mercoledì 17 ottobre 2012

Pianeta scimmia: L'anello mancante tra uomo e scimmia risale a circa 10 milioni di anni.





Negli ultimi 45 anni, i genetisti avevano suggerito che gli antenati degli odierni uomini e scimpanzé si separarono all'incirca dai 4 ai 6 milioni di anni fa, mentre gli antenati dei gorilla si staccarono circa 7 - 9 milioni di anni fa.
Tuttavia non ci sono praticamente fossili di scimpanzé e gorilla, e quindi queste date sono state calcolate contando il numero di differenze di sequenza del DNA tra le tre specie e dividendo tale cifra con un presunto "tasso di mutazione" per i primati.
Il problema è che spesso gli scienziati calcolano il tasso di mutazione usando le datazioni dei fossili di altre specie di primati, e poi lo applicano anche alle scimmie antropomorfe africane e agli esseri umani.
Questo approccio è soggetto a errori poiché si basa sulla precisione dell'età dei fossili e presuppone che i tassi di mutazione siano simili tra le specie di scimmie antropomorfe.




Ma c'è un modo migliore, dice l'antropologo molecolare Linda Vigilant dell'Istituto di antropologia evolutiva Max Planck di Lipsia.
Invece di guardare i fossili e gli altri primati, dice, i ricercatori possono utilizzare i dati dei recenti sequenziamenti del genoma degli esseri umani, che stima più precisamente il numero medio delle mutazioni avvenute nel tempo.
Queste nuove stime possono poi essere utilizzate dagli scienziati per calcolare da quanto tempo si siano divise le linee evolutive.
Fino a poco tempo fa, però, i ricercatori non avevano campioni di DNA di abbastanza scimpanzé e altri primati per poter calcolare con precisione questi tempi di generazione.
Ora, dopo un decennio di analisi dei modelli di riproduzione negli scimpanzé e gorilla in Africa, Vigilant e Kevin Langergraber, primatologo all'Università di Boston, dicono di avere i dati di cui avevano bisogno.
Per ottenere i tassi di mutazione, il team ha diviso il numero di mutazioni tra genitori e prole (per questo è stato analizzato il DNA dei coproliti raccolti) con i tempi di generazione appena calcolati.
I ricercatori hanno così ottenuto un alto e un basso tasso di mutazione all'anno per ogni specie, i tassi sono più lenti di quanto precedentemente stimato utilizzando i fossili.
Il risultato è che gli esseri umani e gli scimpanzé si sono divisi prima del previsto: almeno dai 7 agli 8 milioni di anni fa, ma forse già 13 milioni di anni fa.
La scissione tra gorilla e il lignaggio che portò a esseri umani e scimpanzé avvenne inveece tra gli 8 e i 19 milioni di anni fa.
Queste datazioni sono così ampie perché, spiega Vigilant, presuppongono che i tassi di mutazione visti oggi siano stati costanti nel tempo in tutte e tre le specie.
La domanda chiave che rimane, dunque, è se i tassi di mutazione siano stati più veloci nel passato.







martedì 16 ottobre 2012

Sahara: Tunisia. Lo Jedi è stato qui.

Tunisia: Alla scoperta delle location scelte da George Lucas per Guerre Stellari.




Pochi film hanno un pubblico tanto fedele quanto quello di Guerre Stellari, e la Tunisia ha fornito gli esterni per il film originale del 1977, e per il primo e secondo episodio che costituiscono l'antefatto ( anche se sono stati girati successivamente): La minaccia fantasma (1998) e l'Episodio due.
In ognuno dei film la Tunisia svolge il ruolo del pianeta deserto Tatooine, che prende il nome della città di Tataouine, patria di Luke Skywalker.
Di conseguenza, il paese ha iniziato ad attirare un numero piuttosto considerevole di fan di Guerre Stellari desiderosi di ritrovarsi essi stessi "...molto tempo fa, in una galassia lontana lontana".
Alcune locations possono essere visitate tramite un tour organizzato, ma se avete un vostro mezzo di trasporto, il mio consiglio è di visitarle per i fatti vostri.





Onk Jemal, 30 km a nord di Tozeur (non ci sono mezzi pubblici).
E' il luogo in cui Qui Gon Jinn e Darth Maul si battono in duello in La minaccia fantasma, ed è l'ambientazione per la corsa dei sgusci nello stesso film.
E' una sosta in voga tra le comitive di viaggio che arrivano in jeep.




Il set è ancora lì, ufficialmente off limits, ma è stato costretto ad aprire e a concedere libero accesso per l'ultimazione delle riprese dell'Episodio due.
Lo stesso luogo è stato usato per Il paziente Inglese: la pista per raggiungere il set fu addirittura costruita appositamente per la troupe del film.
Il nome Onk Jemal significa "testa di dromedario" e si deve a una formazione rocciosa che ricorda la testa e la gobba di un dromedario.




Gola di Shubiel, presso il marabut di Sibi Bou Helal, vicino a Kriz (non ci sono mezzi pubblici).
E' stata la scena di due Guerre Stellari in cui avviene un imboscata. quella a C1-P8 da parte dei Javas che lo rapiscono, e quella a Luke Skywalker e ai suoi amici robot da parte dei Sabbipodi.
La troupe l'ha battezzata "Star Wars Canyon", ed è stata anche usata come location in altri tre film: I predatori dell'arca perduta, il Paziente inglese e La minaccia fantasma.






Chott e dune a ovest di Nefta, circa 10 chilometri a ovest di Nefta ( non ci sono mezzi pubblici).
Una pista che attraversa la strada principale conduce a sud dello Chott, fino a un sito usato per gli esterni della casa di Luke Skywalker, anche se adesso resta ben poco del set.
Verso nord la stessa strada porta alle dune dove C1-P8 e D3-B0 atterrano in un guscio di salvataggio all'inizio di Guerre Stellari.
Nessuno dei posti è facile da trovare ma noi non abbiamo nessun dubbio sulle capacità dei nostri lettori.




Ajim, Jerba.
E' facilmente accessibile con i mezzi pubblici anche se alcuni posti particolari devono essere scovati.
In città su Avenue Abou el kacem Chabbi, anche se a malapena riconoscibile, c'è l'entrata al bar del Porto Spaziale di Mos Eisley dove Luke e Obiwan incontrano Han Solo nel film originale Guerre Stellari.
La casa di Obiwan nel film è una vecchia moschea che si trova a 3 chilometri lungo la strada della costa occidentale verso Borj Jillij, sul lato del mare; l'entrata a Mos Eisley è costituita da un'altra vecchia moschea e marabut sormontato da una cupola, 11 km più a nord, sempre sul lato della strada verso il mare.






Matmata, facilmente accessibile con i mezzi pubblici.
L'Hotel Sidi Driss è stato il set per gli interni della casa di Luke Skywalker all'inizio di guerre Stellari.
Potete sedervi e mangiare nel punto esatto in cui Luke cena con sua zia e suo zio.
La corte principale è stata usata anche nel secondo antefatto, e la maggior parte del set si trova ancora lì.
Ksar Haddada, vicino a Ghoumrassen è stato usato per le riprese dei quartieri di schiavi di Mos Espa in La minaccia fantasma.
Ksar Ouled Soltane, 30 km a sud di Tataouine è stato usato per le ripetizioni di una sola parte dell'inquadratura dei quartieri di schiavi di Mos Espa.
Lo jedi è stato qui.
E "qui", è la Tunisia.






Racconti di viaggio: Papua, viaggio indietro nel tempo.

Dove? Cosa? Come? ... questa è la prima domanda che ti senti di fare quando parli della Papua.
E' già difficile immaginarla, figuriamoci raggiungerla!
Una terra magica rimasta intatta nei secoli...





Viaggiare insegna che tutti gli uomini sono uguali; viaggiare insegna che tutti gli uomini sono diversi.
Ed è quello che mi è successo andando a Papua anzi, vi dirò di più, è come se con un ipotetica macchina del tempo andassimo indietro fino a un passato, ma così remoto da perdere qualsiasi traccia di inquinamento di civiltà industriale.
Visiterò villaggi, conoscerò gente con usi e costumi totalmente diversi dai nostri, ma non per questo meno "importanti" dei nostri.
Il viaggio ha inizio a Port Moresby, unica traccia di realtà occidentale resa tale dalla presenza di Australiani.
Già dal primo momento l'impatto è molto duro.
I tratti somatici dei locali ci fanno rivedere i nostri progenitori; piedi e pianta larga rigorosamente nudi mi accompagneranno per tutto il tempo, su ogni strada, sentiero, ruscello, albero, dandomi dimostrazione di adattamento, abilità e resistenza.
Dicevo Port Moresby, un contrasto di architettura, le baracche a palafitta si contrappongono a palazzi governativi: i pochi ricchi generalmente australiani, ai locali che come dono di natura hanno la povertà.
Lungo l'unica strada che costeggia il mare, mercatini improvvisati si alternano alle discariche che senza nessuna differenza, vengono prese d'assalto.










Mi inoltro tra la folla che incuriosita mi circonda: sono meravigliati dal mio aspetto, sono incuriositi dalle mie reflex; i bambini guardano e s'atterriscono dopo lo scatto col flash.
L'atmosfera è impregnata dall'odore acre del mercato; tranci di pesce e di carne avvolti da nuvole di mosche sono esposti alla mercè di tutti.
Colori e odori convivono in un simbiotico legame, rendendo l'ambiente già carico di "calura appicicaticcia" ancor più invivibile.
Qua e là delle chiazze rosse mi desta preoccupazione, ma ci rendo conto che la mia perplessità è infondata.
Tutti indistintamente masticano una poltiglia ricavata dalla noce di "betel" che, unita alla polvere di "laim", funge da rigeneratore energetico ed aiuta a sopportare la grande calura equatoriale e la sofferenza che essa comporta, ma soprattutto allontana lo stimolo della fame che non manca mai.







A conti fatti, il "betel nat" non è altro che un allucinogeno che aiuta a vivere i papua in quelle condizioni proibitive, e che sicuramente non risolve i problemi di denutrizione e povertà.
Ma dicevo, siamo solo all'inizio.
Mi fermo per qualche giorno nella tranquilla Loloata Island, godendomi le calde acque della laguna, per poi ripartire alla volta di Tari, il cuore della Papua.
L'alba ancestrale mi avvolge, rendendomi pertecipe delle tinte calde di giorno ed uno scenario incredibile si presenta davanti agli occhi.
Volo verso le terre alte ed appena giungo allo pseudo aeroporto, con pista rigorosamente in terra battuta, una moltitudine di locali attorno ad una rete metallica, attende incuriosita.
Ma, attende cosa?..."il grande uccello bianco" (è quello che ho saputo dopo).
L'impatto con la realtà dei Tari è violento; in un primo momento ho pensato che tutti facessero parte di un gruppo folcloristico d'accoglienza ma sono in troppi e man mano che mi avvicino, capisco che sono così normalmente "svestiti".
E' incredibile, gli abiti sono fatti di foglie e fibre vegetali; la loro folta capigliatura è abbellita dalle piume coloratissime degli uccelli del paradiso e qua e là sparsi per tutto il corpo tatuaggi e cicatrici, queste ultime risultato di dure battaglie, ancora oggi combattute fra i clan dei villaggi.
I rossi e gli ocra esaltano la durezza del volto dei guerrieri, che con atteggiamento fiero esibiscono archi, frecce ed asce di pietra.







Mi sposto lungo il sentiero che lascia la traccia di se sul profilo impervio delle colline.
Ed è un continuo sali e scendi.
Paesaggi mozzafiato mi si presentano davanti agli occhi: vedo spuntare dalle terre alte donne, gravide di nuova vita ed altre ancora con bambini attaccati al seno, sgonfio di latte.
Dalla fittissima foresta si materializza un uomo barbuto e colorato ed appena mi vede fugge via...Forse avrà avuto paura? io si! Avrà pensato di aver visto lo spirito di un suo antenato?.
Macchè, è corso al villaggio per annunciare il mio arrivo...ed è subito festa! mi crederanno appena rientro in Italia? mah! e chissenefrega!
Mi accolgono incuriosito, mi sfiorano con lo sguardo e con il fiato; negli occhi dei piccoli vedo paura mista ad imbarazzo, alcuni di loro si allontanano, altri intimiditi accennano un sorriso.





Sono trascorsi parecchi lustri dall'ultima volta dell'ospite bianco...molti di loro non erano ancora nati. Ma dove sono?
L'entusiasmo è tanto e gli uomini vanitosi ed impeccabili, si preparano per la danza.
A me degli uomini non è che interessa molto la loro vanità ma in questo frangente è meglio non farsi domande ed osservare.
La mia reflex per il momento rimane nella borsa e il mio parlare con i gesti è meglio controllarlo. Guardo e osservo. Per il momento, appunto.
I colori sgargianti danno vita a figure fiere; gli ori ricavati dal grasso dei maiali e cosparsi per tutto il corpo mettono in evidenza le fasce muscolari esaltandole ancor più.
Mi chiedo: chi ha detto che la vanità è solo donna? Anche i bambini, da grandi Huli Men, si truccano e si preparano il corredo per la grande festa.
E le donne? Le donne sono spettatrici da sempre, ed in disparte guardano timidamente i loro uomini danzare.
I ritmi tribali si fanno sempre più incalzanti e nella loro ripetuta monotonia si fondono coi canti, riecheggiando nella valle.









Tutto è un tripudio di colori, tutto una movenza di corpi che traboccanti di sudore rendono ancor più la loro statuaria bellezza.
Ed il tempo fermo trascorre anche qui in modo inesorabile, la notte arriva presto portando con sé il calore del fuoco.
Il fuoco che riscalda la frescura dell'aria, il fuoco che ridà forme e sfumature, il fuoco che in un abbraccio corale riporta intorno a se tutto il clan.
Ed il bagliore della fiamma riscopre sul volto dei guerrieri, i solchi di una vita dura, non per gli anni trascorsi, ma per la loro combattuta esistenza.
La vita, dicevo, combattuta giornalmente per lottare contro la fame, per combattere e sopravvivere con malaria, dengue, tubercolosi e non per ultimo difendere il villaggio dalle interminabili faide, parte integrante del loro patrimonio genetico, tramandante nel corso dei secoli da padre in figlio.
I motivi scatenanti sono generalmente due: i maiali ed i bambini.
I maiali, il bene più assoluto e prezioso, oltre a garantire carne e suppellettili sono moneta di scambio per qualsiasi "acquisto" o affare che dir si voglia.
Con i maiali si comprano le mogli, di conseguenza più maiali si hanno più è elevata la possibilità di avere donne, con cui poter generare figli.
Al secondo posto in senso assoluto ci sono i bambini, anche perché, senza maiali non è possibile avere mogli e di conseguenza bambini.
L'anima, evanescente soffio di vita, l'anima, strumento di immortalità, è nell'anima la forza che aiuta a lottare e sopravvivere.
Ed i grandi guerrieri conoscono bene queste verità, per questi motivi e per riaverla, uccidono i piccoli innocenti.
Ma tutto ciò fa parte di una cultura, per noi orrenda, ma per il popolo dei Papua è parte integrante della loro morale e delle loro regole tribali, regole che da buoni ospiti è meglio rispettare...





La mia prossima meta si sposta lungo il sentiero che mi riconduce verso Tari.
Riappaiono i volti che avevo lasciato qualche tempo prima, sempre incuriositi dal mio aspetto, sempre con il fiato e lo sguardo che mi tocca.
Le nebbie delle Terre Alte rendono l'aria mattutina ancor più grave e umida, e le figure eteree compaiono e scompaiono come se cancellate dall'acqua.
Riappare ancora il "grande uccello bianco" e questa volta il viaggio è avanti nel tempo...










Scoperto il luogo esatto in cui fu ucciso Giulio Cesare.



Giulio Cesare fu assassinato a Torre Argentina, nella parte inferiore in quella che allora era la Curia di Pompeo, frequente luogo di passaggio di turisti e romani. 
I ricercatori del Centro de Ciencias Humanas y Sociales (Csic) hanno scoperto il punto esatto in cui, nelle Idi di Marzo del 44 a.C., Cesare e' stato assassinato nella congiura guidata dal figliastro Bruto. La storia ci ha tramandato che Giulio Cesare fu pugnalato nella Curia di Pompeo, a Roma, nell'attuale area archeologica di largo di Torre Argentina, mentre presiedeva una riunione di senatori. 
Solo che fino a oggi non si conosceva il punto esatto dell'omicidio.
I ricercatori dei Csic, guidati dallo storico Antonio Monterroso, hanno trovato una lastra di cemento di tre metri di larghezza per due di altezza che indicava il punto esatto in cui sedeva Giulio Cesare quando fu assassinato. 
E' una lastra voluta da Ottaviano Augusto per ricordare il padre adottivo e condannare il suo assassinio. 
La scoperta conferma che il generale fu pugnalato al centro della parte inferiore della Curia di Pompeo, mentre presiedeva, seduto su una sedia, la riunione del Senato. 





Attualmente i resti dell'edificio si trovano nell'area archeologica di Torre Argentina, nel pieno centro storico della capitale romana. 
Le conclusioni dei ricercatori del Csic sono arrivate grazie alle analisi di uno scanner con laser tridimensionale e non contraddicono le fonti classiche. 
La storia, infatti, riporta che dopo l'assassinio di Giulio Cesare la Curia di Pompeo fu chiusa e trasformata in una specie di memoria dello scomparso conquistatore della Gallia. 
"E' affascinante", ha commentato Monterroso, "che migliaia di persone prendano l'autobus tutti i giorni a poca distanza dal posto in cui Giulio Cesare e' stato pugnalato 2056 anni fa o che vadano addirittura a teatro, dato che il Teatro Argentina, il principale della capitale, e' molto vicino". 
Il progetto che ha permesso la storica scoperta conta sul sostegno della Sovrintentenza dei Beni Culturali di Roma, del Piano Nazionale di Ricerca e Sviluppo 2008-11 del Ministero dell'Economia e della Escuela Espanola de Historia y Arqueologi'a del Csic en Roma.








domenica 14 ottobre 2012

Le grandi spedizioni: Robert Peary al Polo Nord.




Nel 1891 Gardiner Greene Hubbard, il primo presidente della National Geographic Society, attraversando a grandi passi il palco davanti ai membri riuniti dell'istituzione, consegnò la bandiera a stelle e strisce all'ambizioso Robert E. Peary, dicendogli: "prendi questa bandiera e inastala nel posto più a Nord che riuscirai a raggiungere!".
Ed è esattamente quello che Peary fece.
Durante i quattro anni che seguirono, condusse due importanti spedizioni in Groenlandia settentrionale, battezzando la regione "Terra di Peary".
Aveva già provato, nel 1886, ad attraversare la calotta di ghiaccio della Groenlandia settentrionale nel punto di maggior ampiezza, percorrendo meno di 200 chilometri nel corso di quella che in seguito lui stesso definì una "ricognizione".
"Non era nella sua natura tollerare un fallimento", scrisse lo storico Pierre Berton, "In tutte le sue imprese nell'Artico, Peary riuscì sempre a riportare qualche trofeo, reale o immaginario, che avrebbe conferito alla sua spedizione un'aura di successo".
La Groenlandia rappresentava solo il preludio, poiché la vera meta di Peary era la conquista del Polo Nord, la passione che lo aveva sempre posseduto.
"Ricorda, Madre", scrisse Peary a casa dopo il primo viaggio al Nord, "io devo diventare famoso".





Tornato in Groenlandia nel 1898, spingendosi sempre più a nord, perse otto dita dei piedi per congelamento.
In seguito, nel 1906, al suo quarto tentativo, giunse a 280 chilometri dal Polo, il punto più settentrionale mai toccato dall'uomo.
Nel dicembre di quell'anno, a Washington, gli fu assegnata dal presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt la prima Hubbard Medal della Society.
"Il vero esploratore", spiegò Peary al folto pubblico, "compie il suo lavoro non nella speranza di ricevere ricompense e onori, ma perché ciò che ha intrapreso fa parte del suo stesso essere e va portato a termine per amore del risultato...".
Poco più di due anni dopo, mentre agli inizi del 1909 Shackleton abbandonava la speranza di raggiungere il Polo Sud e si ritirava, Peary era di nuovo in marcia verso il Polo Nord.
Stabilì il campo base a Cape Columbia, sulla punta più settentrionale dell'isola di Ellesmere, e cominciò ad avanzare.
Sfinì gli uomini del gruppo di supporto, che dovettero trasportare il grosso del carico, in modo da lasciare freschi ed in forma gli esploratori del gruppo finale, i conquistatori del Polo.





Il 1° aprile l'ultima squadra di supporto terminò il suo compito e tornò indietro, lasciando Peary, il conducente della slitta Mattew Henson, quattro Eschimesi e quaranta cani a coprire i 215 chilometri, che li avrebbero portati a raggiungere il Polo, a quanto si dice, il 6 aprile del 1909.
"Finalmente il Polo", esultò Peary, "Il premio di tre secoli di tentativi, il mio sogno di ventitré anni. Mio finalmente...".
Dopo un trentina di ore trascorse a scattare fotografie e a rilevare dati, la squadra cominciò a ritirarsi verso sud e raggiunse Cape Columbia in 16 giorni.
L'8 settembre Peary telegrafò al presidente degli Stati Uniti, William Howard Taft: "Ho l'onore di mettere il Polo Nord a vostra disposizione".
"Grazie per la vostra generosa offerta", rispose il presidente, "Non so ancora che cosa potrò farmene. Mi congratulo sinceramente per il conseguimento, dopo sforzi immensi, di quello che era l'obiettivo della vostra spedizione...".
Il ragazzino di campagna della Pennsylvania, cresciuto senza padre al Bowdoin College e vissuto con una madre che lo adorva, il giovane che preferiva nascondersi nei boschi piuttosto che partecipare alle attività sportive e che più tradì avrebbe sposato la figlia di uno studioso della Smithsonian Istitution, ora, a cinquant'anni, si era guadagnato un posto nel Pantheon insieme a Colombo e Magellano.
"Non sono egoista, madre", scrisse un giorno, "voglio raggiungere la fama adesso, in modo che possa goderne anche tu".





Ma un uomo può farsi accecare, talvolta, dalla sua stessa fiera ambizione e, nei decenni seguenti una serie di incoerenze e discrepanze nella storia di Peary portò la gente a chiedersi, dapprima in sordina e poi apertamente, se davvero egli avesse raggiunto il Polo Nord.
La Society ingaggiò Wally Herbert, un veterano con un'esperienza di spedizioni polari più che decennale, per condurre indagini sulle affermazioni di Peary.
negli archivi di N.G. trovò alcune pagine bianche nel diario di Peary.
Le parole "Mio finalmente" non erano state scritte nelle pagine del diario, bensì su un foglio a parte, come se fossero state aggiunte in un secondo momento.
In effetti, come Herbert notò nel numero di settembre del 1988, sugli appunti di Peary prendeva per le successive annotazioni sul suo diario "non esisteva alcuna traccia delle attività svolte durante le trenta ore passate nelle vicinanze del Polo".
Herbert continuava: "Il punto centrale, cioè se Peary abbia raggiunto o no il Polo Nord e se, dunque, abbia affermato il vero sembra chiaro.
Ma non mi azzarderei a un semplice sì o no, poiché la storia dell'ultima spedizione di Peary mette in luce un conflitto molto più intimo e un eroe molto più umano di quanto non sia pensato finora.
Nonostante tutto, resta, e sempre resterà, la tragica incertezza circa le conquiste di Robert E. Peary.
Al di là delle domande che tuttora circondano le presunte imprese di Peary, Herbert ancora lo considera ammirevole nella sua determinazione e nel suo coraggio, concludendo che "egli riuscì ad estendere i confini della resistenza umana".







Africa nera: Cameroun. Chefferie del Grassland.

"Come un bambino: mia madre è il mio capo, mio padre il capo di mia madre e il re il capo di mio padre".
( Proverbio Bamileke, Cameroun ).






Il termine chefferie, solitamente tradotto in italiano con "dominio", indica nella letteratura antropologica una sorta di livello intermedio fra le società acefale e quelle statuali.
Si tratta di una nozione che presenta qualche ambiguità in quanto i "capi" in Africa sono stato spesso una creazione coloniale, un tramite fra l'amministrazione europea e le popolazioni locali.
Similmente oggi, con l'avvento del multipartitismo in molti stati africani, i "capi tradizionali" sono serviti come efficaci collettori di voti.
Le stesse difficoltà rincontrate dagli stati postcoloniali nel creare una forte identità nazionale, d'altronde, ha contribuito a un rilancio delle autorità e delle appartenenze locali.
Negli altopiani del Cameroun occidentale a partire dal XV secolo, si è formato un mosaico di piccoli regni ( Bamun, Bamileke, Tikar ), quasi un centinaio, risultanti dalla sovrapposizione di popolazioni già presenti in zona con altre provenienti da aree vicine.





Si tratta dunque di strutture politiche che non hanno una base etnica omogenea ma che trovano la loro unità nel riconoscimento del potere politico e religioso del sovrano ( fo ).
Presso i Bamileke il fo amministra la terra distribuendola fra le diverse famiglie; pur non essendo una figura divina ha un potere sacrale che gli deriva dall'antenato fondatore: da lui dipende la fecondità della terra e delle donne e quindi la prosecuzione della vita e il benessere della comunità.





La figura del re è sacra in quanto il suo corpo è un grande contenitore di forza vitale, che stà nel sangue ricevuto dagli antenati, nella saliva e nello sperma.
A questo alludono anche molti degli emblemi del potere, che sono appunto "contenitori", come la pipa e il corno per il vino di palma.
Il corno si trasmette di re in re e contiene la forza di tutti quelli che vi hanno bevuto lasciandovi la loro saliva e le loro parole (quando si parla su si un corno si può dire solo la verità).




Il re Ngnie Kamba di Bandjoun ( 1934-2003 ), Bamileke ( Cameroun )

Al centro: Il trono reale Kuo Fo presenta due personaggi maschili come schienale; si tratta forse dei guardiani e protettori del re.
Il gesto della mano che sorregge il gomito dell'altro braccio, la cui mano a sua volta sostiene il mento, è il saluto  che in segno di rispetto si rivolge al re.
Sulla sinistra e al centro, le zucche ricoperte di perline di vetro sono fra gli oggetti più sacri: alludono al re e alla sua fecondità e sono simbolicamente associate all'acqua.
Quella che il fo versa dalle zucche "senza fondo" è un'acqua che non finisce mai e che assicura l'arrivo delle piogge da cui dipende la fertilità dei campi.
Con la loro presenza le zucche sacre delimitano lo spazio rituale.
In basso: ai piedi del re una pelle di leopardo e una zanna di elefante che sono emblemi del potere reale.
Al fo si attribuisce anche il potere di trasformarsi in una pantera, in elefante, in bufalo o in un boa.
Quindi, in modo simile ad altri re africani, la sua figura possiede un lato terribile e oscuro: come tutto ciò che è sacro, il re allo stesso tempo benefico e pericoloso.
La costruzione sullo sfondo ( nemo ) è il luogo in cui il re si riunisce con il consiglio dei nove ( mkamvu' u ), l'organo politico-religioso composto dai difendenti dei compagni del primo re di Bandjoun ( un cacciatore venuto di nord ) e dei capi locali sottomessi.







2012 Fine del mondo?. I Maya non l'hanno mai detto.



Per Alfredo Barrera, dell'istituto Nazionale messicano di Antropologia e storia, i Maya non si sono mai lontanamente sognati che il mondo finirà nel 2012.
Questa dichiarazione è supportata da diversi dati oggettivi tratti da uno studio attento e archeologico dei vari manufatti che i Maya ci han lasciato.
"Ci sono molti monumenti Maya che descrivono eventi che si svolgeranno in un futuro prossimo o remoto rispetto al 2012", ha dichiarato.
"Ad esempio il re di Palenque (K'inich Hanaab Pakal) riteneva che sarebbe tornato sulla terra un paio di migliaia di anni da oggi".
Il ritenere che il mondo finirà nel 2012 è un concetto totalmente estraneo alla cultura Maya, mentre questo tipo di visioni apocalittiche sono tipiche del pensiero degli "europei occidentali", intrisi del pensiero cattolico e del "mille e non più mille".
Una fine del mondo "escatologica" simile a quella che si legge nell'apocalisse di San Giovanni è sconosciuta ai popoli del centro-america.