lunedì 8 ottobre 2012

India: Dalle origini ai Moghul, lingue.


"Io spiro come il vento, impossessandomi di tutti gli esseri. Con la mia grandezza ho varcato i confini del cielo e di questa terra"
( Rgvega, Autoelogio della Parola ).





A tutt'oggi sono 22 le lingue ufficialmente riconosciute nel Sub-continente, ma 24 sono quelle con oltre un milione di parlanti e più di duecento superano i 10.000.
La maggioranza delle lingue può essere suddivisa, in base all'origine, in due grandi gruppi:
quelle appartenenti al ramo indo-ario della famiglia indoeuropea, e quelle appartenenti alla famiglia gravidica.
Il primo gruppo comprende, storicamente, la lingua vedica, evolutasi poi nel sanscrito classico fissato dal grammarico Panini ( VI secolo a.C. ); e i pracriti, ovvero le lingue vernacolari dalle quali sarebbero derivate le lingue vernacolari dalle quali sarebbero derivate le lingue indù-arie odierne parlate nel Subcontinente.
Queste ultime sono: hindi, urdu ( lingua ufficiale nel Pakistan ), panjabi, bengali, gujarati, marathi, nepali e singalese.
Altre lingue indoiraniche sono  il pashto e il farsi ( persiano ) che fu lingua di corte e di cultura in epoca moghul.
La famiglia gravidica, di cui fanno parte il tamil e il telegù è presente nell'India meridionale e centro-meridionale, e riunisce circa un terzo dei parlanti del Subcontinente.
Sono inoltre presenti lingue appartenenti alle famiglie tibeto-birmane, sino-siamese e mundakhmer, in territori di limitata estensione.
Oggi le lingue ufficiali della Repubblica Indiana sono l'hindi e l'inglese.







sabato 6 ottobre 2012

Scienza-natura: La morfina verrà sostituita dal veleno del black mamba.




Il veleno di uno dei serpenti più letali del mondo potrebbe aprire la strada a una nuovo genere di antidolorifici. I composti, chiamate mambalgine, isolati nel veleno del mamba nero africano sarebbero infatti efficaci quanto alcuni oppiacei, compresa la morfina, senza però comportare come questi ultimi il rischio di stress respiratori e altri effetti collaterali.
"È incredibile che tutto ciò sia possibile grazie al veleno di uno dei serpenti più letali", commenta la responsabile della ricerca Anne Baron, dell'Institut de Pharmacologie Moléculaire et Cellulaire del CNRS francese.
Studi precedenti avevano mostrato che il veleno di alcuni serpenti contiene tossine che possono provocare dolore attivando canali ionici aperti all'acido (ASIC) nel sistema nervoso centrale e periferico. 
Baron e colleghi hanno scoperto che isolando i peptidi ribattezzati mambalgine il dolore diminuisce o scompare del tutto, individuando e inibendo alcuni ASIC all'interno del corpo.
Gli esperimenti finora sono stati condotti solo sui topi. 
"I meccanismi del dolore sono abbastanza simili tra noi e i roditori, e questo ci fa ben sperare che questi peptidi possano rivelarsi efficaci anche nell'uomo", dice Baron, il cui studio è pubblicato dalla rivista Nature.
Tossine naturali come farmaci, una lunga storia.
Il veleno dei serpenti e di altre creature come ragni e scorpioni viene da tempo impiegato a scopi farmacologici, e gran parte della ricerca moderna è concentrata proprio sulle possibilità di sfruttare queste sostanze a scopo curativo per un mercato più ampio.
Sostanze estratte da cobra, teste di rame, serpenti a sonagli e vipere possono avere effetti su un ampio raggio di malattie, dall'infarto al cancro. 




"Le tossine velenose animali hanno un elevato tasso di successo quando vengono trasformate in farmaci", afferma l'erpetologo e tossicologo Zoltan Takacs, Emerging Explorer di National Geographic nel 2010.
"E non c'è dubbio che questo sarà sempre più vero in futuro, con un numero sempre maggiore di tossine che verranno scoperte".
Le tossine animali sono particolarmente utili nella cosiddetta biomedicina, spiega Takacs, sia per selettività che per affinità. 
"Le tossine sono ottime sia per individuare l'obiettivo del farmaco", dice, "che come 'modello' per creare il farmaco effettivo".
Benché la scoperta sia incoraggiante, Takacs mette in guardia contro le speranze di un rapido utilizzo nell'uomo. 
"Per mettere a punto un nuovo farmaco, sono necessari 10 o 15 anni, un miliardo di dollari, e comunque non ci sono garanzie di successo", dice lo studioso.
Baron e colleghi hanno in programma di continuare le loro ricerche fino ai trial clinici, benché consapevoli che ogni passo avanti richiederà anni di lavoro.
Intanto però, afferma Baron, hanno ottenuto un brevetto e la società produttrice di antidolorifici Theralpha è già al lavoro sui composti ricavati dai serpenti.





Le grandi scoperte: Scoperta in Guatemala la tomba di una regina Maya.




La tomba è stata scoperta durante gli scavi della reale città Maya di El Perú-Waka 'nel nord-ovest Petén, Guatemala, da un team di archeologi guidati da Washington University di St. Louis' David Freidel, co-direttore della spedizione.
Un piccolo vaso di alabastro scolpito trovato nella camera sepolcrale ha consentito agli archeologi di concludere che la tomba era quella di una regina Maya.
Il vaso bianco è scolpito come una conchiglia, con la testa e il braccio di una donna anziana che emerge dall'apertura.





La rappresentazione della donna, matura, con una faccia rivestita e una ciocca di capelli di fronte a un orecchio, e quattro glifi scolpiti nel barattolo, ha fatto capire agli archeologi che il barattolo era appartenuto ad una tribuù Maya detta di K'abel.
Sulla base di questa e di altre prove, compresi recipienti di ceramica rinvenuti nella tomba e la stele posta all'esterno, si è capito come la tomba sia stata la sepoltura di una Regina di quella razza o di un personaggio di alto rango.
Freidel dice che la scoperta è importante non solo perché la tomba è quella di una figura notevole di portata storica nella storia Maya, ma anche perché la tomba appena scoperta è una situazione rara in cui idocumenti archeologici Maya e quelli storici si incontrano.




Pianeta scimmia: Dian Fossey e i gorilla di montagna.

Pianeta scimmia: Dian Fossey.





Le intrusioni umane assillavano la ricercatrice Dian Fossey, una contempotarea della Goodall che lavorava tra i Monti Virunga, nell'Africa Centrale.
Al pari della Goodall, la Fossey, una terapista di professione, che si occupava di bambini, non aveva alcuna esperienza precedente di lavoro sul campo.
Dian Fossey desiderava lavorare con gli animali, e fu Louis Leakey a offrirgliene la possibilità.
Volendo avviare uno studio prolungato sui gorilla, i più grossi primati, Leakey si diede subito da fare per assicurarle il supporto da parte della Society e, alla fine, riuscì anche a organizzarle un periodo di studio a Cambridge per ottenere il dottorato.
Nel 1967, la Fossey installò il suo accampamento su un freddo e nebbioso vulcano nella Repubblica Democratica del Congo.






Pochi mesi dopo, tuttavia, a causa di disordini politici fu costretta a spostarsi al di la del confine, in Rwanda, e a ricominciare da capo tra le ampie radure paludose del Parco Nazionale dei Vulcani, che divenne la sua casa per i successivi diciott'anni.
Lì fondò il centro di ricerche Karisoke, le cui capanne di lamiera continuamente battuta dalla pioggia avrebbero attirato studenti, scienziati e all'aumentare della fama della Fossey, troupe cinematografiche e giornalisti di tutto il mondo.
Le meticolose e dettagliate osservazioni ricavate in tanti anni di studio dalla Fossey avrebbero fruttato una conoscenza accurata e approfondita sui gorilla di montagna, una specie più numerosa e perfino più riservata di quella dei gorilla di pianura.
La Fossey considerava i gorilla "le creature più diffamate della Terra" e lottò per mostrare al mondo un vegetariano gentile e intelligente, totalmente diverso dal King Kong senza cervello che si batteva il petto rappresentato sugli schermi.
Prima del lavoro della Fossey, una tra le cause della scarsità di informazioni accurate su questi esseri risiedeva nella loro innata timidezza.
A Karisoke, questa ritrosia si univa a un giustificato timore verso i bracconieri.
Per far abituare i gorilla alla sua presenza, la Fossey rifiutò "le istruzioni dei testi...cioè: sedersi e osservare".
Al contrario, ebbe successo cominciando ad agire esattamente come i gorilla, quando si trovava in loro presenza, ripulendosi e grattandosi, sgranocchiando sedano selvatico, battendosi il petto e ruttando rumorosamente.
Raffinò anche i suoi vocalizzi, imparando da alcuni piccoli gorilla in cattività portati al suo campo.





Non appena i gorilla cominciarono a rilassarsi intorno a lei, la Fossey si diede da fare a tracciarne gli alberi genealogici, e arrivò a contare oltre duecento individui in quasi tre dozzine di gruppi "fluidi", ognuno dei quali era tenuto insieme da un maschio dal dorso argentato.
I gruppi rappresentavano comunità molto complesse, caratterizzate da ordinamenti instabili, trasferimenti da un gruppo all'altro, profondi legami affettivi e, occasionalmente, brutalità e infanticidi.
Eppure la Fossey ebbe modo di osservare spesso maschi adulti molto affettuosi e premurosi verso i più giovani, come quando vide, addirittura, un esemplare solleticare un compagno con un fiore.
I gorilla, imparò tragicamente la Fossey, combattono con ferocia per proteggere i membri della loro comunità.
Un solo tentativo di catturare un loro piccolo per uno zoo o per un parco può significare la morte di molti altri.





Alla vigilia del 1977, il gorilla chiamato dalla Fossey "il mio caro Digit" cercò di resistere a sei cacciatori e ai loro cani, in cui si era imbattuto con il suo gruppo mentre gli uomini ispezionavano le trappole che avevano allestito per catturare le antilopi.
Tredici esemplari del gruppo fuggirono, ma l'arrabbiatissimo Digit fu ferito mortalmente nella lotta.
In una scena finale di crudeltà spaventosa, gli assassini amputarono la testa e le mani di Digit, per i collezionisti di curiosità. ( li chiamo così...o anche collezionisti del cazzo! ).
"Da quel momento in avanti", scrisse più tardi la Fossey, "mi ritirai a vivere in una parte isolata di me stessa".
Digit tuttavia fu solo una delle molte vittime dei cacciatori: molti altri gorilla morirono a causa dell'infettarsi delle ferite provocate da trappole per antilopi.
Nel 1981, la popolazione dei gorilla di montagna del Virunga era scesa ad appena 239 individui.








La Fossey si dedicò con sempre maggior impegno a liberare Karisoke dai cacciatori di antilopi e dai mandriani, il cui bestiame rovinava inesorabilmente l'habitat dei gorilla nella foresta pluviale, ogni giorno più esiguo.
I suoi collaboratori arrivarono a rimuovere fino a 2000 trappole in un solo anno, il 1984, liberando molti gorilla rimasti bloccati.
Per la fine dell'anno seguente, poco prima di morire, la Fossey ebbe la soddisfazione di vedere le trappole illegali quai completamente eliminate, anche se nella zona si aggiravano diversi bracconieri: Questi però cacciando con l'arco, risparmiavano i gorilla.
La Fossey perseguì i cacciatori di frodo in prima persona.
Le tattiche non la interessavano: la sopravvivenza dei gorilla di montagna, esposti al rischio di estinzione, rappresentava tutto per lei.






Nel dicembre del 1985, un ignoto assassino, l'omicidio è tuttora insoluto, penetrò nella baracca della Fossey e le inferse sei colpi mortali al capo con un machete.
La ricercatrice fu sepolta tra le tombe dei gorilla assassinati come lei: una sessantina di persone scalò le pendici del vulcano e affrontò la foresta per partecipare al suo funerale.
Nel 1989, anno in cui venne effettuato l'ultimo censimento, il numero dei gorilla di montagna era salito a 310 individui.









venerdì 5 ottobre 2012

Racconti di viaggio: Patagonia, uomini e puma.

Patagonia: uomini e puma.
La storia della difficile convivenza tra i colonizzatori di questa terra estrema e il felino simbolo della Patagonia.
Per recinti e fucili rischiano l'estinzione anche "pudù" e "Huemules", mentre le balene della penisola di Valdes sono ormai "monumenti naturali" intoccabili.




A destra c'è solo l'erba e vento, a sinistra pure; davanti e dietro è lo stesso, a perdita d'occhio.
Poi d'improvviso ecco una casa di legno niente male in arnese, con un'insegna: "La Leona".
E' un caffè sperduto nel sud est della provincia di Santa Cruz: insomma nella pampa profonda, dove telefoni ed elettricità non sono mai arrivati.
L'estancia più vicina (la Silesia) è 16 kilometri più a nord, il villaggio meno lontano ( Charles Fuhr) 84 in direzione sud.
Quel caffè isolato dal mondo è gestito da una trentenne che vive laggiù tutta sola : si chiama Irma Westerlung ed è finlandese.
ora non pensate che "La Leona" sia riferito a Irma, donna coraggiosa e solitaria come i leones, cioè i puma che vivono sulle Ande.
Se il caffè si chiama così è in onore di un puma vero: una femmina che nel lontano 1916 s'imbattè da quelle parti in un esploratore dal nome leggendario, Perito Moreno, e lo aggredì.
Nel confronto l'animale perse la vita ma guadagnò fama eterna: prima che al caffè, quel nome fu dato a un vicino fiume, che taglia pigramente la steppa e va a gettarsi nel  Lago Argentino, proprio come un celebre ghiacciaio che ( ironia della sorte) si chiama Perito Moreno.




Ogni tanto qualche puma passa ancora nei pressi del caffè di Irma: "Io non ne ho mai visti, ma un allevatore ha trovato delle orme non lontano da qui", racconta lei.
Incontri simili sono comunque rari, perchè i leones non sono stupidi: hanno imparato in fretta che dall'uomo è meglio stare alla larga; così preferiscono cacciare nei fitti boschi andini, rifugio degli huemules, i tipici cervi patagonici, o nelle steppe più remote, che pullulano di guanachi, cugini selvatici dei lama.
Cervi e guanachi sono prede più facili dei bovini, dunque non vale la pena di rischiare la vita avvicinandosi alle estancias.
Ma questo vale solo d'estate, d'inverno, quando cade la neve e la caccia diventa difficile, i leones attaccano anche le mandrie, dice Tonci Kusanovic, allevatore di ascendenza croata che dirige La Angostura, un'estancia sul Rio Chico, 180 kilometri a nord del Rio Leona.
Tonci apre una vecchia stalla e indica una trave da cui prende una pelle di puma.
Ma il Leon non è una specie protetta?, "si, però se un esemplare uccide 40 capi di bestiame può essere eliminato", si autoassolve.





Chissà se il puma della trave era veramente un serial killer o se ha pagato le imprese di una intera tribù di congeneri...
Le storie di uomini e puma che la provincia di Santa Cruz può narrare sono molte.
E tutte dicono la stessa verità: far convivere la fauna selvatica con l'uomo bianco è difficile.
Due secoli fa il problema non esisteva, perchè in Patagonia vivevano solo popolazioni indigene che con la natura locale avevano un rapporto diverso rispetto a quelli dei coloni arrivati dal Nord.
Certo: anche loro cacciavano, ma con armi meno micidiali dei fucili; e soprattutto non avevano mandrie da difendere, nè usavano tagliare la steppa con reti di filo spinato per ricavarne terre private, vietate a puma, volpi e guanachi.
Se la fauna in Patagonia abbia sofferto  più per i fucili, i recinti di confine o la concorrenza alimentare del bestiame domestico, è tutto da vedere; certamente è colpa delle armi da fuoco se gli huemules, un tempo numerosi, oggi sono a rischio di estinzione.




Idem dicasi dei pudù, cervi nani che sopravvivono solo in qualche area protetta.
Intendiamoci, di sicuro i guanachi non sono nelle condizioni drammatiche dei pudu e degli huemules: viaggiando in auto in Patagonia se ne vedono a centinaia, dalle valli cilene alle coste dell'Atlantico.
Ma è indubbio che le grandi ganaderìas ( allevamenti allo stato brado ) abbiano fatalmente sottratto spazio ai "lama selvatici".
E ciò  ha avuto effetti a catena, compreso il fatto che i puma attacchino il bestiame.
Infatti il filo spinato può fermare i grandi erbivori ma non i leones, che una volta entrati nei latifondi cacciano ciò che trovano.
E in mancanza di guanachi, ripiegano sulle mucche.
Finora questa rivoluzione ambientale ha fatto poche vittime: ufficialmente l'elenco degli animali estinti negli ultimi 200 anni comprende solo un coleottero acquatico in Cile e una lucertola in Argentina.
Molte di più sono però le specie che potrebbero finire male nel prossimo futuro: l'Iucn, l'Istituto scentifico che sta alle spalle del Wwf, ritiene a rischio più o meno grave 311 tra animali e vegetali in Cile e 407 in Argentina.
E c'è chi è ancora più pessimista: la Foundacion Vida Silvestre, un club protezionista di Buenos Aires, afferma che le specie in pericolo in Argentina non sono 407 ma 779.





Consola poco sapere che questi dati non si riferiscono alla sola Patagonia ma all'intero territorio dei due Paesi.
Eppure nonostante questo quadro preoccupante, la Patagonia resta ( in tandem con la Terra del Fuoco ) una delle più grandi riserve faunistiche della Terra.
E' logico: qui, l'invasione umana è arrivata tardi, quindi la natura è rimasta integra più a lungo; inoltre l'estrema varietà di habitat ha spinto la fauna a evolversi per mille strade diverse.
Morale: in Patagonia vivono nutrie, colibrì e armadilli come in tutto il Sudamerica, ma anche marsupiali come in Australia ( l'opossum cileno è il  monito de monte, lontani parenti dei canguri ma piccoli come ghiri ) e un'armata di canidi selvatici variegata come in Africa.
Questa biodiversità raggiunge punte estreme tra gli uccelli.
In ogni habitat la Patagonia conta, oltre a rappresentanti generici, anche autentici primatisti: qui vivono per esempio l'uccello nuotatore, il rapace e il volatore d'alto mare più grandi del mondo, cioè il pinguino imperatore, il condor e l'albatro reale, signori di ambienti diversissimi fra di loro, come le terre sub polari, le Ande e gli oceani.







Punto Tombo ricorda quanto sia vicina L'Antartide, che dei pinguini è la patria d'eccellenza: fra la Terra del Fuoco e la Penisola di Palmer, avamposto del continente di ghiaccio, corrono solo mille kilometri.
Per questo motivo, quando l'inverno antartico rende inabitabili le latitudini estreme, gli animali si spostano verso nord.
Attenzione particolare meritano le balene, che nelle acque argentine hanno il loro "palazzo d'inverno" preferito: dei 7000 esemplari che la franca australe conta nel mondo, 2500 incrociano stagionalmente al largo della Penisola di Valdes, dove si riproducono e sono diventate da tempo una redditizia attrazione turistica.
Tutti protetti, tutti monumenti anche se si tratta di ben strani monumenti, che si spostano di continuo.




Il puma invece non è ( ancora ) incluso tra i "monumenti": gli allevatori lo odiano, i montanari andini lo temono: quindi la tutela assoluta del predatore riuscirebbe impopolare.
"Eppure da noi il leon non attacca mai l'uomo: i rarissimi incontri si risolvono sempre con la fuga dell'animale" giura Adrian Falcone, guardia del Parco Los Glaciares, una delle poche aree-rifugio dove il felino può tuttora cacciare in pace.
Chissà, forse un giorno uomini e puma  riusciranno a convivere: come del resto fanno già le acque del Rio Leona e del ghiacciaio Perito Moreno, che si mescolano nello stesso lago.





Trovato un piccolo dinosauro con zanne da vampiro.


Un dinosauro minuscolo, ma con zanne acuminate degne di un vampiro, con le quali divorava... solo piante, probabilmente.
Questo almeno è ciò che emerge dalla ricerca sui resti fossili di Pegomastax africanus, un eterodontosauro ("rettile dai denti diversi") lungo circa 60 centimetri vissuto attorno a 200 milioni di anni fa.
Heterodontosaurus era un genere cui appartenevano varie specie di piccoli dinosauri dai denti acuminati che "trotterellavano fra le zampe di altre creature più grandi all'alba dell'era dei dinosauri", dice l'autore della scoperta Paul Sereno, explorer-in-residence della National Geographic Society.




Coperto da aculei simili a quelli dell'istrice e munito di un bel becco da pappagallo, P. africanus probabilmente aveva l'aspetto di un "bizzarro uccellino", dice Sereno, paleontologo della University of Chicago.
La sua dentatura, ipotizza Sereno, somigliava molto a quella di un pecari o di uno iemosco acquatico, moderni mammiferi erbivori che usano i denti acuminati per difesa o per nutrirsi.
La specie, aggiunge lo studioso, viveva lungo le sponde alberate dei fiumi dell'Africa del sud all'epoca in cui il supercontinente Pangaea stava iniziando a separarsi fra masse terrestri settentrionali e meridionali.
Sereno ha identificato la nuova specie mentre preparava uno studio comprensivo sugli eterodonti grazie a fossili custoditi fin dagli anni Sessanta presso la Harvard University.
Per scoprire quale funzione avessero i denti affilati del dinosauro, Sereno ha riassemblato la mascella e la dentatura di P. africanus.
Poi ha messo a confronto la sua ricostruzione con le stesse ossa di dinosauri carnivori e di erbivori moderni dai denti acuminati. 

Ha scoperto così una maggior corrispondenza di questa caratteristica di P. africanus con quelle degli attuali mammiferi, un'evidenza confermata dall'analisi al microscopio dei segni di erosione.
Il ricercatore ipotizza anche nello studio, pubblicato sulla rivista ZooKeys, che i molari superiori e inferiori dell'animale funzionassero come delle "forbici auto-affilanti" per tagliare parti di piante.
Un piccolo dinosauro molto avanzato
Trovare una nuova specie di eterodontosauro "non è una notizia sensazionale", dice Hans-Dieter Sues, paleontologo del National Museum of Natural History di Washington, D.C.
"Ciò che rende veramente importante il contributo di Sereno è il suo studio esaustivo di questi piccoli dinosauri".
In particolare, Sues (che non ha preso parte allo studio) si dice colpito da come Sereno "sia riuscito a capire come masticassero il cibo, il che contribuisce a spiegare la loro particolare dentatura".
Non solo; secondo Sereno, la sofisticata struttura mandibolare di P. africanus era molto avanzata: caratteristiche simili si sarebbero evolute solo milioni di anni dopo nei mammiferi.
Se questo dinosauro grande come un gatto fosse vissuto oggi "sarebbe stato un grazioso animaletto da avere per casa", scherza Sereno; "certo, bisognava insegnargli a non mordicchiare".






Africa Australe: Namibia, acconciature Himba.

Africa Australe:  Namibia, acconciature Himba.




Bisogna spingersi su a Nord, nella spettacolare e isolata regione del Kaokoland, per poter incontrare gli Himba, magnifica popolazione nomade che vive in comunità isolate nelle valli remote.
Gli Himba si spostano seguendo la scarsa pioggia, alla ricerca di foraggio per il loro bestiame:più precisamente, questo compito è demandato agli uomini, mentre alle donne è affidata la cura del villaggio.
Ogni insediamento Himba (onganda) è composto da più capanne (ondjuwo) edificate con rami e rivestite di terra impastata e lisciata con orina animale, disposte attorno ad un kraal centrale.

Le tribù sono organizzate in clan con linea gerarchica femminile (omaanda), ed a capo di ogni onganda c'è una matriarca.


 
 

La struttura sociale è estremamente complessa: ogni bambino Himba appartiene sia ad un clan patrilineare (oruzu) che ad uno matrilineare (eanda): ogni clan discende da un antenato comune, il cui mito è all'origine del clan stesso, ed ha i propri tabù, che riguardano il divieto di mangiare la carne di un determinato animale o la proibizione per le donne mestruate di mungere le vacche.
Grande importanza nella cultura Himba riveste la cura dei capelli e l'acconciatura.

I giovani maschi portano i capelli rasati con un solo ciuffo in mezzo alla testa: il ciuffo viene lasciato crescere con l'età e viene pettinato all'indietro in un'unica treccia (ondatu): raggiunta l'età del matrimonio (a circa 25 anni), i capelli vengono divisi in due trecce (ozondatu).
Quando poi il giovane si sposa deve sempre nascondere i capelli con un berretto (ozondumbu) che si può togliere solo quando dorme ed in caso di lutto.




Le giovani, invece, si fanno crescere i capelli che pettinano in due trecce rivolte in avanti, finchè, con la pubertà, possono sciogliere i capelli in tante trecce: da questo momento, possono avere rapporti sessuali. I capelli ed il corpo delle donne vengono spalmati di grasso e di ocra ed altre erbe aromatiche.
Le acconciature delle donne sono molto particolari e indicano lo stato sociale: come detto, le due trecce sono riservate alle giovani, mentre le trecce cosparse di grasso ed ocra sono delle donne mature: la donna sposata aggiunge in testa un ciuffo di pelle di antilope (omarembe) che rivolta quando è vedova, e porta una conchiglia (ozohumba) fra i seni, proveniente dai mari dell'Angola e considerato un simbolo di fertilità.
In particolare, questa straordinaria collana a doppio contrappeso dorsale (non ha equivalenti nel continente africano) attira lo sguardo del visitatore e può essere considerata l'icona del popolo Himba e, per estensione, della Namibia.




Le acconciature costituiscono spesso delle complesse architetture ottenute modellando i propri capelli con l'ausilio di pettini, burro, olio, terra, polvere di legno di cam.
Talvolta l'acconciatura è sostenuta da impalcatute di legno, bambù o intrecci di vimini.
All'effetto complessivo può concorrere anche l'applicazione di vari elementi decorativi come campanelle, conchiglie, semi o gioielli in ambra, argento, oro e avorio.




Diversamente da quanto avviene oggi nelle città africane, in passato il parucchiere non costituiva una professione a sè stante perchè l'affidare la propria testa a un estraneo comportava gravi rischi per la propria incolumità, il pericolo di malefici: l'agire sui capelli di qualcuno può servire ad impossessarsi della sua persona.
Per questo motivo si riccorreva a parenti stretti e amici fidati.




giovedì 4 ottobre 2012

Egitto: Religione e scienza. Amon.

Egitto: Religione e scienza, Amon.






La storia religiosa che ha condotto Amon a diventare la divinità suprema del pantheon egiziano risale molto indietro nel tempo.
In origine, infatti, Amon era una divinità guerriera venerata nell'area tebana, nell'Alto Egitto, ed elevata a divinità principale della regione quando, durante il I periodo Intermedio, la dinastia locale iniziò a confrontarsi con gli altri potentati in cui era diviso all'epoca il Paese.
Quando la casata tebana riuscì ad imporsi, Amon divenne il dio tutelare della regalità e, non a caso, alcuni faraoni della XII dinastia iniziarono a portare il nome di Amenemhat ("Amon è alla testa"), composto con il nome del dio.
Il ruolo di Amon si accrebbe quando la XVIII dinastia spostò la capitale del paese a Tebe, sua sede culturale originaria.
Le prerogative già acquisite in passato dal dio vennero amplificate fino a porsi al di sopra di tutte le altre divinità, mentre il suo tempio e il suo clero si avviarono a diventare la più potente e grande istituzione religiosa che mai l'Egitto avesse conosciuto.





Il clero di Amon assimilò inoltre elementi solari di origine eliopolitana, in modo da poter conferire al dio anche un carattere cosmico e demiurgico, secondo la tradizione tracciata già dalle altre grandi divinità nazionali.
Emerse così la figura sincretistica di Amon-Ra, re di tutti gli dei, sorgente stessa della regalità e della potenza guerriera del faraone, sposo della dea Mut e padre del giovane dio Knonsu, con i quali formava la Triade tebana.





Statua di Amon che protegge Tutankhamon, XVIII dinastia, granito nero, h 220 cm, Parigi, Musèe du Louvre.


Questa splendida statua di granito nero raffigura il dio Amon-Ra assiso sul trono e con le mani poste sulle spalle di una piccola statua antistante, in segno di protezione.
Il volto è giovanile e comunica freschezza e serenità.
La statua di Tutankhamon è priva della testa, ma siamo ugualmente in grado di identificarla grazie alle iscrizioni geroglifiche, su di essa incise, che restituiscono il nome.




Il dio Amon viene spesso raffigurato come un ariete, animale a lui sacro.
Sembra che il dio abbia acquistato questa iconografia quando il suo culto si propagò in Nubia.
Amon è raffigurato nella forma di un ariete che protegge tra le sua zampe Amenhotep III.
La tipologia della statua è quella intesa a raffigurare la divinità che accorda il suo favore e la sua protezione al faraone.
Si possono rintracciare i prodromi di questa modalità di rappresentazione nella celebre statua di Chefren, per giungere alle statue dell'epoca di Nectanebo II, che raffigurano l'Horo pa Bik ("il falcone") che protegge il faraone tra le sue zampe.
E' verosimile che questa statua sia stata realizzata per il tempio di Amenhotep III fece edificare in Nubia, a Soleb, e che solo in tempi successivi sia stata portata a Tebe.