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Scientia Antiquitatis
sabato 10 novembre 2012
Le grandi spedizioni: Robin Lee Graham, da solo intorno al mondo. A sedici anni. 1965.
Nel 1965, il sedicenne Robin Lee Graham salpò dalla California per circumnavigare in solitaria il globo a bordo di uno sloop di 7 metri, chiamato Dove.
Seguendo sempre il sole verso ovest, Robin impiegò due anni per completare la prima e più lunga fase dell'impresa, dalla California a Durban, in Sudafrica.
Nel mezzo dell'Oceano Indiano, a ovest di Darwin, un improvviso uragano strappò l'albero del Dove, facendolo cadere in acqua.
Graham allora decise di usare il boma come albero e continuò a navigare, riuscendo a coprire i 3700 chilometri che lo separavano dalle Mauritius.
Uno skipper che inseguiva un sogno personale.
Il sedicenne Robin Lee Graham catturò a tal punto la fantasia dei lettori di National Geographic che le sue avventure furono pubblicate in tre articoli consecutivi.
Robin aveva appena compiuto sedici anni quando nel luglio del 1965, salpò da Los Angeles con l'intenzione di circumnavigare il globo in solitaria.
La sua non era la prima impresa del genere, l'obiettivo era già stato raggiunto nel 1897 da Joshua Slocum, ma Graham era il più giovane che ci avesse mai provato.
A bordo del suo sloop in fibra di vetro da sette metri, il Dove, sopravvisse agli uragani, ai disalberamenti e a settimane di bonaccia, riuscendo anche a evitare di stretta misura la collisione con un cargo.
La prova più dura, raccontò poi, è stata "il tormento della solitudine".
Benchè si fosse fermato per lavorare, per riposare, per effettuare riparazioni, per imbarcare rifornimenti e persino per sposarsi, era rimasto completamente isolato dal mondo per lunghe settimane, tanto che a un certo punto cominciò a prendere in considerazione l'idea di abbandonare l'impresa.
Tuttavia non si arrese, anzi crebbe in statura e in forza mentre veleggiava dalla California all'Australia, dal Sudafrica ai Caraibi.
Infine attraverso il Canale di Panama, proseguì per la California, completando la circumnavigazione.
In questo viaggio di crescita personale che aveva condiviso con milioni di lettori del National Geographic e che era durato quasi cinque anni, Graham aveva percorso 56.700 chilometri e aveva imparato ad apprezzare la solitudine: poco dopo il rientro, infatti, si trasferì in un appezzamento di 80 acri in Montana.
La scia del Dove
Durante la seconda tappa della sua circumnavigazione, da Durban ai Caraibi Robin dovette contringersi a proseguire, tanto era stanco del mare.
Quando completò il tratto finale dal Mar dei Caraibi attraverso il canale di Panama fino a Long Beach, in California Graham era oramai ventenne, sposato, nonché capitano di una nuova imbarcazione più grande chiamata Return of the Dove.
In una pausa della sua circumnavigazione del mondo, arrivato in Sud America, volò verso l'interno del Suriname e giunse a un villaggio Indio.
Qui, i suoi giochi con le zampe di un uccello provocarono un suono che in mare aveva dimenticato: La risata.
Maya e Aztechi: Il collasso dei Maya raccontato da una stalagmite.
La datazione all'uranio-torio delle stalagmiti della grotta di Yok Balum, in Belize, in una zona in cui sorgevano importanti città Maya, ha permesso per la prima volta di datare in modo preciso i cambiamenti climatici avvenuti nella zona nell'arco di 2000 anni, individuandone la corrispondenza con i periodi di espansione e i periodi di crisi della dell'antica civiltà centroamericana.
Il destino della civiltà dei Maya è scritto nelle stalagmiti della grotta di Yok Balum, oggi nel territorio meridionale del Belize, nei pressi della quale sorgevano un tempo importanti città maya. Studiando le stalagmiti, Douglas Kennett e colleghi, della Penn State University, sono infatti riusciti a ricostruire nel dettaglio le precipitazioni, e di conseguenza il clima, lungo un arco di 2000 anni, evidenziando i cambiamenti climatici che sono avvenuti in corrispondenza dei periodi di espansione e dei periodi di crisi dell'antica civiltà centroamericana.
I ritrovamenti archeologici datano i primi insediamenti dei Maya a circa 1800 anni prima di Cristo, ma il massimo splendore della loro civiltà si situa tra il 300 d.C. e l'800-1000.
I ritrovamenti archeologici datano i primi insediamenti dei Maya a circa 1800 anni prima di Cristo, ma il massimo splendore della loro civiltà si situa tra il 300 d.C. e l'800-1000.
In questo periodo, definito Periodo Classico, sorsero numerose città-stato indipendenti, si sviluppò l'agricoltura e fiorirono la cultura e le arti.
Intorno al 1000, però, la civiltà maya tramontò e numerosi studi indicano che uno dei fattori determinanti del suo collasso finale furono i cambiamenti climatici.
Tuttavia, finora è mancata una cronologia precisa di queste trasformazioni dell'ambiente naturale.
I sedimenti lacustri della Penisola dello Yucatan avevano fornito una prima prova di una fase climatica molto più secca del normale sul finire del Periodo Classico, ma non era stato possibile confermare questi risultati per le zone intorno alle città più importanti, a causa delle alterazioni delle serie cronologiche dei sedimenti dovute all'espansione dell'agricoltura e alla deforestazione che caratterizzarono quell'epoca.
Questa mancanza è stata ora colmata grazie all'opportunità di ricostruzione paleoclimatica offerta dalle stalagmiti a crescita veloce scoperte nel sito di Yok Balum, a circa in chilometro e mezzo dall'antica città di Uxbenkà, e a meno di 30 chilometri da altri importanti centri Maya come Pusilha, Lubaantun e Nim Li Puni.
Per datare campioni è stata utilizzata la tecnica Th 230/U-234, comunemente detta dell'uranio-torio.
"Tra il 450 e il 660, le piogge eccezionalmente intense favorirono l'incremento della produzione di cibo e l'esplosione demografica, portando alla proliferazione di città come Tikal, Copan e Caracol”, spiega Douglas Kennett, professore di antropologia della Penn State e primo autore dell'articolo apparso su Science".
“I nuovi dati climatici mostrano che questa fase fu seguita da un'altra decisamente diversa - tendenzialmente secca cioè - che durò quattro secoli, e che fu punteggiata da una serie di forti siccità che innescarono un declino nella produttività agricola e contribuirono alla frammentazione e al collasso politico.
Gli eventi di siccità più gravi si collocano negli anni 1020 e 1100, dopo il collasso generalizzato dei centri dello stato maya, e potrebbero essere associati a un generale declino demografico nella regione”.
Secondo quanto hanno potuto ricostruire i ricercatori, nel corso dei secoli le popolazioni urbane declinarono e i re maya persero via via il loro potere e la loro influenza. Un esempio di come le pianure della zona siano state periodicamente interessate da fenomeni di integrazione e disintegrazione politica per effetto dei cambiamenti climatici, è dato dal caso, risalente al XVI secolo e storicamente ben documentato, di una correlazione tra un'estesa siccità e il dilagare di fame e carestie, con conseguente migrazione verso il Messico. La mancanza di precipitazioni che scatenò questo disastro è registrato nelle stalagmiti analizzate, ed è databile tra il 1535 e il 1542."gli effetti del cambiamento climatico sono complessi e si fanno sentire su diverse scale temporali”, ha concluso Kennett. “Ma non si tratta dell'unico fattore importante.
Bisogna pensare che le condizioni più aride e i periodi di siccità furono successive a condizioni climatiche favorevoli, che stimolarono lo sviluppo sociale e l'espansione demografica, che in seguito non poterono più essere sostenuti, e rappresentarono un ulteriore fattore di stress; tutti questi fattori concomitanti determinarono la frammentazione delle istituzioni politiche”.
Egitto: Scoperta una nuova statua di Ramsete II.
Scoperta una nuova statua del faraone Ramsete II, uno dei più significativi sovrani della storia dell’Egitto.
Artefici del ritrovamento, alcuni archeologi tedeschi che hanno scoperto a Tal Basta, in Sharqiya, la statua alta due metri e mezzo che mostra il faraone seduto fra le divinità di Nastit e Atum, in base a quanto riportato dall’Egypt Independent.
Bastit, una divinità adorata a Tal Basta, è rappresentato in forma di un gatto mentre Atum, parola che nella lingua dei faraoni vuol dire ‘perfetto’, era creduta come divinità dell’antico Egitto che aveva creato se stessa.
Adel Hussein, direttore del ministero delle Antichità del Basso Egitto, ha dichiarato che le profonde iscrizioni con il nome del re sono state trovate sul retro della statua.
Ramsete II ha regnato in Egitto fra il 1304 e il 1237 avanti Cristo.
venerdì 9 novembre 2012
Itinerari a piedi: Perù, trekking nel canyon del Colca.
Ci sono decine di itinerari di trekking da poter fare nel canyon del Colca, ma se pensate di scendere sul fondo del canyon, anche per un giorno soltanto, è meglio che siate in buona forma fisica e preparati all'altitudine, perché è un percorso duro e può diventare alquanto pericoloso in alcune parti.
Insomma, non fate come me!.
Si raccomanda di ricorrere a una guida e sono diverse le compagnie che offrono questo servizio.
Per avere delle cartine discrete, rivolgetevi al South American's Explorers Club di Cuzco.
La cima del canyon si raggiunge con una passeggiata di 10 minuti lungo un sentiero abbastanza pulito dietro l'albergo "casa de pablo". ( qualcosa mi dice che il proprietario si chiama Pablo ).
La discesa segue una stradina particolarmente ripida e abbastanza pericolosa in alcuni punti che scende fino all'Oasis, e dura circa un ora e mezza, per me le ore sono due, mentre per risalire ci si impiega 4-5 ore. Per voi tenete buono il 4.
Da qui potete anche raggiungere Andagua nella Valle dei Vulcani con una guida, se avete 5 giorni a disposizione.
Tra gli itinerari alternativi vi consiglio il popolare percorso di 7 ore cha va da Cabanamonde al lago Mucara, nelle cui acque si riflette il vulcano Ampato.
Ma perché da queste parti tutti mi guardano la mia felpa e ridono? mah!
Un percorso interessante e sicuramente meno battuto, di 7 ore, è quello che parte da Huambo e arriva alla hacienda di Canco, nel punto d'incontro tra il Rio Huambo e il Rio Colca.
Con un altro giorno di cammino raggiungerete Ayo, un villaggio di produttori di vino, da cui la strada e i pullman proseguono per Andagua.
Consiglio inoltre un itinerario di trekking in buone condizioni che unisce Cabanaconde al piccolo villaggio di Tapay, un percorso di 4 giorni che attraversa dei paesaggi mozzafiato e che conduce ai piccoli abitati di Cosnihua e Malata e a molte rovine incaiche e preincaiche.
Non ci sono strutture che offrono alcun servizio nella zona. Come l'Inps.
Una camminata relativamente facile della durata di un paio d'ore parte dal villaggio di Corporaque e vi porterà ad alcune tombe appartenenti alla cultura di Huari ( preincaica ), costruite ai piedi dei dirupi a Cerro Yurac Ccacca ( conosciuto anche come Cerro San Antonio ).
Il sentiero si trova a circa uno o due isolati dalla piazza principale, attraversa il ruscello lasciandosi l'abitato alle spalle e si arrampica in direzione di un prominente affioramento roccioso di colore rosa.
Le tombe si trovano appena al di sotto della curva di livello dei 4000 metri.
Due donne molto eleganti con i loro abiti dai colori sgargianti mi osservano la felpa e sorridono. Mah!
A sud-est vedrete distintamente il villaggio della cultura di Huari, in parte cadente ma ancora suggestivo, che si estende dalle tombe fino al più grande Tambo esistente ( situato nell'angolo più basso ), da cui si hanno delle bellissime vedute della vallata.
Non essendo una meta molto frequentata, il sentiero per arrivarci, anche quello che porta al Tambo più importante e in parte fortificato, non è segnalato e quindi sarete voi a trovar la via.
Abbiate cura di non danneggiare i muri di pietra e gli appezzamenti agricoli che troverete lungo la strada.
Per ritornare a Corporaque potete scendere fino alla strada e ripercorrerla fino all'abitato, oppure camminare lungo il piccolo acquedotto che segue il profilo della collina dai resti del Tambo fino al punto in cui avete iniziato il percorso diretto alle tombe.
Da queste parti la lingua orinale è il Quechua, con 10 euro per acquistare una felpa, ho onorato la lingua di un intero popolo.
Maya e Aztechi: Potere, rituali e vita politica. Incensieri e bracieri.
Dagli incensieri si levavano le preghiere rivolte agli dei: le volute azzurognole e profumate del copal e il fumo denso e nero della gomma bruciata che formava le nuvole scure dei temporali.
( pensiero Maya ).
Le culture della Mesoamerica, a riprova della loro straordinaria capacità creativa, erano riuscite a trasformare normalissimi strumenti del culto come incensieri e bracieri in un ricchissimo repertorio di forme e rimandi simbolici.
L'importanza dei bracieri rinviata alla centralità che il fuoco e il Dio del Fuoco avevano nei rituali pan-mesoamericani, perché, davanti agli adoratori dei templi o al loro interno, il fuoco doveva ardere perennemente e lasciarlo spegnere era considerata un trasgressione gravissima.
Il fuoco acceso era di per sé un'offerta al dio.
In genere i bracieri erano costituiti da un contenitore conico o cilindrico, ovviamente traforato alla base, che raffiguravano il dio a cui s'indirizzava l'offerta.
Ma tra gli Aztechi c'erano anche bracieri più semplici.
Alcuni terminavano con un risvolto di lunghe foglie di agave piegate verso il basso, mentre altri avevano eleganti decorazioni geometriche.
Gli incensieri che i sacerdoti muovevano durante le cerimonie avevano la forma di grandi cucchiai dal lungo manico che terminava con una semisfera traforata.
Tra i Maya un caso particolare, poi, erano i bracieri di Palenque, nei quali il sostegno della camera di combustione assumeva la forma di un lungo cilindro, decorato con volti raffiguranti sia divinità tutelati della città, sia venerabili antenati che fungevano da intermediari con le divinità stesse.
A Teotihuacan la produzione in serie degli elementi decorativi dei bracieri non portava a una perdita di individualità, perché, combinando modularmente i vari pezzi, si potevano ottenere infinite variazioni della stessa tipologia.
Negli incensieri e nei bracieri si bruciavano diversi tipi di offerte: il copal, una resina che emana un profumo gradevole e pungente, la carta che aveva assorbito il sangue degli autosacrifici o che era stata macchiata con gocce di gomma liquida, semplici palle di gomma e tutta una serie di piccole offerte.
( pensiero Maya ).
Le culture della Mesoamerica, a riprova della loro straordinaria capacità creativa, erano riuscite a trasformare normalissimi strumenti del culto come incensieri e bracieri in un ricchissimo repertorio di forme e rimandi simbolici.
L'importanza dei bracieri rinviata alla centralità che il fuoco e il Dio del Fuoco avevano nei rituali pan-mesoamericani, perché, davanti agli adoratori dei templi o al loro interno, il fuoco doveva ardere perennemente e lasciarlo spegnere era considerata un trasgressione gravissima.
Il fuoco acceso era di per sé un'offerta al dio.
In genere i bracieri erano costituiti da un contenitore conico o cilindrico, ovviamente traforato alla base, che raffiguravano il dio a cui s'indirizzava l'offerta.
Ma tra gli Aztechi c'erano anche bracieri più semplici.
Alcuni terminavano con un risvolto di lunghe foglie di agave piegate verso il basso, mentre altri avevano eleganti decorazioni geometriche.
Gli incensieri che i sacerdoti muovevano durante le cerimonie avevano la forma di grandi cucchiai dal lungo manico che terminava con una semisfera traforata.
Tra i Maya un caso particolare, poi, erano i bracieri di Palenque, nei quali il sostegno della camera di combustione assumeva la forma di un lungo cilindro, decorato con volti raffiguranti sia divinità tutelati della città, sia venerabili antenati che fungevano da intermediari con le divinità stesse.
A Teotihuacan la produzione in serie degli elementi decorativi dei bracieri non portava a una perdita di individualità, perché, combinando modularmente i vari pezzi, si potevano ottenere infinite variazioni della stessa tipologia.
Negli incensieri e nei bracieri si bruciavano diversi tipi di offerte: il copal, una resina che emana un profumo gradevole e pungente, la carta che aveva assorbito il sangue degli autosacrifici o che era stata macchiata con gocce di gomma liquida, semplici palle di gomma e tutta una serie di piccole offerte.
giovedì 8 novembre 2012
Australia: Migaloo, il cane archeologo.
Il fiuto dei cani è ormai considerato come uno dei sensi più sviluppati dell’intero regno animale. Sebbene il migliore amico dell’uomo venga impiegato quotidianamente nel rilevare droga, sostanze esplosive, o cadaveri occultati, nessuno prima d’ora avrebbe mai immaginato il cane come uno degli strumenti più utili per l’archeologia. Il primo "archeologo canino" ad essere stato specificamente addestrato e utilizzato con successo nella scoperta di resti umani vecchi di secoli si chiama Migaloo, è un meticcio in parte labrador, ed è l’allievo prediletto di Hary Jackson, esperto di cani che ha addestrato Migaloo con ossa aborigene vecchie di 250 anni prese in prestito dal South Australian Museum.
"Migaloo ha un naso incredibile" spiega Jackson. "Ci sono voluti più di sei mesi d’addestramento, prove sul campo, e un test di ricerca finale, ma il cane trova frammenti ossei il 100% delle volte". Secondo Jackson, Migaloo è il primo cane della storia ad essere addestrato all’archeologia, e il suo recente successo nel test finale di idoneità parla chiaro: il cane ha scoperto ossa aborigene di 600 anni d’età sepolte nella Penisola di Yorke, nel sud dell’Australia. Circa 600 anni fa, la Penisola di Yorke era ancora abitata dai rappresentanti dei quattro clan che componevano il popolo aborigeno di Narungga. Gli insediamenti Narungga si trovano principalmente lungo la costa o nei pressi di sorgenti d’acqua permanenti, sotto forma di piccoli accampamenti temporanei.
Durante il test finale, Migaloo ha scoperto i resti umani vecchi di 600 anni a circa 2 metri di profondità. Il cane ha scoperto anche un altro sito di sepoltura, ancora sconosciuto, e altri resti ossei ancora non datati e analizzati appartenuti ad un essere umano.
Migaloo sembra aver scoperto il primo dei quattro siti di sepoltura nel corso di un solo minuto. "E’ un cane molto intelligente, sorprendente, è di sicuro destinato a fama e fortuna" sostiene Keryn Walshe del South Australia Museum. "Non le abbiamo dato alcun indizio, il cane ha annusato l’area e si è fermato sul sito. Non abbiamo mai sentito parlare di cani in grado di annusare fossili, nessuno pensava che potesse rimanere dell’odore sulle vecchie ossa, e nessuno credeva fosse possibile rilevarlo".
"Migaloo ha battuto il record precedente di 425 anni. E’ un grande risultato. Ora sappiamo che un cane può rilevare ossa vecchie di 600 anni a 2 metri di profondità nel terreno".
Non è ancora chiaro se la scoperta sia dovuta alla dota olfattiva unica di Migaloo, o sia alla portata di qualunque cane da fiuto. Molti altri cani sono in corso d’addestramento in diversi siti archeologici di tutto il mondo, dall’Egitto alle Americhe, nella speranza di poter ottenere gli stessi risultati del primo cane-archeologo.
"Che cosa riesce a cogliere quel cane? Cosa rimane da annusare in quelle ossa?" afferma Brad Giggs della National Dog Trainers Federation di Melbourne. "Quel cane ha un vero dono. E’ decisamente incredibile. Possiamo vedere tutti le potenziali applicazioni commerciali dello scoprire resti animali o umani che risalgono a centinaia o migliaia di anni fa".
"E’ una scoperta enorme, non solo qui in Australia, ma abbiamo persone interessate oltreoceano per l’utilizzo nell’ambito di altre civiltà antiche" afferma Bud Streten, direttore del Red Centre Consultancy e proprietario di Migaloo. "Al momento non c’è alcuno strumento, nel mondo dell’archeologia, in grado di dire se ci sia o meno un essere umano sepolto nel terreno, utilizziamo radar in grado di penetrare il terreno, il magnetismo, o i resoconti storici o orali.
Ma ora Migaloo, il cane delle meraviglie, può farlo in modo semplice".
Sahara: Spade, donne e malocchio.
Molte leggende dei Tuaregh Kel Azben hanno come protagonisti eroi mitici delle montagne dell'Air e dell'Hoggar da dove originariamente provengono queste tribù.
Nei racconti della sera si canta degli antichi abitatori delle montagne: gli eroi sono Hoggar, Elias, Alamallem, celebri per le loro imprese di cacciatori; i loro nomi sono gli stessi dei picchi più noti e alti di quelle catene.
A ognuna di queste montagne è attribuita una personalità precisa, corpo e anima; una montagna ad esempio può innamorarsi di un'altra.
Una sera Mussa ci canta dell'amore di Ilamen e Terelrelt e si racconta che il picco di Ilanem è un maschio sperone roccioso orgogliosamente puntato verso il cielo, innamorato della sottile elegante collina Terelrelt ; e tanto Ilamen ama Terelrelt da contenderla con le armi al vicino monte Amga; nella feroce battaglia Ilamen perde un braccio, mentre il suo rivale Amga è ferito di lancia al fianco.
Qui Mussa arresta il canto, il suono dell'imzad cessa e viene spiegato ai bambini il senso della leggenda: da quella ferita è nata la sorgente perenne che sgorga sul fianco della montagna Amga.
Racconti e leggende, almeno quelli ascoltati qui tra i Tuaregh di Mussa, hanno sempre un loro momento epico, la descrizione di battaglie, di lotte, di combattimenti: è allora che la Takouba ( la spada ) diventa protagonista dei racconti quanto l'amore e le donne.
Un ennesimo canto di combattimento ci dà lo spunto per portare il discorso sulle armi dei guerrieri Tuaregh e, particolarmente, sulla takouba; chiediamo a Mussa e agli altri armati del campo di mostrarci come la usano: in tante settimane passate tra loro non ho mai visto sia servita a qualcosa.
"E' per i leoni, Mussa? o per cacciare le antilopi?".
Mussa ride: per i leoni e le antilopi ci vuole il fucile, o almeno la lancia, la takouba serve solo nei combattimenti da uomo a uomo.
"Ma ora sono rari", obiettiamo noi, e lei risponde che la takouba serve anche per cacciare gli spiriti. "Gli spiriti, e quali?".
"Quelli del malaugurio, quelli del malocchio: bisogna combatterli quando si pone o si leva il campo là dove la fortuna in passato non è stata propizia".
A nord di Ghobò abbiamo l'occasione di renderci conto quanto le parole di Mussa abbiano un loro preciso significato.
Risaliamo verso nord, per seguire il gruppo di Mussa, durante una sua marcia verso migliori pascoli; dopo due giorni di cammino, l'intero gruppo si ferma per piantare le tende e per preparare i recinti degli animali.
"Come sorgenti d'acqua e come pascolo va bene", dice Mussa indicandoci la pianura, "e dobbiamo fermarci qui, perché non ci sono altri pozzi nella zona. Ma a me non piace: è zona di malocchio e infatti i medici bianchi sono stati qui, nelle stagioni passate, per curare animali colpiti da molte malattie".
Mussa si fermerà lo stesso, però: non ha altra scelta, e poi non ha paura, sa come cacciare
lontano, con la sua takouba, gli spiriti del male.
Mentre le donne sono intente a montare le tende, gli uomini si appostano e le vediamo estrarre le spade dai foderi; man mano che le stuoie si alzano e prendono la forma di tetti e di pareti, e mentre i pastori servi neri preparano i recinti per gli animali, i Tuaregh a tre per tre, uno di fronte all'altro, con gesti evidentemente legati a precise formule cabalistiche, iniziano un duello contro un avversario invisibile, un duello contro il vuoto.
Il combattimento ha l'eleganza di un ballerino, le spade ruotano veloci, sembrano dover colpire ogni volta l'avversario immaginato nella zona compresa fra la punta delle tre spade; i duellanti si dispongono a stella, circondano il nemico, lo spaventano con finte, lo colpiscono, infine affondano le spade in uno slancio improvviso.
Questa mimica dettata da una precisa tradizione continua finchè le donne scompaiono all'interno della tenda per non più ricomparire; il loro lavoro di allestimento del campo è terminato.
Sri Lanka: Rapnapura e le pietre preziose.
Rapnapura è il centro delle pietre preziose dello Sri Lanka, per strada si avvicinano persone che vi sussurrano di avere in tasca, ben incartato, l'affare della vostra vita.
A meno che non siate esperti di pietre preziose, quasi nel 100% dei casi si tratta di un affare della controparte, non vostro.
Le pietre preziose si trovano ancora con un vecchio e tradizionale sistema di estrazione.
Gli scavatori cercano i filoni di illama, uno strato ghiaioso che a volte contiene gemme.
E' tipico delle zone pianeggianti, fondovalle, letti di fiume, posti umidi in generale.
Sulla strada Colombo-Rapnapura si possono osservare infinite operazioni di scavo nelle risaie che costeggiano la strada, ma c'è ne sono molti altri sulle colline e nei campi dintorni.
L'estrazione delle gemme è un lavoro di cooperazione: uno scava l'illama, un secondo pompa l'acqua fuori dal pozzo o della galleria, un terzo lava via la ghiaia fangosa e un esperto riconosce tra i sassi le eventuali pietre preziose che potrebbero fare la loro fortuna.
Quando ne trovano una, dividono il ricavato fra tutti i membri della cooperativa, dal finanziatore all'amaudes, l'uomo che sprofonda nel fango fino al collo e che indossa il solo perizoma.
Le miniere possono essere orizzontali o verticali, a seconda della direzione dell'illama.
Stranamente in Sri Lanka si estraggono pietre divers dallo stesso filone.
Il valore di una pietra dipende da molti fattori tra cui la rarità, la durezza e la bellezza.
Le gemme sono ancora tagliate e lucidate a mano, anche se si stanno diffondendo sistemi di lavorazione più moderni.
Alcune pietre vengono tagliate e sfaccettate ( en cabochon ), mentre altre sono semplicemente lucidate.
La distinzione tra pietre preziose e semi-preziose è puramente arbitraria: non c'è una precisa definizione di ciò che rende una pietra preziosa e un'altra solo semi-preziosa.
La pietra più nota di questo gruppo è il berillo, lo smeraldo non si trova in Sri Lanka.
L'acquamarina, che al contrario si può trovare nell'isola, non è molto cara perché è meno dura e luminosa di altre pietre.
I rubini di maggior pregio sono quelli rossi e non si trovano in Sri Lanka nei giacimenti commerciali.
Però troverete i rubini rosa, chiamati anche correttamente zaffiri rosa.
Rubini e zaffiri sono lo stesso tipo di pietra, con gradazione e colore diversi a seconda della proporzione degli elementi chimici che contengono.
Gli zaffiri possono essere anche gialli, arancioni, bianchi e, i più preziosi, blu.
Fate attenzione alle persone che cercano di far passare per zaffiri degli spinelli rosa o blu.
Spesso il corindone contiene "seta", piccole particelle che danno alla pietra una luminosità brillante, in particolare sotto un'unica fonte di luce.
L'occhio di tigre e l'alessandrite sono le pietre più note di questo gruppo.
L'occhio di tigre, con il suo riflesso simile a quello dell'occhio del felino noto come chatoyancy, varia dal verde, al miele, al marrone; controllate la luminosità, la chiarezza e il bagliore del raggio di luce che emana.
L'alessandrite è pregiata per il cambiamento di colore che avviene alla luce naturale e artificiale.
Attenti alle tormaline che spesso vengono fatte passare per occhio di tigre e sono molto meno preziose.
La pietra di luna ( felspato ) è la gemma caratteristica dello Sri Lanka.
Di solito una pietra grigia di colore grigio, può assumere una leggera sfumatura blu, anche se questa clorazione è piuttosto rara.
Gli spinelli sono piuttosto comuni e si tratta di pietre abbastanza dure e belle.
Ci sono diversi colori e possono essere trasparenti o opachi.
I granati sono delle specie di rubini dei poveri; quelli marroni chiaro vengono usati speso per gli anelli in Sri Lanka.
Nell'isola non si trova il topazio, se ve ne viene proposto uno si tratta probabilmente di un quarzo.
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