martedì 23 ottobre 2012

Vesuvio e Campi Flegrei, unico bacino magmatico, doppio rischio.




Secondo lo studio di due vulcanologi dell'Osservatorio Vesuviano, i due siti hanno una camera magmatica comune da cui il magma potrebbe risalire in qualunque momento.
Ci sarebbe un'unica, estesa, camera magmatica a 8-10 chilometri di profondità nel Distretto vulcanico napoletano.
Un bacino comune alla caldera dei Campi Flegrei e al Vesuvio, colmo di magma, che potrebbe fuoriuscire in qualsiasi momento e risalire in tempi brevi verso la superficie.
A sostenerlo, in uno studio recente pubblicato nella sezione Scientific Reports della rivista scientifica Nature, due vulcanologi dell'Osservatorio Vesuviano, Lucia Pappalardo e Giuseppe Mastrolorenzo.
I due ricercatori hanno comparato i magmi primari, cioè quelli situati in profondità, nella crosta e nel mantello, del Vesuvio e dei Campi Flegrei e studiato le rocce provenienti dai depositi prodotti dai due sistemi vulcanici nel corso delle eruzioni passate.
"Abbiamo studiato in particolare la velocità di crescita dei minerali, fra cui il sanidino", spiega Pappalardo.
"E, analizzando i rapporti isotopici delle rocce, indicatori della sorgente da cui deriva il magma, ci siamo accorti della somiglianza fra le rocce provenienti dal Vesuvio e quelle provenienti dai Campi Flegrei.
È questo che ci ha fatto pensare all'esistenza di un unico bacino magmatico comune ai due sistemi vulcanici".
Studiando i flussi di calore provenienti dai due complessi vulcanici, maggiori in corrispondenza dei Campi Flegrei e minori man mano ci si avvicina al Vesuvio, i due vulcanologi sono inoltre arrivati alla conclusione che, probabilmente, gran parte della sorgente magmatica si troverebbe in corrispondenza dei Campi Flegrei, considerati un "super vulcano" potenzialmente molto più pericoloso del Vesuvio.




L'ultima eruzione della grande caldera risale al 1538 e, secondo i due ricercatori, sarebbe trascorso abbastanza tempo perché si possa assistere a una nuova eruzione esplosiva: durante il periodo di quiescenza il contenuto del gas sarebbe aumentato, creando le condizioni ideali per una possibile eruzione.
Nel caso dovesse verificarsi, "il processo di risalita del magma sarebbe molto veloce, impiegherebbe pochi giorni", spiega Mastrolorenzo.
 "Ciò significa che dal momento in cui si verificano i fenomeni precursori dell'eruzione (come variazioni delle caratteristiche chimiche e delle temperature delle fumarole, deformazioni del suolo e attività sismica) ci vogliono pochi giorni perché il magma risalga in superficie.
Cosa che, in assenza di un piano di emergenza riguardante i Campi Flegrei, potrebbe provocare dei disastri non solo a livello locale, ma estesi a tutta l'area campana".
L'innesco delle eruzioni è imputabile alla presenza di acqua, o meglio di vapore acqueo, nei magmi presenti sotto ai Campi Flegrei, in grado di generare, attraverso la spinta del gas, condizioni di sovrappressione della camera magmatica, che potrebbero portare alla rottura della parete rocciosa e quindi causare l'eruzione.
"Il magma è molto viscoso e ricco di gas, fattori responsabili delle eruzioni esplosive", continua Pappalardo. "Nella caldera, nei primi 4 chilometri di profondità, sono presenti delle falde acquifere: durante la risalita magmatica, il magma (che si trova a una profondità di circa 7-8 chilometri) incontra questi bacini e il contatto fra acqua e magma è un'ulteriore causa di eruzioni esplosive".




"Per la zona del Vesuvio è stato approntato un piano di emergenza inadeguato, che prende in considerazione la possibilità di un'eruzione intermedia", sottolinea Mastrolorenzo.
"Per i Campi Flegrei, addirittura, il piano non esiste nemmeno: eppure qui le eruzioni - potenzialmente più violente di quelle scatenate dal Vesuvio - possono verificarsi in qualsiasi punto della caldera e alcune zone di Napoli che si trovano al suo interno (i quartieri Soccavo, Fuorigrotta e Posillipo e le frazioni Pianura, Pisani, Agnano) potrebbero ritrovarsi sotto grandi spessori di cenere".
Lo studio condotto da Pappalardo e Mastrolorenzo prende in considerazione lo scenario peggiore.
Ma, conclude Mastrolorenzo, "è proprio quando le autorità sottovalutano gli scenari che si creano i presupposti di una catastrofe. È il passato a insegnarcelo"