato a riconoscere ogni gobba o asperità che possa indicare la presenza di strutture artificiali.
Oggi si usano tecniche moderne di ricerca e sofisticate apparecchiature, come il sonar e l'ecoscandaglio, ma nel volgere degli anni i pescatori di spugne si sono rilevati almeno altrettanto efficaci nell'individuare i relitti sommersi.
L'oggetto della successiva ricerca di Bass fu una nave bizantina naufragata nell'Egeo.
Il sito posto a 37 metri di profondità al largo di Yassi Ada, "l'isola piatta", presenta un ammasso di anfore rotonde e alcune ancora corrose poste a un'estremità del cumulo.
Bass realizzò un particolare sistema di mappatura, stendendo reti metalliche su tutta l'area.
I sommozzatori etichettavano ciascun reperto e i disegnatori ne registravano la collocazione in siti prima del trasporto in superficie.





Una sorta di "aspirapolvere" risucchiava cumuli di fanghiglia a bordo di una chiatta, sulla quale il materiale veniva accuratamente vagliato alla ricerca di altri manufatti.
Allo scopo di documentare il sito Bass collocò due installazioni fotografiche sottomarine.
Per i frammenti lignei della scafo, ridotti dai secoli di immersione a una consistenza simile a quella del legno di balsa, Bass escogitò una soluzione molto ingegnosa: servendosi di 2000 raggi di bicicletta li segnalò sul fondale, dove un assistente registrò la posizione di ciascuna tavola di legno, di ogni foro di chiodo, di ogni tacca e di ogni mortasa, utilizzando poi i dati ottenuti per disegnare i contorni del vascello.
Nel corso delle ricerche successive, compresa quella di un relitto romano presente nello stesso sito, Bass introdusse alcune innovazioni e migliorie, tra cui una sorta di campana subacquea trasparente, la cosiddetta "cabina telefonica", sotto la quale i sommozzatori potevano riposarsi e parlare tra loro e con la superficie senza dover riemergere ogni volta.
Alle profondità a cui lavoravano, a causa del rischio di embolia gassosa le sessioni di lavoro non potevano durare più di venti minuti.
Perciò, dato che la decompressione era assolutamente necessaria, Bass collocò lungo il cavo di risalita diverse riserve d'aria, grazie alle quali i subacquei potevano respirare ossigeno alla giusta pressione.






Per aiutarli a combattere la noia, a ogni stazione veniva sospeso un bidone contenente libri e riviste.
In seguito Bass avrebbe aggiunto alla sua attrezzatura una camera di decompressione sottomarina in grado di alloggiare quattro persone.
Inoltre, allo scopo di riportare in superficie i reperti, fece installare numerosi dispositivi, compresi alcuni palloni che sollevavano gli oggetti a velocità costante.
Quarant'anni dopo aver indossato per la prima volta maschera e bombole per tuffarsi nel Mar Egeo, George Bass resta il decano degli archeologi subacquei; attualmente, questo pioniere di un tipo di indagine completamente nuova, lavora all'Istituto di Archeologia Nautica da lui stesso fondato presso la Texas Agricultural and Mechanical University.
Il ritrovamento al largo di Ulu Burun, in Turchia, di un relitto datato all'Età del Bronzo e contenente reperti di almeno sette civiltà differenti resta tuttora il suo più grande successo: ci vollero quattro anni e non meno di 4000 immersioni per completare il recupero dei tesori di quella nave lunga 15 metri, che ha offerto un contributo importantissimo del commercio di più di 3000 anni fa.






Pianeta scimmia: Centinaia di scimmie uccise e scartate come rifiuti perché inutili per i laboratori britannici.





Un’indagine BUAV ha scoperto il massacro terribile di centinaia di scimmie nell’allevamento di primati per la Noveprim a Mauritius. Immagini scioccanti mostrano le scimmie scartate morte e accatastate in pile sul pavimento o smaltite in bidoni come la spazzatura. 
Altre immagini mostrano corpi mutilati in attesa dell’incenerimento.
Secondo l’associazione animalista, questo massacro barbaro è destinato a continuare per tutto novembre, presumibilmente perché i laboratori all’estero chiedono primati che pesano meno di tre chili e mezzo. 
La maggior parte delle scimmie uccise sono maschi adulti di peso superiore ai quattro chili, anche se la BUAV ha appreso che Noveprim uccide anche donne in stato di gravidanza e i piccoli in quanto l’azienda non può usare questi animali. L’uccisione di questi animali altamente sensibili, intelligenti, è del tutto inaccettabile.
Noveprim è uno dei principali esportatori di scimmie verso il Regno Unito, la Spagna e gli Stati Uniti. 
La società è approvata dal ministero dell’Interno britannico per la fornitura di scimmie ai laboratori inglesi. 
Un altro stretto collegamento con il Regno Unito sta nel fatto che Covance Laboratories Ltd, l’impianto di test a contratto ad Harrogate, in Inghilterra, è il secondo maggiore azionista Noveprim.
Ironia della sorte, una dichiarazione d’intenti della Noveprim afferma che l’azienda “fornisce assistenza professionale sanitaria per le scimmie, assicura il loro benessere e le tratta con rispetto, in linea con le raccomandazioni dell’Aaalac”. 
L’associazione internazionale per la valutazione e l’accredimento della cura degli animali nei laboratori, Aaalac-International, deve visitare Noveprim nel mese di novembre
La BUAV ha anche saputo che, nonostante questo massacro, Noveprim continua ad avere trappole per scimmie selvatiche. E, allora, chiede al primo ministro di Mauritius di prendere provvedimenti immediati per fermare questi omicidi e per rimettere in libertà i primati. 
Non solo: l’associazione prega anche il governo del Regno Unito di vietare l’importazione di scimmie da Mauritius.





Sarah Kite, direttrice dei Progetti speciali per BUAV, ha detto: “Questo è un massacro crudele e insensato. 
E’ inaccettabile che le scimmie che sono state sfruttate per anni vengano semplicemente scartati perché non servono più a questa società. 
Queste scimmie dovrebbero essere rimesse in libertà in modo che possano vivere il resto della loro vita liberamente. Importando scimmie da questa azienda, il Regno Unito perpetua questa crudeltà spaventosa. La BUAV chiede al governo britannico di vietare l’importazione di primati da Mauritius immediatamente”.
E non finisce qui. Un’importante indagine svolta dalla BUAV nel settembre 2010 ha ottenuto prove scioccanti sulla crudeltà e sulla sofferenza nella cattura e nell’allevamento delle scimmie selvagge dell’isola. 
Da allora, la BUAV ha lanciato una campagna di sensibilizzazione, Sov Nou Zako (Save Our Monkeys). I principali gruppi religiosi e socio-culturali e la gente comune stanno sostenendo gli sforzi della BUAV e preoccupazione è stata espressa da tutto il mondo, compresi i membri del Parlamento del Regno Unito.



Video: Avviso. Scene molto forti.





Salviamo 59.000 volumi dalla burocrazia e dal disinteresse.





Nella magnifica Valle Maira, in provincia di Cuneo, c'è la biblioteca più alta d'Europa, a 1580 metri di quota. L'ha creata Padre Sergio De Piccoli, un monaco benedettino ed eremita che vive lì da trent'anni e che ha raccolto e conservato nelle canitne della canonica di Marmora, oltre 59.000 volumi.
Ma c'è un ma. Nel 2007 Padre Sergio ha donato tutti i libri al Comune di Marmora (Cn), in cambio della promessa dell'ampliamento della biblioteca, che è zeppa e quindi ha bisogno di spazio.
Il Sindaco si è impegnato in prima persona per la realizzazione della struttura, ma a tutt'oggi l'ampliamento promesso non c'è: troppa burocrazia e nessun soldo per la realizzazione e la querelle va avanti da anni. A fronte di una promessa non mantenuta, Padre Sergio rivuole i suoi libri. 
In tanti che conoscono Padre Sergio sarebbero disponibili ad aiutarlo privatamente per realizzare una biblioteca aperta al pubblico, purché i libri però tornino formalmente di sua proprietà (mentre ora, per effetto della donazione, sono frmalmente di proprietà del Comune).
Chiunque abbia a cuore i libri e la cultura non puo' che aderire alla nostra petizione: o il Comune si impegna a costruire la Biblioteca entro giugno 2013 o dia la possibilità alla comunità di avere comunque la sua Biblioteca.

Si ringrazia Pietro Tarallo.
Conservare i libri e organizzarli in una biblioteca è opera meritevole. Spesso disattesa. I libri sono ingombranti e pare che non li voglia più nessuno. Così si distruggono storia e cultura.

http://firmiamo.it/bibliotecadimarmora



Luoghi: California. Sequoia e Kings Canyon National Parks.

Incastonati tra i rilievi meridionali della Sierra Nevada, nella California orientale, i due parchi nazionali Sequoia e Kings Canyon occupano un'area di circa 3400 chilometri quadrati.





Pur avendo un confine in comune, ospitano territori con caratteristiche assai diverse.
Il Sequoia National Park racchiude esemplari straordinari di sequoia giganti, alberi antichissimi che tendono ad eclissare gli altri pur notevoli aspetti di un paesaggio idilliaco, disegnato da pianure, gole, picchi e oscure caverne.
Il Kings Canyon unisce alle sequoie stupefacenti canyon intagliati dai due bracci del Kings River, che dalla Sierra Alta si gettano attraverso il parco con impeto e violenza, soprattutto nel periodo primaverile dello scioglimento delle nevi.







Circa 225 milioni di anni fa, nell'era mesozoica, questa parte della California rappresentava il punto d'incontro tra la piattaforma oceanica e quella che sosteneva la parte esistente del Nord America.
Quando urtarono l'una contro l'altra, la prima, più pesante, scivolò sotto quella continentale, producendo un calore e una pressione tanto forti da fondere gli strati di roccia più profondi e spingerli al di sopra della crosta terrestre.
Spuntarono allora lungo la costa un gran numero di vulcani molto attivi che depositarono sul terreno cenere e detriti vari, formando un letto che venne successivamente ricoperto dagli strati provenienti da nuove eruzioni.
La maggior parte del magma comunque non venne mai in superficie.
Incominciò a raffreddarsi e indurirsi dando origine, nel corso di vari milioni di anni, a formazioni di rocce granitiche, sul bordo della piattaforma continentale.









Nel Cenozoico ( circa 25 milioni di anni fa ), nuove spinte dal ventre della terra formarono quest'antica catena a elevarsi ulteriormente.
Nei successivi 10 milioni di anni la forza erosiva del vento, dell'acqua e del ghiaccio portarono via gli strati di rocce sedimentarie e metamorfiche più deboli, facendo venire alla luce il possente granitico che vediamo oggi sulla superficie della Sierra Nevada.
I primi abitanti della regione furono Indiani primitivi appartenenti alle tribù dei Monache, dei Tubato Labac, di Paiute e degli Yokuts.
Legati tra loro da amicizia e rapporti commerciali, stabilirono dei campi estivi sulla Sierra Nevada per trovare sollievo dal calore della valle e cacciare la selvaggina che abbondava nelle foreste.
Gli esploratori spagnoli cinquecenteschi dimostrarono scarso interesse nei confronti di questa terra e soltanto agli inizi del XIX secolo una spedizione condotta da Gabriel Moraga penetrò nel territorio chiamando El Rio de Los Santos Rejes, ossia "il fiume dei re santi", l'attuale Kings River.







A distanza di qualche decennio anche gli Americani condussero delle spedizioni come quella di Jedediah Smith, nel 1827 o di John C. Fremont, nel 1844; in entrambi i casi gli uomini non si addentrarono però fra i picchi più elevati.
Nel 1864 una spedizione della California State Geological Survey condotta da William Brewer, produsse una dettagliata relazione scoprendo e dando il nome a varie montagne tra cui il Mt. Whitney.
Tra il 1873 e il 1875 anche John Muir si avventurò più volte nella regione.
Nella seconda metà del secolo la storia della regione fu legata agli intrighi politici.
A partire dal 1860 essa fu presa di mira da boscaioli e allevatori di bestiame.
Negli anni Ottanta l'area di Giant Forest fu comprata dalla Co-operative Land Purchase and Colonization Association, un gruppo di individui conosciuti con il nome di Kaweah Colony che avevano l'idea di fondarvi una colonia di lavoratori.
Nei quattro anni successivi costruirono una strada che congiunse la Central Valley a Giant Forrest e doveva consentire il trasporto del legname ricavato dall'abbattimento delle sequoie.





Ma ben presto gli scempi che essi provocarono fecero insorgere le proteste dei conservatoristi e degli agricoltori, condotti da John Muir e da George Stewart.
Grazie ai loro sforzi il 25 settembre del 1890 fu creato il Sequoia National Park, che comprendeva più di 200 chilometri quadrati di territorio.
Una settimana più tardi il Congresso ne triplicò le dimensioni e creò il General Grant National Park, di appena 10 chilometri quadrati, per proteggere la zona di Grant Grove.
Nel 1926 il territorio  che comprendeva Kern Canyon fu aggiunto al Sequoia e nel 1940 il General Grant si espanse includendo il territorio circostante, il South Fork of the Kings River, e trasformandosi nel Kings Canyon National Park.
Nel 1965 i territori di Cedar Grove e Tehipite Valley furono annessi al Kings Canyon.
Nel 1978 Mineral Kings fu aggiunto al Sequoia.
Dal 1943 i due parchi sono amministrati congiuntamente.





L'aumento dell'altitudine in entrambi i parchi da ovest verso est e le conseguenti variazioni climatiche, determinano differenti zone ecologiche caratterizzate da una diversa tipologia di piante e animali.
La primavera arriva sulle colline orientali ( da 400 a 1400 metri ) agli inizi di marzo.
La grande abbondanza di corsi d'acqua favorisce la crescita di bassi e rigogliosi cespugli, di manzanita dalla corteccia rossa ( red-barked manzanita ), di fitti boschetti di querce.
I loro fianchi si colorano di bianco e di giallo grazie al white popcorns e ai gialli fiddlenecks, piccoli fiori selvatici appartenenti alla famiglia dei non-ti-scordar-di-me.
Ma all'arrivo dell'estate, la siccità e il caldo seccano l'erba e le colline appaiono brulle e marroni.









Circa due milioni di turisti visitano ogni anno i due parchi per cercare pace e tranquillità e passeggiare su sentieri solitari.
Durante i mesi estivi le temperature diurne oscillano generalmente intorno ai 23° alle elevazioni medie, dove sono situate le maggiori attrazioni.
Di notte possono scendere fino a 10°C.
Come in tutte le zone montane sono comuni i cambiamenti improvvisi di tempo e di temporali, soprattutto quelli pomeridiani.
In inverno le temperature medie oscillano dai -6° C ai 4°C sopra lo zero.
Nuvoloni scuri e bassi possono oscurare il cielo per giorni e giorni.
Da dicembre a maggio i parchi sono sepolti dalla neve che può causare la chiusura delle strade che percorrono entrambi i parchi.
I periodi migliori per visitare il Sequoia e il Kings Canyon sono dunque la tarda primavera e gli inni dell'autunno, quando il clima è ancora gradevole e non vi sono le folle che li prendono d'assalto, come nei mesi di luglio e agosto.









Procedendo da ovest verso est le basse colline ricoperte di cespugli sempreverdi e piccoli alberi cedono al posto alle foreste di grandi sequoie e conifere fino ad arrivare agli alti picchi della Great Western Divide e della Sierra Crest e al Mt. Whitney, che con 4421 metri è la vetta più alta tra gli Stati contigui degli USA.
Tra questi picchi quattro sono le aree di maggior interesse: la Giant Forrest nel Sequoia, Grave Grove, Cedar Grove ed il Kings River nel Kings Canyon.
Sono tutte raggiungibili in automobile, ma per il resto la maggior parte del territorio è priva di strade.
Per esplorare a fondo i parchi dovete perciò camminare sui più di mille chilometri di sentieri che si intersecano al loro interno.
Vi consigliamo di dedicare almeno un giorno intero ad ognuno di essi, dormendo a Grave Grove dove si trova a un ora di strada sia da Cedar Grove che da Giant Forrest.
Risparmiando tempo negli spostamenti in automobile, potrete godervi qualche bella passeggiata tra scenari spettacolari ed apprezzare meglio ciò che questa generosa natura può offrire.