lunedì 12 novembre 2012

Racconti di viaggio: Avventure nel Borneo Malese.

Foreste inaccessibili, parchi marini iridescenti e numeri da record per questa parte del mondo, tra le poche ancora inesplorate.





Il gusto autentico di una terra ancora quasi inesplorata? Dove assaporarlo, in un mondo ormai globalizzato, se non nel Borneo malese? Contrasti fittissimi segnano i due stati in cui è diviso, il Sabah e il Sarawak, come se si passasse in pochi chilometri attraverso secoli lontanissimi.
Tribù primitive nell'interno ancora legate a tradizioni millenarie, città avveniristiche sulla costa, dotate di aeroporti internazionali dove fanno scalo ogni giorno compagnie aeree fornite di ogni comfort.
Nel Sabah, la "Terra Sottovento" circondato da tre mari, il mare di Sulu, il mare di Celebes e il mare della Cina Meridionale, si trovano una serie di parchi sottomarini costituiti da isole che sono veri paradisi per i subacquei, mentre nell'interno i parchi sono il paradiso delle ecoavventure. La stessa che ho provato a fare io...provato.
Atterrato a Kota Kinabalu sono stato accolto da hotel e grattacieli, come nelle più avanzate metropoli malesi, proiettate tutte verso un futuro ruggente e aggressivo.
Ma la modernità introduce ad un mondo che per fortuna è ancora intatto e in parte inesplorato.
La prima cosa che ho pensato è stato sul come gestire il tempo a disposizione.
Non ho il biglietto di ritorno perché avevo proprio voglia di stare in questo paese un bel po', non so ancora quanto, ma un bel po'.
Spedizioni guidate nella foresta, brevi visite di introduzione nelle zone più incredibili, rafting lungo i fiumi ricchi di rapide, itinerari specializzati alla scoperta della flora e della flora o dell'antropologia culturale.
Ma io voglio solo farmi un giro! un giro tranquillo, senza rompere le palle a nessuno.
Non voglio portarmi a casa un coccodrillo, non voglio organizzare serate con gli amici identificandomi in un Rambo "sfigato" del viaggio all'avventura.
Io all'avventura ci sono abituato ogni volta che vado dal mio commercialista: voglio solo farmi un giro nel Borneo. Punto.







E' una terra da record: la Malesia è il paese che possiede il fiore più grande del mondo: la rafflesia, che raggiunge il metro e mezzo di diametro ( ma se la tira...e si concede a soli pochi fortunati, infatti il periodo della fioritura è limitato e causale ), alberi alti più di 200 metri, la terribile Nepenthea velenosa che cattura e divora gli insetti attratti dalle sue riserve d'acqua.
7000 specie differenti di insetti, e tutti nel mio sacco a pelo, foreste primordiali tra le più antiche del mondo di 130 milioni di anni.
218 specie di farfalle.
Le orchidee splendono in una varietà incredibile nel mare verde della foresta, splendide farfalle svolazzano variopinte, mentre le famose scimmie dalla proboscide si possono visitare nelle spedizioni che percorrono i fiumi in barca.
Tutta particolare è poi l'avventura di assistere al ciclo di rieducazione degli oranghi a Sepilok, vicino a Sandakan, sulla costa orientale del Sabah.







E a pochi chilometri da questo regno inestricabile si aprono spiagge coralline che fanno sognare coppie romantiche e appassionati di diving.
Le isole immerse nelle acque scintillanti e nella barriera di corallo costituiscono un vasto ecosistema da scoprire pazientemente sotto l'acqua.
Quando ero piccolo mia mamma mi diceva sempre..."vai al mare con le pinne, maschera e boccaglio e cerca di non fare danni al mare..." poi scopro che si chiama snorkeling!. ( parola che fa figo ).
Vuol dire che ho fatto per quarant'anni snorkeling e nessuno me lo ha detto .!!!
Uomini del "villaggio turistico" vi adoro! ...ancora di più se non fate danni...e va beh!





Ma è la foresta la vera protagonista del territorio, un paradiso misterioso che ricopre due terzi della Malesia e ha cominciato a conoscere le prime esplorazioni sistematiche solo verso il 1975 e che ancora oggi, in alcune parti del Borneo centrale, si raggiunge solo per via fluviale.
Pure essendo fonte di enorme ricchezza con i suoi legni pregiati da esportazione, viene protetta con i Permanent Forest Estates, parchi nazionali che diventano veri santuari naturali da rispettare.
Certo è difficile sperimentare a fondo le emozioni della foresta, sia perché occorre possedere resistenza e allenamento, sia perché bisognerebbe disporre di una settimana solo per la visita del Borneo malese.
Un'emozione cui non si può rinunciare, anche in un solo giorno a disposizione, è quella di passare sopra i ponti sospesi all'interno dei parchi.
A Kinabalu Park nell'area di Poring Hot Springs si sviluppa il Canopy Trail, una incredibile passerella lunga 150 metri, alta 41metri da terra, costruita nel 1995.
L'effetto è quello di camminare sulla vetta della giungla, abbracciando con lo sguardo le chiome verdi degli alberi, le foglie gigantesche fittissime fino a formare colline di vegetazione, mentre sotto i piedi si sente il rumore impietoso dell'acqua scrosciante.













Da qui il monte Kinabalu sembra più vicina con la cima avvolta nella nebbia e le balze coperte da felci bagnate dalla rugiada della mattina.
L'ecoturismo nella foresta pluviale del Borneo riserva sorprese che hanno del miracoloso, come le piante medicinali contro i disturbi dell'intestino, del cuore, della pelle, che poi si trovano nei mercati locali all'aperto chiuse in misteriosi sacchettini difficili da decifrare.
Solo un occhio e una mano esperti possono guidare nella scelta e nell'utilizzo di polveri, semi, foglie e radici.
Per fortuna la comunicazione con la mia guida si è subito dimostrata semplice. Non ho mai pensato a lui come una guida bensì come un compagno di viaggio. Lui l'ha capito ed è stato tutto molto più semplice, umano, divertente.
Il problema della comunicazione si ha quando si cerca di parlare in italiano corretto con un vigile a Milano, e non certo qui.







La storia qui assume dimensioni contratte o dilatate.
Sono definiti "antichi" gli edifici del 1911 e del 1930, ma sono ancora attuali i villaggi che vivono come 1000 anni fa.
Le leggende poi assumono i toni sfumati tra sogno e realtà.
E' mai esistito Sandokan, la tigre della Malesia, che ha fatto sognare tutti per intere generazioni, prima sulle pagine dei romanzi e poi sullo schermo?
Forse no, creato dalla fervida fantasia di Salgari.
Ma Labuan è davvero un'isola al largo del Borneo e sir Brooke fu davvero il rajah del Sarawak.
Un rajah che proveniva da una carriera molto prosaica: ufficiale britannico, James Brooke aveva abbandonato l'esercito in India all'inizio del XIX secolo e si era proposto al Sultano del Brunei per riportare la pace nella provincia in preda a disordini.
Il compenso fu il controllo di tutta la regione e il titolo di rajah che la famiglia Brooke conservò per un secolo.
Ed è veramente esistito il guerriero Manopiah al quale è dedicato un villaggio vicino a Kota Kinabalu?
Qui gli spiriti degli antenati regnano ancora tra le capanne in bambù e vicino alla pietra monolitica del giuramento che si faceva prima della battaglia.
Le capanne sono ricostruite identiche a quelle originali, gli strumenti per pulire e macinare il riso sono ancora lì e quando si entra nella capanna centrale dove si conservano le collane e le pesanti cinture d'argento delle donne, bisogna ancora pronunciare la formula di scongiuro rivolta agli spiriti: "Siou Do Mohoing", perdonaci di entrare. 
Come quando si entra da Equitalia.
Altre capanne assumono la forma delle longhouses che ospitavano tradizionalmente fino a cinquanta famiglie.
Si possono vedere con una spedizione fluviale nella foresta oppure, nell'area all'aperto del Museo Antropologico di Kota Kinabalu.
Non penso di tornare presto in Italia...









domenica 11 novembre 2012

Grandi viaggiatori: Reinhold Messner, un'avventura lunga una vita.

Ha raggiunto le vette più alte del mondo sfidando le forze della natura, e rispettandone le leggi è riuscito a portare a termine le sue sfide e a sopravvivere in ambienti estremi come l'Antartide, il Polo Nord o il deserto dei Gobi: è Reinhold Messner.




Nel frenetico mondo attuale dominato dalla tecnologia e dal progresso scientifico il rapporto uomo-natura sembra sempre meno marcato; ma cosa vuol dire sfidare la natura?.
Lo abbiamo chiesto a Reinhold Messner, un "avventuriero", come egli stesso si definisce, che per tutta la vita non ha fatto non ha fatto altro che vivere in sintonia con essa.
La natura affascinante da mozzare il fiato, che sa essere letale e senza pietà, vista con gli occhi di chi ha tentato di penetrare i segreti.





Messner come ha scelto la sua prima missione?

Ho iniziato con la roccia, poi sono andato in alta quota, in seguito ho affrontato le grandi traversate in Groenlandia, nel Polo Sud, nel deserto di Gobi, così mi son spinto sempre più lontano nelle zone più desolate o più deserte; è uno sviluppo del tutto logico.

Ricorda cosa pensava quando è arrivato in cima?

In cima non senti un gran chè, è tutto freddo e l'aria per riprendere il fiato è gelida: il posto per stare in piedi è tutto ghiacciato e pensi che che devi scendere perché la sicurezza è giù... . La visione di chi sta sotto che in cima c'è qualcosa di speciale è sbagliata: l'emozione forte arriva quando ritorni nella società, nella vita di tutti i giorni.

Esiste una scalata che ricorda con più soddisfazione?

Tutte le scalate che ho fatto fino adesso, che sono circa 3500, sono state uniche: ho fatto più di cento spedizioni finora, ed è chiaro che la spedizione che sto per intraprendere mi entusiasma più di una che ho già compiuto cinquanta anni fa.











All'età di cinque anni Reinhold Messner ha cominciato a scalare le montagne.
Terminati gli studi ha lavorato per un breve periodo come insegnante alle scuole medie.
dal 1969 in poi ha intrapreso oltre cento viaggi nelle zone montuose e nei deserti di tutto il mondo, raccontando le proprie imprese sulle pagine di dozzine di libri.

Qual'è il suo rapporto con la paura?

E' l'altra metà del coraggio; la paura c'è sempre, perché quello che faccio e che tento di fare è difficile e pericoloso.
Come esiste la paura c'è anche il coraggio; questi due valori sono in equilibrio posso partire, se ho paura non posso partire...e se ho troppo coraggio rischio la vita.

Quanto influisce l'apporto di strumenti tecnologici durante una scalata?

Forse meno delle infrastrutture.
Oggi il fatto è che la maggior parte delle vie per le scalate sulle cime alte sono preparate dagli sherpa, questo significa che esiste una strada che porta su e quindi non è così impossibile salire.
Gli aiuti tecnologici come l'ossigeno o anche la droga per aumentare le prestazioni fisiche che circolano oggi, sono secondarie e sbagliate.
Secondo me è molto importante per avere un'avventura pulita e seria, andare dove gli altri non vanno.





Reinhold Messner è riuscito ad aprire moltissime nuove vie di ascensione, è stato il primo al mondo a scalare tutti i 14 ottomila, ed è perfino riuscito a fornire una risposta all'enigma dello yeti. Non ha mai inseguito alcuna "meta da record", ma ha invece dedicato le sue imprese a scoprire paesaggi naturali più incontaminati possibili, limitando al minimo indispensabile l'uso di mezzi artificiali.

Rispetto a quando ha iniziato, secondo lei cosa è cambiato nel mondo delle esplorazioni?

Mah, innanzi tutto io non sono un esploratore, sono un avventuriero; io cerco l'avventura non come ad esempio Amudsen nel Polo Sud, lui era un esploratore.

Qual'è la temperatura minima che ha raggiunto?

Direi 54 o 55 gradi celsius sottozero.

Quanto tempo impiega per preparare una missione?

Il tempo di preparazione è variabile; va da una settimana se preparo una salita, ad esempio sulle Alpi, a mesi o anni se devo affrontare una zona del mondo estrema come i deserti e i Poli.
Un po' di tempo fa ho fatto una scalata sulle Alpi, e mi sono preparato in una settimana, ho controllato l'attrezzatura e sono partito.

Cosa si mangia durante le spedizioni?

Dipende dalla scalata, se mi trovo in alta quota mangio poco e bevo tanto, utilizzo ad esempio molte minestre, se vado invece ai Poli ho bisogno di cibi molti grassi, mentre se vado nel Gobi mangio quello che trovo sul posto; nel deserto passano i nomadi che offrono ciò che hanno come, ad esempio, il grasso di pecora asciutto, che è difficile da mangiare, ma è importante per la sopravvivenza in quell'ambiente così ostile.









Quando torna dai suoi viaggi, si ritira in famiglia a Merano e nel suo vicino castello Juval, dove gestisce dei masi agricoli, scrive i suoi ieri e lavora alla realizzazione del progetto Messner Mountain Museum.
Infine Messner è un apprezzato commentatore televisivo o conferenziere di fronte ad un pubblico di alpinisti, operatori turistici e manager imprenditoriali.

E' riuscito a raggiungere tutti gli obiettivi che si era prefissato oppure qualcuno le è sfuggito?

Io ho fallito molte volte e sono contento di essere fallito.
Credo che noi uomini impariamo attraverso il fallimento, non con i successi.
Se non avessi fallito di tanto in tanto non sarei neanche vivo, perché avrei commesso errori gravi e sarei morto: fare avventura significa tentare, se vedo che è troppo pericoloso torno indietro e non è grave che si possa fallire.

Lei crede di aver raggiunto il proprio limite?

Sono molto contento di avere avuto la possibilità di esprimermi sulla roccia, in alta quota, nei deserti o ai Poli, attualmente sto facendo in montagna un lavoro culturale, è un' avventura di tutt'altra dimensione, spero di riuscire a portare a termine anche questa avventura, e sono contento di potermi esprimere in questo modo.







Concludiamo questo viaggio nel mondo dell'avventura  con le parole del "leggendario" Enzo Maiorca riguardo al coraggio e al rapporto con la sfida:
"Il mare mi ha insegnato che un uomo senza paura è un pazzo, e un uomo senza coraggio è un codardo. Bisogna trovare il giusto equilibrio", e Messner l'ha trovato.











Africa: Luoghi dell'abitare. Musgum.


"Di che perfezione formale che fa pensare a qualche costruzione d'insetti, o ad un frutto: una pina o un ananasso". Andrè Gide.





Da almeno tre secoli i Musgum, popolazione di pescatori e allevatori, abitano nelle piane alluvionali lungo la frontiera fra Camerun e Ciad.
Le abitazioni Musgum ( tolek ) sono costruite con un impasto di paglia e fango e raggiungono un'altezza che va dai sei ai quindici metri, per un diametro variante fra i cinque e i dieci metri.
Diverse case sono raggruppate su uno stesso appezzamento di terra su cui convivono più generazioni di una stessa famiglia.
Per quanto abbiano cominciato a diminuire visibilmente a partire dagli anni trenta in conseguenza della presenza coloniale francese, fino a quasi scomparire, le abitazioni Musgrum hanno conosciuto negli ultimi anni una ripresa, nel tentativo da parte della popolazione locale di recuperare la propria tradizione e di attrarre i turisti, anche sotto lo stimolo di organizzazioni internazionali per la difesa del patrimonio.
Una valorizzazione cui ha contribuito anche una pagina di Andrè Gide ( Viaggio al Congo. Ritorno al Ciad. ) in cui lo scrittore francese esaltava la loro bellezza: costruzioni talmente perfette da sembrare opera della natura; prive di ornamenti superflui ( i tratti in rilievo sulle pareti servono ad arrampicarsi sulla cima ), mosse da una necessità quasi matematica; costruite come vasi a cui però è lasciata un'apertura sulla sommità per poter far entrare la luce.






Pianeta scimmia: Marina Chapman. La donna Tarzan "la mia infanzia con le scimmie".

Da bambina fu rapita e abbandonata nella giungla.
Cinquant'anni dopo, lo racconta per la prima volta.





"Io Tarzan, tu Jane". Memorabile battuta cinematografica. Ma nel mondo della realtà va rovesciata: l'essere umano che vive con le scimmie, saltando da un albero all'altro, è una donna. 
E l'uomo che un giorno la incontra, anziché salvarla, la porta in una giungla più pericolosa, sebbene d'asfalto. 
La storia di Marina Chapman, oggi sorridente gentildonna inglese di 60 anni, suona incredibile, da fumetto, romanzo d'avventure o film di Hollywood: eppure a quanto pare è vera, come racconteranno nei prossimi mesi un libro e un documentario sulla prima "donna- scimmia" del nostro tempo.
"Tarzana, regina della giungla ", la chiama il Sunday Times di Londra, che ieri ha anticipato la sua straordinaria vicenda. 

Comincia in Colombia, il paese in cui probabilmente è nata. 
Dove vivesse, come si chiamasse, cosa facesse la sua famiglia, è ignoto, ma l'ipotesi è che fu rapita poco più che bambina, per un riscatto in denaro. 
"Il mio più lontano ricordo è un fazzoletto di cloroformio sulla bocca", dice. 
Forse il rapimento andò storto e i rapitori, per liberarsi di un ostaggio ingombrante, a un certo punto la abbandonarono nella foresta amazzonica. Da quel momento, secondo la ricostruzione della casa editrice che pubblicherà The girl with no name, questo è il titolo del suo libro con i diritti già per sette paesi.






La ragazzina avrebbe vissuto cinque anni con un gruppo di scimmie cappuccino, copiandone lo stile di vita, imparando a muoversi sugli alberi, nutrendosi di banane e bacche selvatiche, comunicando con gli nivali usando i loro stessi suoni gutturali.
Finchè un giorno le scimmie si imbattono in alcuni cacciatori di frodo.
Gli uomini vedono la ragazza nuda, lei sfugge spaventata, quelli la inseguono.
Ma non per riportarla nella civiltà.
La conducono invece a Cucuta, una città nel nord est della Colombia, dove la vendono a un bordello locale, in cambio di un pappagallo raro.
La ragazza viene picchiata e avviata alla prostituzione.
Ma dalle scimmie ha imparato a fare cose in cui gli umani non sono capaci; salta da una finestra, scende da un albero, scappa.
Ha anche imparato a vivere di espedienti, così per vari anni tira avanti senza un posto per dormire, procurandosi cibo nei modi più disparati. 
Forse vorrebbe tornare nella giungla, tra le scimmie, ma è troppo lontana. Ha 17-18 anni, quando una famiglia colombiana la raccoglie dalla strada e la tiene con sé come serva. 
Le chiedono come si chiama: da un anfratto della memoria risponde Marina Luz, ma non è chiaro se sia il suo nome. 





Qualche anno più tardi, la famiglia si trasferisce per lavoro in Inghilterra e porta Marina con sé. Lì, nella città di Bradford, conosce in chiesa un giovane biologo, i due si innamorano, si sposano e Marina diventa cittadina britannica.
È il 1977. Solo molto tempo dopo le nozze ha il coraggio di rivelare al marito il suo passato. E solo ora, con il sostegno delle due figlie, decide di raccontarlo in un libro autobiografico. "Da bambine ci aveva insegnato a chiedere cibo facendo strani versi, come gli animali", dice Vanessa, una delle figlie. 

"E per farci addormentare ci raccontava favole su una bambina nella giungla. Pensavamo fossero frutto della sua fantasia. Invece erano la sua storia". Gli zoologi le credono: ci sono altri casi di bambini che hanno vissuto con i primati e poi sono riusciti a riadattarsi alla vita tra gli umani. 
Ma nessuno così a lungo come lei. 
Due anni fa Marina è tornata in Colombia in un vano tentativo di ritrovare la sua famiglia. Avrebbe anche voluto visitare la giungla, ma le autorità non le hanno dato il permesso. Chissà se il richiamo della foresta l'avrebbe riportata dalle scimmie della sua infanzia.





Natura: Il corallo e la sua guardia del corpo.






Quando è minacciata da un'alga tossica infestante, una specie di corallo rilascia nell'ambiente una sostanza in grado di allertare alcune specie di pesci che trovano abitualmente rifugio negli anfratti corallini. 
Grazie a questa segnalazione chimica, i pesci accorrono rapidamente e rimuovono l'alga anche se non se ne nutrono. Ma lo fanno solo se il segnale d'allarme è lanciato dal "loro" corallo e non da coralli di altre specie. 
Quando i coralli sono minacciati chiedono aiuto a un pesce, che prontamente accorre in loro difesa. Lo ha dimostrato una ricerca condotta da due biologi del Georgia Institute of Technology, Danielle L. Dixson e Mark E. Hay.
La ricerca è stata effettuata nell'ambito di un studio a lungo termine che ha come obiettivo la comprensione di questi ecosistemi minacciati, nel tentativo di chiarire i rapporti con le altre specie animali e vegetali che abitano le barriere coralline. Da tempo è nota l'importanza di alcune specie di pesci per il benessere dei coralli, e in particolare di diversi gobidi, più noti come ghiozzi, che trascorrono la loro esistenza negli anfratti corallini, ricevendo protezione dai predatori e contribuendo a eliminare potenziali minacce ai coralli. 





Nello specifico, i ricercatori hanno potuto determinare i rapporti fra i coralli appartenenti alla specie Acropora nasuta, importante per gli ecosistemi delle barriere perché cresce rapidamente e fornisce gran parte della loro struttura, e due specie di gobidi, Gobiodon histrio e Paragobiodon enchinocephalus, allestendo una serie di esperimenti per osservare modi e tempi dell'intervento di queste specie ittiche quando il corallo è sottoposto a una minaccia. 

A questo scopo hanno deposto sul corallo diversi filamenti di Chlorodesmis fastigiata, un'alga infestante che sempre più spesso si osserva nelle formazioni coralline, su cui ha una spiccata azione tossica. 
Gli autori dell'esperimento hanno scoperto che pochi minuti dopo il contatto fra corallo e alga, sul posto arrivavano esemplari delle due specie di ghiozzi che iniziavano a rimuovere l'alga: G histrio la mangia, mentre P. enchinocephalus si limita a tranciare l'ancoraggio del filamento al corallo in modo che venga allontanata dal movimento delle acque.
Nel giro di tre giorni la quantità di alghe dannose è diminuita del 30% e i danni al corallo dal 70 all'80%.





"Tutto ciò avviene molto rapidamente, il che significa che deve essere molto importante sia per il corallo e il pesce", ha osservato Hay, che spiega che il pesce non si interessa invece dell'alga quando c'è ma non è in contatto con il corallo.
Questo comportamento ha indotto i ricercatori a ipotizzare che l'intervento fosse dovuto al rilascio da parte del corallo di una sostanza chimica.
Per verificare questa ipotesi, gli scienziati hanno esposto i pesci ad acqua raccolta in prossimità di altre specie di corallo messe a contatto con l'alga tossica, constatando che in questo caso non si osserva alcuna reazione, a indicare che quei pesci erano interessati a proteggere unicamente il tipo di coralli che li ospitava.
Successivamente Hay e Dixson sono riusciti a isolare il messaggero chimico rilasciato dal corallo, e hanno ottenuto la controprova inducendo i pesci a “salvare” un reticolo di nylon su cui erano stati posti filamenti diChlorodesmis fastigiata, non appena nell'acqua circostante veniva introdotta quella sostanza.






Francia: Scoperto scheletro di Mammut perfettamente conservato.





A Parigi, gli archeologi che lo hanno scoperto lo hanno chiamato "Helmut".  Si tratta di uno scheletro di mammut perfettamente conservato, trovato in Francia nel dipartimento di Seine et Marne, probabilmente vissuto 50mila anni fa.  
La scoperta è sensazionale per i francesi se si considera che l'ultimo reperto simile risale a 150 anni fa. Bruno Foucray, dirigente dei Beni culturali. 
"Quando sarà tolto dal terreno, ha detto, il mammut sarà portato in laboratorio per studiarne lo scheletro e per verificare le eventuali tracce lasciate dall'uomo di Neanderthal" 
Già, perchè la scoperta del mammut sembra molto importante anche per sapere di più sul nostro misterioso antenato.  
Vicino ai resti sono stati trovati degli strumenti rudimentali appuntiti. Due pezzi di selce sono stati rinvenuti accanto al cranio, un elemento che suggerisce un contatto tra il mammut e l'uomo di Neanderthal.  
E l'analisi delle ossa dovrebbe fare luce su questi aspetti. Ma ancora non si capisce se si sia trattato di caccia o di sciacallaggio. L'archeologo Pascal Depaepe: 
Queste due ipotesi sono importanti, ha detto, perché per molto tempo si è creduto che Neanderthal non fosse un cacciatore. Negli ultimi anni c'è invece una tendenza a pensare che i nostri antenati avessero tutte le capacità cognitive e le competenze tecniche per essere dei grandi cacciatori".