2.200 anni fa, nell’antica città egizia di Tebtunis, alcune persone firmavano volontariamente dei contratti di schiavitù per l’eternità presso il tempio locale. E pagavano pure una tassa mensile per questo “privilegio”.
L’egittologo Kim Ryholt, dell’Università di Copenaghen, pensa che questi schiavi potessero essere persone senzo uno status sociale, che sceglievano la schiavitù al tempio invece dei più pesanti lavori forzati.
“A partire da oggi io sarò il tuo servo, e pagherò 2 pezzi e mezzo di rame ogni mese come mia tassa di schiavitù per Soknebtunis, il grande dio”. Questa è la traduzione di un impegno solenne trovato in 100 contratti per schiavi scritti su papiri di 2.200 anni, nella città di Tebtunis. Kim Ryholt è il primo ricercatore ad aver analizzato tutti questi documenti.
Oggi è difficile capire per quale motivo uno si farebbe volontariamente schiavo presso un tempio, per di più pagandolo. Ma esiste una spiegazione plausibile.
“Il 90% delle persone che sottoscrissero questi contratti non era in grado di nominare i loro padri, anche se ciò veniva normalmente richiesto. Erano presumibilmente figli di prostitute. Questa è una chiara indicazione che appartenevano alle classi più basse che il re poteva mettere ai lavori forzati, per esempio scavando canali, se solo lo desiderava. Tuttavia, sappiamo da altri documenti contemporanei che gli schiavi del tempio erano esonerati dal lavoro forzato”, dice Kim Ryholt.
“Molti quindi sceglievano di vivere come schiavi del tempio perché era l’unico modo di evitare un’alternativa severa e forse anche mortale; il tempio era semplicemente il male minore per queste persone. E, per i templi, questa era una pratica redditizia per avere risorse aggiuntive e denaro”.
Secondo Kim Ryholt, la possibilità di evitare il lavoro forzato stipulando contratti di schiavitù con i templi fu limitato a un periodo di 60 anni- all’incirca dal 190 al 130 a.C. Non vi è alcuna indicazione che la pratica esistette in qualsiasi altro periodo in Egitto, probabilmente perché la famiglia reale non avrebbe potuto, nel lungo periodo, permettersi di cedere così tante risorse ai templi.
I contratti di schiavitù erano stati scavati illecitamente in una discarica vicino al tempio di Tebtunis e poi dispersi in tutto l’Egitto, l’Europa e gli Stati Uniti. Ci sono voluti anni a Kim Ryholt per raccogliere e analizzare i documenti.
“La Papyrus Carlsberg Collection dell’Università di Copenaghen contiene un gran numero di contratti,
ma molti sono frammentari, e per studiare tutto il materiale ho dovuto visitare molte altre collezioni dove ci sarebbe stata la possibilità di trovare contratti di Tebtunis, tra cui il British Museum, le collezioni universitarie nel New Haven, Michigan e Firenze, e non da ultima Tebtunis stessa, dove partecipo agli scavi moderni”, dice Kim Ryholt. “In alcuni casi, un contratto potrebbe essere fisicamente diviso tra, per esempio, Copenhagen e il British Museum, e i frammenti devono quindi essere analizzati e messi insieme virtualmente sul computer”.