mercoledì 7 novembre 2012

Egitto: Forse sulla Sfinge non ci stanno dicendo proprio tutto?




Nel lontano 1913, il professore G. A. Reisner, egittologo di Harvard, ha comunicato alle autorità del Harvard Semitic Museume del Boston Museum of Fine Arts i risultati delle sue investigazioni riguardo quel misterioso monumento egiziano conosciuto come la Sfinge.
Egli ha già fatto alcune scoperte importanti, si spera che contribuirà materialmente alla spiegazione di un problema che per secoli è stato un mistero.
All’interno della Sfinge il professore Reisner ha trovato un tempio dedicato al sole. E’ più antico di qualsiasi piramide ed è datato all’incirca intorno al 6000 a.C., la più antica nella storia egiziana. Mena, o Menes come il suo nome a volte è pronunciato, fu il primo re d’Egitto di cui gli scienziati moderni hanno scoperto la registrazione storica.
La tomba di Mena, il re che fece di se stesso un dio e che foggiò la Sfinge, è anch’essa al suo interno. Ci sono gallerie che portano in caverne che non sono ancora state esplorate, sono solo sei mesi che i lavori vanno avanti. La Sfinge è scolpita nella roccia naturale, ma all’interno ci sono cave e edifici di una città d’oro che è stata, forse, una volta all’aria aperta.
Attualmente gli scavi sono dedicati alla camera nella testa. Questa camera è lunga 60 piedi (18 metri) e larga 14 piedi (4,2 metri). Essa è connessa con dei tunnel al tempio del sole, che sta all’interno delle zampe della Sfinge. Reliquie, come la “Crux ansata” (croce ansata), simbolo del sole, ne sono state trovate a centinaia. Molte di queste sono in oro e hanno fili per campanelle, che, quando venivano suonate dai sacerdoti, chiamavano a raccolta le anime.
All’interno della Sfinge ci sono anche piccole piramidi, per quanto la Sfinge è stata costruita molto tempo prima delle Grandi Piramidi. Secondo il professore Resiner una piramide a quei tempi era una meridiana e la Sfinge era un dio del sole. La piramide di Cheope è un segnatempo assolutamente preciso. Secondo il professore Reisner l’Egitto di oggi è una grande città di cui è stata scalfita solo un lembo e che l’interno della quale probabilmente non sarà mai svelato.


Il professore Reisner spera di scoprire tra le reliquie della Sfinge i segreti dei sacerdoti egizi, la cui magia si ritiene sia stIl professore G. A. Reisner, egittologo di Harvard, ha comunicato alle autorità del Harvard Semitic Museume del Boston Museum of Fine Arts i risultati delle sue investigazioni riguardo quel misterioso monumento egiziano conosciuto come la Sfinge. Egli ha già fatto alcune scoperte importanti, si spera che contribuirà materialmente alla spiegazione di un problema che per secoli è stato un mistero.
All’interno della Sfinge il professore Reisner ha trovato un tempio dedicato al sole. E’ più antico di qualsiasi piramide ed è datato all’incirca intorno al 6000 a.C., la più antica nella storia egiziana. Mena, o Menes come il suo nome a volte è pronunciato, fu il primo re d’Egitto di cui gli scienziati moderni hanno scoperto la registrazione storica.
La tomba di Mena, il re che fece di se stesso un dio e che foggiò la Sfinge, è anch’essa al suo interno. Ci sono gallerie che portano in caverne che non sono ancora state esplorate, sono solo sei mesi che i lavori vanno avanti. La Sfinge è scolpita nella roccia naturale, ma all’interno ci sono cave e edifici di una città d’oro che è stata, forse, una volta all’aria aperta.
Attualmente gli scavi sono dedicati alla camera nella testa. Questa camera è lunga 60 piedi (18 metri) e larga 14 piedi (4,2 metri). Essa è connessa con dei tunnel al tempio del sole, che sta all’interno delle zampe della Sfinge. Reliquie, come la “Crux ansata” (croce ansata), simbolo del sole, ne sono state trovate a centinaia. Molte di queste sono in oro e hanno fili per campanelle, che, quando venivano suonate dai sacerdoti, chiamavano a raccolta le anime.


All’interno della Sfinge ci sono anche piccole piramidi, per quanto la Sfinge è stata costruita molto tempo prima delle Grandi Piramidi. Secondo il professore Resiner una piramide a quei tempi era una meridiana e la Sfinge era un dio del sole. La piramide di Cheope è un segnatempo assolutamente preciso. Secondo il professore Reisner l’Egitto di oggi è una grande città di cui è stata scalfita solo un lembo e che l’interno della quale probabilmente non sarà mai svelato.
Il professore Reisner spera di scoprire tra le reliquie della Sfinge i segreti dei sacerdoti egizi, la cui magia si ritiene sia stata straordinaria. Sono state fatte delle foto dell’interno della testa,  saranno mostrate a Harvard e al Lowell Istitute il prossimo inverno. Il professore Reisner dice di avere particolari difficoltà nel svolgere il suo lavoro, gli Arabi che lo assistono rifiutano assolutamente di dormire nella camera. Essi dicono che li ci sono dei diavoli e che l’uomo che ci dorme morirà.
Per la religione mussulmana l'uomo è comparso sulla terra 4500 anni fa e qualsiasi manufatto trovato in Egitto antecedente a questa data viene ritenuto "offensivo alla verità" del Corano e per tanto occultato.


martedì 6 novembre 2012

Racconti di viaggio: Panama, al di là del canale.

Tra Indios e grattacieli i contrasti di Panama, una terra attraversata da costa a costa dal "mitico" canale.
Un territorio che culmina a 3478 metri d'altezza sul monte Chiriquì.






Quando Vasco Nunez de Balboa sbarcò nel 1513 sulla costa dell'Atlantico che già Colombo aveva toccato nel suo quarto viaggio, gli Indios della zona lo avvertirono che esisteva una breve distanza anche un "mare del sud".
Così che Balboa coprì per caso che la terra dove si trovava era un istmo sottile tra due oceani enormi, l'Atlantico e il Pacifico.
Posizione invidiabile quella di Panama, la terra più meridionale dell'America Centrale che disegna una lingua "a esse" fatta di foreste tropicali, spiagge bianchissime, un vulcano alto 3400 metri, scogliere coralline, cordoni di isolette coperte di palme.
Nei 15 parchi nazionali uniti in quello che è definito un "corridoio biologico" da est a ovest, vivono più specie di uccelli che in tutto il Nord America.
Una posizione che ha reso celebre in tutto il mondo il Canale di Panama: tagliato con progetto grandioso prima francese poi americano, fu inaugurato nel 1914 cambiando le rotti mondiali.
Da allora le grandi navi da crociera e commerciali lo attraversano tutti i giorni dell'anno, giorno e notte, percorrendo in 8/10 ore gli ottanta chilometri che separano i due oceani attraverso un complicato e affascinante sistema di tre chiuse, un lago artificiale, locomotive elettriche su binari di scorrimento.









A segnare la fisionomia di Panama City uno skyline di grattacieli modernissimi, 150 banche internazionali, luci colorate, insegne di catene commerciali e di alberghi famosi, lunghe autostrade.
Ma Panama è terra di contrasti che mi ha "invitato" a una visita non superficiale.
" Amore andiamo a Panama?". No caro, vacci pure tu!. E' questo l'invito.
I grattacieli sorgono accanto alla città coloniale del Casco Antiguo, riconosciuta patrimonio dell'umanità dall'Unesco, con i suoi balconi in legno e ferro battuto, le chiese barocche, gli stucchi color pastello, le piazzette raccolte intorno alle fontane e alle palme.
La sua splendida posizione sulla punta di un promontorio sul Pacifico testimonia l'importanza storica di Panama, dove gli spagnoli facevano affluire le enormi ricchezze d'oro sottratte al Perù per trasportarle nel Camino Real dall'istmo fino ai porti dell'Atlantico dove erano imbarcate alla volta dell'Europa.
E il furbo pirata Henry Morgan capì che solo da terra si poteva attaccare Panama, come fece nel 1671 dopo aver risalito con i suoi uomini il fiume Chagres.









Altri contrasti sono ancora sorprendenti.
A breve distanza dalla chiusa di Miraflores e dal lago Gatun mi hanno detto che vivono gli Indios Emberà.
Mi hanno anche ricordato che per visitare il loro insediamento è consigliabile una buona dose di spirito di avventura e di adattamento.
La mia risposta è stata: sono trent'anni che lavoro in una multinazionale a Milano. Sono pronto a qualsiasi avventura e ho tutto lo spirito di adattamento che volete. Non hanno capito ma fa lo stesso.
Dentro il parco nazionale del Chagres mi imbarco su piroghe condotte dagli Indios.
Si risale il fiume tra muraglie altissime di vegetazione, nel silenzio interrotto da richiami di scimmie e tucani, addentrandosi in una terra che si mantiene ancora incredibilmente intatta.










Le capanne di fango appaiono alte sul pendio all'improvviso e sulle sponde la comunità attende gli ospiti con musica e sorrisi, ( come a me al lavoro ), uomini coperti dal semplice perizoma, donne avvolte in corte gonnelline multicolori e un pettorale di collane e monete d'argento.
Bambini festosi prendono per mano i nuovi arrivati per condurli al villaggio.
Dopo l'emozione di un bagno sotto la cascata assisto alla preparazione del pasto collettivo su un focolare improvvisato, ascoltando i racconti del capovillaggio e scegliendo gli oggetti dell'artigianato indio in fibra, legno, ceramica, semi di tatua, definita l'avorio vegetale.
Il governo favorisce la permanenza degli Indios nel loro habitat per conservare le tradizioni più autentiche (e fa bene. Io sono venuto qui per gli Indios e non certo per il governo di Panama), in un difficile equilibrio di rispetto per la cultura e l'ambiente, e necessità di moderni confort, il turismo può contribuire a salvare questa autenticità.








Mi ricordo che quando andava in onda la trasmissione "Survivor", molti italiani sapevano collocare l'isola di Zapatilla al largo dell'Atlantico vicino al confine con il Costarica.
Ancora più interessante, perché quasi del tutto ignorato dal turismo, è l'arcipelago di San Blas di fronte all'impenetrabile selva del Darien che segna l'ultima regione di Panama al confine con la Colombia.
Un aeroplanino da 12 posti mi conduce in cinquanta minuti da Panama City a sorvolare le centinaia di isolotti orlati di sabbia e di palme, immersi in acque color turchese.
Dall'unica pista d'atterraggio sulla riva dell'Oceano le piroghe imbarcano i viaggiatori e bagagli per una strana spedizione alla scoperta della comunità Kuna, disseminata su una cinquantina di isole, una stirpe fiera e orgogliosa che nel 1925 si è ribellata con successo al tentativo del governo centrale di omologarla alla cultura dominante.
Così i Kuna sono rimasti una società a forte impronta matriarcale rispettosa della monogamia, governata dagli anziani che hanno potere religioso, politico e giudiziario.
Le isole sono un affollarsi vociante e festoso di bambini in un rumore indescrivibile, piccole donne sdegnose e pochi uomini.









Spiccano su tutto i colori delle molas ricamate che si applicano ai corpetti del costume femminile, completando le gonne pareo, le cavigliere e i braccialetti altissimi, collane e anelli d'oro al naso.
Il mare è solcato da piroghe che portano i pescatori a casa, le mercanzie da un'isola all'altra, i bambini a scuola in terraferma.
I Kuna hanno saputo organizzare anche i piccoli lodge per accogliere i turisti che vogliono trascorrere qualche giorno in questo paradiso incantato.
E' tutto all'insegna della semplicità, capanne spartane, pasti all'aperto sotto il cielo stellato, il silenzio della notte, interrotto solo dal forte rumori della risacca, e di giorno stordimento tra cielo e mare a inseguire i voli dei pellicani a caccia di pesi.
Amore com'è andato il viaggio a Panama?.
Sai...una cosa normale, Panama...è solo Panama...amore.








Pianeta Scimmia: Gorilla di montagna.

Gran parte delle nostre conoscenze sui gorilla proviene da studi sul campo, non della varietà più diffusa di pianura, ma del rarissimo, e quasi estinto, gorilla di montagna, una sottospecie del gorilla orientale.
Il gorilla di montagna è quella scimmia antropomorfa dal mantello irsuto che abbiamo conosciuto attraverso gli studi di George Shaller e Dian Fossey, e il film televisivo di David Attenborough.
Oggi ne sopravvivono circa 600 allo stato selvatico e nessuno in cattività.




Gli ultimi gorilla di montagna acquistati dallo zoo di Londra giunsero in Inghilterra all'inizio degli anni '60.
Si trattava di magnifici animali giovani, e l'obiettivo era di allevarli e di creare una colonia in cattività, ma essi rimasero vittime delle malattie dell'uomo e scomparvero in breve tempo.
Furono gli ultimi esemplari a essere portati fuori dal loro territorio naturale, all'interno del quale oggi, non è esagerato a dirlo, la loro sopravvivenza è appesa a un filo.
E' stato stimato che alcuni anni fa un epidemia di ebola abbia sterminato 5000 gorilla occidentali di pianura, ed è facile immaginare le catastrofiche conseguenze di un tale virus se riuscisse a penetrare nel territorio degli ultimi 600 esemplari di gorilla rimasti sulla terra.
Per fortuna, i gorilla di montagna sono separati dai loro cugini occidentali da una distanza di oltre 1000 chilometri, perciò, almeno per il momento, possono considerarsi al sicuro da questa particolare minaccia; tuttavia l'aumentato flusso di turismo verso i loro rifugi di montagna comporta un rischio quotidiano di diffusione di malattie dell'uomo. ma anche questa minaccia, per il momento, e per merito dei ranger è sotto controllo.






Si spera che questo disastro non accada mai, ma se dovesse accadere ci ritroveremmo con uno scrigno d'informazioni da cui attingere per ricordare questi primati unici.
Gli studi effettuati finora sono tra i più esaurienti nell'ambito di quelli condotti su animali allo stato selvatico.
I gorilla di montagna vivono nelle foreste immerse tra le nuvole, nel punto di confluenza di Uganda, Rwanda, Repubblica Democratica del Congo, proprio al centro del continente africano.
La loro dieta consiste al 90% di foglie, fiori, germogli, steli e radici, provenienti da non meno di 142 specie di piante.
Talvolta integrano la loro dieta con corteccia d'albero, frutta, terreno (per i minerali) e formiche.
Un maschio adulto consuma quotidianamente fino a 34 kg di materia vegetale.
A causa della scarsa qualità nutrizionale della loro dieta, i gorilla di montagna trascorrono almeno metà della loro giornata mangiando.
L'altra metà la dedicano al riposo, mentre la notte, i membri dello stesso gruppo dormono uno accanto all'altro in giacigli separati, preparati di fresco ogni sera.
A essere sinceri, si tratta di una vita da bovino per un primate dotato di un cervello così grande: un eterno picnic, senza soluzione di continuità.
Le distrazioni sociali, poi, sono poche e remote.





In un gruppo di gorilla di montagna, i rapporti interpersonali sono calmi e rilassati e quando un gruppo s'imbatte in un altro gruppo, raramente sorgono questioni territoriali.
Al contrario, i due gruppi fanno tutto per evitarsi.
Ad eccezione dell'uomo, questi primati non temono nessuno altro predatore.
Lo spirito di competizione con gli scimpanzé è trascurabile, poiché gli scimpanzè che condividono il loro territorio sono animali arboricoli che si nutrono essenzialmente di frutti, e non hanno nessun interesse per le piante consumate dai gorilla.
Un gruppo tipico di questa specie consiste di otto-dieci individui: un maschio dominante, tre o quattro femmine adulte e i loro piccoli di varie età.
Nel 40% circa dei gruppi, tuttavia, il maschio dominante permette ad altri maschi adulti di stato inferiore a unirsi al gruppo, lasciando svolgere loro l'utile ruolo di sentinelle.




L'ammissione nel gruppo di questi maschi aggiuntivi presenta un altro vantaggio, poiché, quando il vecchio maschio dominante muore, uno di essi può prendere tranquillamente il posto.
Quando non sono presenti altri maschi subordinati, la morte del capo può comportare il disfacimento di tutto il gruppo famigliare.
Questo tipo di organizzazione sociale è qualcosa che il gorilla occidentale di pianura eviterebbe a tutti i costi, e costituisce probabilmente una delle maggiori differenze comportamentali tra queste due specie di gorilla.





I rapporti tra la femmina e il maschi dei gorilla sono solitamente amichevoli.
Sebbene l'unità sociale base sia un gruppo costituito da un maschio enorme e da una serie di femmine di dimensioni molto più piccole, il maschio non può affidarsi alla forza bruta per tenersi stretto il suo harem.
Nella fitta foresta abitata da questi primati, sarebbe fin troppo facile, per una femmina trattata male, fuggire e trovare un altro gruppo nel quale inserirsi.
Così, nonostante la loro straordinaria forza, i maschi sono costretti a gestire bonariamente il loro ruolo dominante.
Gli osservatori hanno anche riscontrato una particolare tenerezza del maschio dominante nei confronti dei suoi piccoli.
Tra tutte le grandi scimmie antropomorfe, i gorilla sembrano essere quelli meno interessati al sesso.
L'atto della copulazione è molto più breve e insignificante di quanto si potrebbe pensare.
Secondo quanto osservato, la durata di un accoppiamento, in condizioni di cattività, non supera i 10-15 secondi, con un unico caso durato 3 minuti.
Nell'osservare queste copulazioni, si è notato che il maschio effettuava solo pochi movimenti pelvici.






I primi rilevamenti fatti su animali allo stato selvatico sembravano puntare in direzione contraria, suggerendo l'ipotesi che la situazione artificiale creata in cattività potesse svolgere un'azione inibitoria sui gorilla.
In un caso, si erano osservati quattordici movimenti pelvici, mentre in un altro, in cui la monta era durata quasi 5 minuti, ne erano stati contati non meno di trecento.
Il dato più sorprendente di questi due accoppiamenti, tuttavia, era che in entrambi i casi non si trattava del maschio dominante, ma di maschi subordinati.
In seguito, più dettagliate osservazioni sul campo, hanno confermato che il maschio dominante consente talvolta ai maschi subalterni di accoppiarsi, ma che la maggioranza degli accoppiamenti sono effettuati dal maschio alfa in persona.
Lontano dall'essere il bruto dell'immaginario popolare, il gorilla, nonostante la sua enorme forza, è senz'altro il più gentile, amichevole e riservato di tutte le grandi scimmie antropomorfe.






lunedì 5 novembre 2012

Amnesty International: Alza la voce.





"...Ci vorrà molto tempo prima che le conseguenze della primavera si facciano davvero sentire nei paesi arabi... Nonostante ciò sono ottimista, perché non ci arrenderemo."Hedel Hashmin, studentessa egiziana.





Dall’inizio del 2011, milioni di persone sono scesi nelle piazze del Medio Oriente e Nordafrica per chiedere dignità, diritti umani, giustizia, fine dell’oppressione e della discriminazione.

Nelle piazze della “primavera democratica” migliaia di donne hanno preso parola, spesso assumendo la leadership delle proteste. Forza ispiratrice del cambiamento, queste donne hanno sfidato – e continuano a sfidare – vecchi e nuovi regimi repressivi per difendere i diritti umani e promuovere le riforme e l’uguaglianza.

Hanno pagato e stanno pagando a caro prezzo questa loro coraggiosa lotta per i diritti umani.

Nei paesi in cui non c’è stato un cambio di potere, le donne continuano a subire una forte pressione, persino aumentata a causa del loro protagonismo. Tra questi, la Siria, dove tra la popolazione civile, principale vittima del conflitto armato, le attiviste sono prese di mira perché denunciano o perché chiedono notizie dei familiari in carcere o scomparsi dopo l’arresto. In Arabia Saudita da settembre 2011 le donne possono votare e candidarsi alle elezioni municipali, ma non possono viaggiare né avere un lavoro retribuito, non possono avere un’istruzione superiore né sposarsi senza l’autorizzazione di un uomo. In Iran, attiviste, giornaliste e blogger sono in carcere perché hanno difeso i diritti delle donne, pubblicato un articolo o rilasciato un’intervista. In Barheintra gli attivisti colpiti per il loro lavoro in difesa dei diritti umani ci sono diverse donne.

In quei paesi in cui nuove autorità sono salite al potere, i diritti delle donne sono messi a rischio da forze politiche che mirano a mantenere  
la loro subordinazione e, in alcuni casi, ad aggravare la discriminazione di genere, come in Tunisia o nell' Egitto del post Mubarak, dove attiviste, studentesse e giornaliste straniere subiscono violenze e molestie sessuali.

Amnesty International Italia, dal 2011, lavora al fianco di queste donne coraggiose perché cessino le violazioni dei loro diritti umani e siano adottate leggi che pongano fine alla discriminazione di genere.

Per continuare in modo efficace questo lavoro, lanciamo la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi tramite sms solidale al 45509 “Io sono la voce”.
Le donazioni ricevute consentiranno ad Amnesty International di proseguire nel 2013 la sua principale campagna globale, sui diritti umani in Medio Oriente e Nordafrica, attraverso il potenziamento delle missioni di ricerca nei paesi della regione, il lancio di campagne su temi o paesi specifici, la promozione di appelli per salvare la vita di persone a rischio di tortura o di morte, le pressioni sulle assemblee incaricate di scrivere le Costituzioni e di adottare leggi per porre fine alla violenza sessuale e formare le forze di polizia al rispetto delle donne.



Africa: Vita quotidiana. Arti del corpo.

"Neppure il parrucchiere più abile può tagliarsi i capelli da solo".
( proverbio Congo ).




I Bafia del Cameroun spiegavano la foratura delle orecchie e la limatura dei denti sostenendo che altrimenti sarebbero somigliati a scimpanzé o porci.
Il corpo offre alle società africane un campo metaforico attraverso cui rappresentare le relazioni sociali e il luogo su cui imprimere il proprio segno modificandone volume e superficie.
L'acquisizione di status definitivi o temporanei è marcata attraverso modificazioni permanenti (scarificazioni, tatuaggi, mutilazioni, deformazioni ossee ), oppure transitorie e ripetibili ( colore, abbigliamento e acconciature, soggetti a prescrizioni e divieti, è una modalità di espressione delle gerarchie sociali.
Non si tratta però di un quadro statico; vi è spazio anche per le mode, per cambiamenti generati localmente o importati dall'esterno e per apprezzamenti estetici.
Nudità e trascuratezza nella cura dei propri capelli sono in Africa il segno della marginalità sociale e di un'umanità minacciata dall'animalità o dal disordine della morte: il lutto è spesso contrassegnato dalla nudità e dalla rasatura della testa così come l'iniziazione, in cui si muore simbolicamente per rinascere trasformati; elementi che servono anche a sottolineare lo status pre-sociale e scarsamente umanizzato dei bambini.
Capelli lunghi e spettinati sono invece spesso il segno della perdita della ragione, dell'apparizione di spiriti malvagi.







Il colore è oggetto giudizi che sono al contempo etici, medici, religiosi ed estetici.
La bellezza non è un dato naturale di partenza ma il risultato di una cura del corpo che si esprime attraverso la pulizia e la cosmesi.
Presso i Mende della Sierra Leone ad esempio, una pelle nero lucente e levigata ottenuta con continue applicazioni di olio rappresenta l'ideale della bellezza femminile.
La concezione africana del colore poggia sulla terna bianco, rosso, nero, con il rosso che fa da mediatore.
Fra i Ndenbu del Congo il rosso è simbolo del sangue, il bianco del latte materno e dello sperma e il nero delle feci e dell'urina.
Bianco e nero esprimono il contrasto tra bontà e cattiveria, vita e morte, salute e malattia.
Il bianco del latte materno, dello sperma e della farina è associato al nutrimento, alla procreazione, alla verità e alla purezza rituale.





Fra gli Yoruba della Nigeria la scarificazione del corpo mira ad ottenere un equilibrio compositivo ( idogba ), tanto tattile che visivo, che è il risultato dall'alternanza e combinazione di superfici lucide e opache, levigate e ruvide, attentamente incise e lavorate: il nero del pigmento usato nelle scarnificazioni modera la lucentezza della pelle modificandone il colore.






Francia: Un relitto romano nel porto di Antibes.




Sembra la gabbia toracica di un grande mammifero marino, le cui ossa sono diventate nere per via della fossilizzazione. Il relitto è stato scoperto lo scorso maggio durante uno scavo ad Antibes, nella Costa Azzurra, durante la costruzione di un parcheggio nel sito del porto romano dell’allora Antipolis. 
Gli archeologi hanno scoperto poco a poco uno scafo lungo 15 metri in condizioni “eccezionali”, dice Giulia Boetto, specialista in progettazione navale dell’Università di Aix-Marseille. Il terreno in cui è stato trovato è infatti sempre impregnato d’acqua e questo ha impedito che il legno marcisse e si decomponesse. 
Dalla sua scoperta, si è mantenuto lo scafo umido. “In caso contrario, nel giro di poche settimane avremmo perso tutto”, spiega Isabelle Daveau, archeologa dell’Inrap (Rescue Archaeology Research Institutee) e responsabile del progetto. 
La nave – una nave mercantile del periodo imperiale – era probabilmente lunga circa 22 metri e larga sei o sette.  
Si pensa sia affondata nel II o III secolo nel porto di Antipolis. “Ha il tipico fondo piatto greco-romano” – dice Boetto – aveva una stiva profonda 3 metri e una vela quadrata. “Una nave come questa poteva trasportare un carico fino a circa 100 tonnellate”. Può sembrare molto, ma è ben al di sotto della stazza raggiunta dalle altre navi. “All’epoca, le barche che trasportavano grano egiziano a Roma potevano essere lunghe fino a 40 o 50 metri, cariche fino a 400 tonnellate di grano”, aggiunge.





I resti della nave, che saranno donati ad Antibes dallo Stato, saranno smantellati e il legno trattato per essere conservato. “Solo il processo di trattamento del legno richiederà due anni”, spiega Jean-Louis Andral, capo del museo di Antibes. “Poi il relitto verrà ricostruito e posto in un centro per lo studio e la conservazione, dove potrà anche essere visitato dal pubblico”. Dovrebbe essere pronto in tre o quattro anni.
Non si sa perché la nave si trovase ad appena 2 metri di profondità: forse era affondata per colpa delle onde, oppure venne utilizzata per servire come pontile. Ad ogni modo, non sono state trovate tracce di riparazioni, e quidi forse la nave non era molto vecchia.
Gli archeologi non hanno trovato alcuna prova di qualsiasi carico. “Ad una profondità di meno di 2 metri, sarebbe stato abbastanza facile recuperare le merci”, ha dichiarato Boetto.
Oltre alla nave sono stati scoperti numerosi reperti che documentano la varietà del commercio del porto tra la fine del IV e l’inizio del VI secolo, tra cui anfore gettate in acqua durante lo scarico, stoviglie danneggiate e suole di scarpe di cuoio.



Tali reperti sono particolarmente preziosi per gli archeologi visto che i nove decimi del porto vennero distrutti negli anni ’70 con la costruzione di un moderno porto turistico. A quei tempi non c’era ancora alcuna normativa che imponesse uno scavo preventivo.
“Abbiamo trovato un gran numero di anfore dall’Italia e da Marsiglia, risalente al periodo più antico del porto”, dice l’archeologo Robert Thernot. “Poi, col passare del tempo, c’erano sempre più oggetti da Nord Africa e Mediterraneo orientale.” Questo suggerisce che i principali centri di produzione si spostarono, proprio come sta accadendo oggi con la crescente importanza dell’Asia e col declino industriale europeo.