Nel 1891 Gardiner Greene Hubbard, il primo presidente della National Geographic Society, attraversando a grandi passi il palco davanti ai membri riuniti dell'istituzione, consegnò la bandiera a stelle e strisce all'ambizioso Robert E. Peary, dicendogli: "prendi questa bandiera e inastala nel posto più a Nord che riuscirai a raggiungere!".
Ed è esattamente quello che Peary fece.
Durante i quattro anni che seguirono, condusse due importanti spedizioni in Groenlandia settentrionale, battezzando la regione "Terra di Peary".
Aveva già provato, nel 1886, ad attraversare la calotta di ghiaccio della Groenlandia settentrionale nel punto di maggior ampiezza, percorrendo meno di 200 chilometri nel corso di quella che in seguito lui stesso definì una "ricognizione".
"Non era nella sua natura tollerare un fallimento", scrisse lo storico Pierre Berton, "In tutte le sue imprese nell'Artico, Peary riuscì sempre a riportare qualche trofeo, reale o immaginario, che avrebbe conferito alla sua spedizione un'aura di successo".
La Groenlandia rappresentava solo il preludio, poiché la vera meta di Peary era la conquista del Polo Nord, la passione che lo aveva sempre posseduto.
"Ricorda, Madre", scrisse Peary a casa dopo il primo viaggio al Nord, "io devo diventare famoso".
Tornato in Groenlandia nel 1898, spingendosi sempre più a nord, perse otto dita dei piedi per congelamento.
In seguito, nel 1906, al suo quarto tentativo, giunse a 280 chilometri dal Polo, il punto più settentrionale mai toccato dall'uomo.
Nel dicembre di quell'anno, a Washington, gli fu assegnata dal presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt la prima Hubbard Medal della Society.
"Il vero esploratore", spiegò Peary al folto pubblico, "compie il suo lavoro non nella speranza di ricevere ricompense e onori, ma perché ciò che ha intrapreso fa parte del suo stesso essere e va portato a termine per amore del risultato...".
Poco più di due anni dopo, mentre agli inizi del 1909 Shackleton abbandonava la speranza di raggiungere il Polo Sud e si ritirava, Peary era di nuovo in marcia verso il Polo Nord.
Stabilì il campo base a Cape Columbia, sulla punta più settentrionale dell'isola di Ellesmere, e cominciò ad avanzare.
Sfinì gli uomini del gruppo di supporto, che dovettero trasportare il grosso del carico, in modo da lasciare freschi ed in forma gli esploratori del gruppo finale, i conquistatori del Polo.
Il 1° aprile l'ultima squadra di supporto terminò il suo compito e tornò indietro, lasciando Peary, il conducente della slitta Mattew Henson, quattro Eschimesi e quaranta cani a coprire i 215 chilometri, che li avrebbero portati a raggiungere il Polo, a quanto si dice, il 6 aprile del 1909.
"Finalmente il Polo", esultò Peary, "Il premio di tre secoli di tentativi, il mio sogno di ventitré anni. Mio finalmente...".
Dopo un trentina di ore trascorse a scattare fotografie e a rilevare dati, la squadra cominciò a ritirarsi verso sud e raggiunse Cape Columbia in 16 giorni.
L'8 settembre Peary telegrafò al presidente degli Stati Uniti, William Howard Taft: "Ho l'onore di mettere il Polo Nord a vostra disposizione".
"Grazie per la vostra generosa offerta", rispose il presidente, "Non so ancora che cosa potrò farmene. Mi congratulo sinceramente per il conseguimento, dopo sforzi immensi, di quello che era l'obiettivo della vostra spedizione...".
Il ragazzino di campagna della Pennsylvania, cresciuto senza padre al Bowdoin College e vissuto con una madre che lo adorva, il giovane che preferiva nascondersi nei boschi piuttosto che partecipare alle attività sportive e che più tradì avrebbe sposato la figlia di uno studioso della Smithsonian Istitution, ora, a cinquant'anni, si era guadagnato un posto nel Pantheon insieme a Colombo e Magellano.
"Non sono egoista, madre", scrisse un giorno, "voglio raggiungere la fama adesso, in modo che possa goderne anche tu".
Ma un uomo può farsi accecare, talvolta, dalla sua stessa fiera ambizione e, nei decenni seguenti una serie di incoerenze e discrepanze nella storia di Peary portò la gente a chiedersi, dapprima in sordina e poi apertamente, se davvero egli avesse raggiunto il Polo Nord.
La Society ingaggiò Wally Herbert, un veterano con un'esperienza di spedizioni polari più che decennale, per condurre indagini sulle affermazioni di Peary.
negli archivi di N.G. trovò alcune pagine bianche nel diario di Peary.
Le parole "Mio finalmente" non erano state scritte nelle pagine del diario, bensì su un foglio a parte, come se fossero state aggiunte in un secondo momento.
In effetti, come Herbert notò nel numero di settembre del 1988, sugli appunti di Peary prendeva per le successive annotazioni sul suo diario "non esisteva alcuna traccia delle attività svolte durante le trenta ore passate nelle vicinanze del Polo".
Herbert continuava: "Il punto centrale, cioè se Peary abbia raggiunto o no il Polo Nord e se, dunque, abbia affermato il vero sembra chiaro.
Ma non mi azzarderei a un semplice sì o no, poiché la storia dell'ultima spedizione di Peary mette in luce un conflitto molto più intimo e un eroe molto più umano di quanto non sia pensato finora.
Nonostante tutto, resta, e sempre resterà, la tragica incertezza circa le conquiste di Robert E. Peary.
Al di là delle domande che tuttora circondano le presunte imprese di Peary, Herbert ancora lo considera ammirevole nella sua determinazione e nel suo coraggio, concludendo che "egli riuscì ad estendere i confini della resistenza umana".