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mercoledì 13 marzo 2013

Etruschi: Lingua e scrittura.


"Gli Egizi si vantano inventori dell'alfabeto, che poi i Fenici avrebbero introdotto in Grecia. In Italia poi  gli Etruschi appresero la scrittura dal corinzio Demarato". (Tacito).





Sarcofago di Laris Pulena con iscrizione funeraria, da Tarquinia, metà III secolo a.C.
Tarquinia, Museo Archeologico Nazionale.


L'archeologia ha restituito un numero elevato di documenti scritti in Etrusco, i più antichi datati tra la fine dell' VIII e l'inizio del VII secolo a.C.
Tra XVIII e XIX secolo, quando altri enigmi linguistici venivano risolti (la celebre stele di Roseta svelava a Champollion i segreti del geroglifico), la lingua etrusca usciva dai primi tentativi di decifrazione avvolta i un alone di mistero.
Un alone per certi verso oggi dissolto: l'alfabeto etrusco è una rielaborazione di quello greco, e pertanto correntemente leggibile da chi conosca quest'ultimo.
Ciononostante, la comprensione dell'Etrusco è limitata dalla qualità dei documenti: le iscrizioni conservate sono per lo più monotone formule funerarie o votive, che nella loro brevità non permettono conclusioni sulla struttura, la grammatica e la sintassi della lingua.
E' opinione condivisa che l'Etrusco non rientri nel gruppo delle lingue indoeuropee.
Molte parole, in particolare quelle che esprimono concetti di base (come vivere e morire, donare o dedicare) hanno altra etimologia, e derivano dal substrato linguistico pre-indoeuropeo i cui relitti affiorano in diverse aree del Mediterraneo (nella penisola italica, anindoeuropee dovevano essere, con Rieti, Liguri e Piceni, anche le genti villanoviane).
Tuttavia elementi comuni con l'indoeuropeo in campo lessicale e morfologico tradiscono un complesso processo di formazione realizzatosi in tempi e con apporti differenti, non ultimi i contatti storicamente documentati che giustificano gli evidenti prestiti dal greco e dall'italico.






Tavoletta scrittoria in avorio intagliato con alfabetario, dal Circolo degli Avori della Banditella a Marsiliana d'Albenga, 675-650 a.C., Grosseto, Museo Archeologico e d'Arte della Maremma.


La tavoletta, spalmata in cera nell'incavo, era utilizzata per scrivere.
Dallo stesso corredo provengono anche altri strumenti per la scrittura: uno stilo con manico d'avorio e due spatole, pure in avorio.
Le lettere dell'alfabeto Etrusco sono ventidue, contro le ventisei dell'alfabeto greco occidentale da cui deriva.
Sono soppressi infatti i segni che corrispondono a suoni inesistenti nella lingua etrusca.
Sul bordo superiore sono incise con andamento sinistrorso (da destra a sinistra) le lettere dell'alfabeto greco, da cui deriva quello etrusco: quasi un promemoria per chi adoperava la tavoletta.
Sui lati brevi della tavoletta rettangolare con funzione di presa, due teste di leone giustapposte a tuttotondo.






Calamaio in bucchero a forma di galletto con alfabeto etrusco, da Viterbo, VII secolo a.C New York, Metropolitan Museum of Art


In Etruria la scrittura appare molto diffusa e insegnata: si conoscono infatti oltre sessanta alfabetari documentati senza interruzione dal periodo orientalizzante all'ellenismo e distribuiti indifferentemente in aree urbane, santuari o siti di necropoli.




Tabula Cortonensis in bronzo, fine III - prima metà II secolo a.C., Cortona, Museo dell'Accademia Etrusca.


Le iscrizioni etrusche pervenuteci sono in genere molto brevi e legate a precisi ambiti: dediche votive, epitaffi, iscrizioni di possesso, didascalie, maledizioni, formule onomastiche, marchi di fabbrica e firme di maestri.
Il testo (trentadue righe su un lato, otto sull'altro) è un documento giuridico che registra la transazione di alcuni terreni, probabilmente la suddivisione di un latifondo.
Delle parole presenti, la metà sono nomi propri: le parti coinvolte, seguite dall'elenco dei garanti dell'atto.
La scelta del bronzo indica la volontà di conservare e ostentare il testo.
L'iscrizione è stata incisa "a freddo" della superficie piuttosto che realizzata con la fusione della lastra.





Al centro, in alto, un elemento a manubrio coronato da un pomello sferico costituisce una presa fissata alla tavola con due ribattini di rame.
I documenti redatti in etrusco sinora noti sono oltre diecimila.
Il loro numero è destinato ad aumentare con il proseguire degli scavi.
La tavola, di forma rettangolare e alta quasi 50 cm, è di bronzo.
E' stata spezzata intenzionalmente, già in antico, in otto parti, una delle quali non si è conservata.


Fibula a drago in oro decorata a granulazione, dalle vicinanze di Chiusi, seconda metà VII secolo a.C., Parigi Louvre.



La tecnica della granulazione, con cui sono realizzate decorazioni ed epigrafe, riconduce all'attività di maestri orafi dell'Etruria meridionale, ma la variante dell'alfabeto denuncia l'origine chiusina del committente.
Oggetti come questa fibula qualificano la scrittura, nell'arco del VII secolo, come elemento di connotazione aristocratica, segno distintivo del ceto dominante orientalizzabile che la utilizza per marcare oggetti di pregio.
Le formule dedicatorie o di possesso lasciano parlare l'oggetto attravero l'iscrizione.
Questo recita" mi arathia velavesnas zamathi mamurke mulvenike tirsikina", ovvero" io (sono) la fibula di Arath Velavesna. Mamurke Tirikina mi ha donata".




Boccetta-calamaio in bucchero con iscrizione etrusca, dalla tomba Regolini Galassi a Cerveteri, VII secolo a.C. Città del Vaticano, Museo Gregoriano Etrusco.

Il calamaio è un vero e proprio abbecedario: sull'anello della base è inciso l'alfabeto, mentre sul corpo compare il sillabario.
La presenza di alcuni errori, associata alla sicurezza nella grafia, hanno fatto pensare che il testo sia stato redatto da un autore analfabeta che avesse a disposizione, da copiare, un testo già preparato.



Liber linteus di Zagabria, II secolo a.C., Zagabria, Museo Nazionale

Il testo è scritto su fasce di lino utilizzate in seguito per avvolgere la mummia di una giovane donna, rinvenuta in Egitto e oggi conservata a Zagabria.
Liber linteus significa appunto, in latino, libro in lino.
Il testo rituale conservato sulla mummia di Zagabria consta di circa milleduecento parole
(molte delle quali ripetizioni).
Con la Tegola di Capua, rappresenta una vistosa eccezione nel panorama delle epigrafi etrusche, di norma ridotte a formule molto brevi.
La produzione scritta di carattere religioso, che dagli accenni e dalle citazioni nelle fonti non etrusche appare copiosa, non è conservata.
Il calendario religioso sul Liber linteus di Zagabria, solo in parte decifrato, potrebbe rappresentare l'unica eccezione.
Sul rotolo, in origine alto circa 30 cm e lungo quasi 4 metri, il testo è ordinato in colonne divise da linee e scritto in rosso: leggibile da destra a sinistra, recita un rituale espresso in forma di calendario, con i giorni prescritti per le cerimonie e determinate divinità.
Il lino è il materiale scrittorio impiegato per opere di una certa lunghezza.
Tagliato a fasce, viene arrotolato in volumina come quello che compare sul coperchio di sarcofago di Laris Pulena o piegato a fisarmonica in riquadri.