martedì 27 novembre 2012

India: Via ascetica.

"L'asceta unificato dalla disciplina, abbandonando il frutto dell'atto, ottiene la pace definitiva; chi non è unificato, attaccato al frutto a causa del desiderio, resta legato".
( Bhagavadgita ).






Nell'India antica l'autoemarginazione dalla società e la completa rinuncia ai beni materiali, in favore di una ricerca spirituale totale, non è mai stata solamente una scelta, come in Occidente, ma era prevista nel corso della vita dell'uomo, così come prescrivono i Dharmasutra e i Dharmashatra.
Infatti, fra i quattro ashrana (stadi della vita) di un membro maschio della società indiana, il terzo (vanaprastha) è quello dell'anacoreta che, spoglio di ogni bene, si ritira nella foresta (vana), abbandonando famiglia, casa, averi per meditare in solitudine sulla rivelazione vedica.
Questo stadio era la preparazione all'ultimo, quello del rinunciante totale (sannyasa) errante che vive esclusivamente del cibo spontaneamente offertogli, in silenzio, impassibile e dolore e piacere, in perpetua contemplazione dell'Assoluto, accompagnando la meditazione con tecniche yogiche e di mortificazione del corpo per imparare a distaccarsi sempre più dalla corporeità e dalla materialità.
Quando sente prossima l'ora della fine terrena, il sannyasa intraprende il "grande viaggio" (mahaprasthana), procedendo in linea retta verso nord-est, sostentandosi esclusivamente con l'acqua fino alla morte.
Se il Buddha, secondo la tradizione, dopo aver trascorso sei anni mortificandosi con le più dure tecniche ascetiche, giunge alla conclusione che esse siano totalmente inutili per raggiungere il nirvana, il suo contemporaneo Mahavira fa dell'ascesi un elemento fondante dell'esperienza religiosa faina.





Rilievo con dvarapala ("guardiano della porta") e asceta in posizione logica ,Tempio Ravana Phadi ad Aihole VII secolo (Karnataka).

Sulla sinistra: La postura del personaggio in equilibrio su di una sola gamba (Arjuna) raffigurato nel celeberrimo rilievo della Discesa del Gange o Penitenza di Arjuna, a Mamallapuram, e riconduce ad asana (posizioni) dello yoga.
Gli elementi da quanto si potrebbe pensare, le rappresentazioni figurate di asceti non sono numerose in India.
Si contano infatti poche immagini sia dell'induismo sia del buddismo: nel primo caso vi sono rilievi rappresentanti divinità che si sottopongono a tali pratiche.
Gli elementi iconografici che permettono il riconoscimento degli asceti sono il ventre scavato, le costole in evidenza e la barba lunga.



Statua di Siddhartha che digiuna, arte del Gandhara, II-III secolo d.C., Lahore Museo.


L'opinione del Buddha sulle pratiche ascetiche, che egli provò per sei durissimi anni e quindi abbandonò, è netta: esse sono del tutto inutili come via per l'Illuminazione, anzi distraggono dal fato ultimo.
Ciò nonostante, sono testimoniate alcune sculture che ritraggono il Buddha nel periodo in cui era un samnyasa: tuttavia esse sono limitate alla zona del Gandhara.
La presenza della barba incolta sottolinea la trascuratezza di Siddhartha, concentrato solo nella meditazione.
Dopo l'esperienza ascetica il Buddha comprese di voler trovare una "dottrina di mezzo" ovvero a metà strada fra la rinuncia assoluta e l'appagamento totale del desiderio.
Questa immagine di epoca kushana, perfettamente conservata, estremizza il gusto di matrice ellenistica per il naturalismo anatomico, evidenziando dettagli come le vene a fior di pelle, muscoli e tendini, l'infossatura delle orbite.