Altheo "Istanti": le foto vincitrici del Premio Pulitzer.
Kevin Carter. La bambina e l'avvoltoio. 1994.
La foto, il premio, l'accusa, il suicidio.
Kevin Carter, fotografo freelance e famoso cronista della lotta contro l'apartheid in Sudafrica, trovò il Sudan sull'orlo della carestia allorchè vi giunse per fotografare la guerra all'inizio del 1993.
Il Sudan, era impantanato in una guerra civile scoppiata nel 1956, all'epoca dell'indipendenza della Gran Bretagna.
Le popolazioni animiste del sud temevano la dominazione del governo a guida islamica del nord e cercavano l'indipendenza da oltre trent'anni.
Nel 1992 il governo aveva cercato di imporre la legge islamica al sud e si appropriava degli aiuti internazionali destinati a quell'area del paese.
La produzione alimentare locale, perennemente minacciata dalla siccità, era stata drasticamente ridotta dalla continua guerra civile.
Il conflitto e i sanguinosi scontri etnici avevano provocato milioni di profughi.
Alla fine le agenzie delle Nazioni Unite, attaccate sia dalle forze governative sia da quelle della guerriglia, interruppero la distribuzione di cibo nei villaggi interni.
Carter conosceva bene i conflitti sociali e politici che insanguinavano gran parte dell'Africa.
Per quasi tutta la sua carriera, aveva fotografato le violente lotte della sua terra natia, Il Sudafrica.
Aveva cominciato come fotografo di eventi sportivi del weekend, ma ben presto era entrato nell'organico di diversi giornali; era in contatto con un gruppo di fotografi sudafricani bianchi che si occupavano degli aspetti brutali dell'apartheid e insieme avevano seguito la pericolosissima guerra tribale tra i sostenitori di Mandela e quelli dell'opposizione Zulu.
Carter collaborava con tre fotografi: Greg Marinovich dell'Associated Press, Premio Pulitzer del 1991; Ken Oosterbroek, del Johannesburg Star; e il freelance Joao Silva.
Le loro fotografie dei feroci conflitti tribali erano tante note che un reporter di una rivista locale eveva soprannominato i quattro, che si muovevano insieme come forma di protezione nei sobborghi neri del Sudafrica, il "Bang Bang Club".
Nel febbraio del 1993 Carter prese un periodo di ferie e, insieme a Silva, andò in Sudan.
Il loro aereo atterò nel villaggio di Ayod, dove era stato approntato un centro di distribuzione alimentare.
Carter trascorse gran parte del giorno a fotografare la terribile scena delle persone affamate che avanzavano barcollando verso il centro in cerca di cibo.
Nel corso della sua sessione fotografica, s'incamminò nella boscaglia circostante e sentì i flebili lamenti di una bambina che, accovacciata nella polvere, arrancava verso il villaggio.
In quel momento un avvoltoio atterrò poco discosto. Carter si mise in posizione per fare una fotografia della bambina e dell'avvoltio in paziente attesa.
Ne scattò qualcuna, poi scacciò l'uccello.
In seguito gli amici di Carter riferirono che era abbattuto dopo aver scattato quella fotografia, ma lo struggente messaggio di quell'immagine toccò la sensibiltà di molti nel mondo.
In marzo; il New York Times, in cerca di uno scatto dal Sudan, usò la stravolgente immagine di Carter.
Ben presto fu ripresa anche da altri e diffusa a livello internazionale diventando un icona delle sofferenze dell'Africa.
L'uso sulla scala globale della fotografia e la fama che ne derivò, incoraggiarono Carter, che intanto era rientrato in Sudafrica, a lasciare le collaborazioni da freelance.
L'attività indipendente aveva aspetti attraenti ma anche lati negativi: lunghe attese tra gli incarichi, alti e bassi nelle entrate, nessuna copertura sanitaria nè indennità.
Carter firmò per l'agenzia Reuters ma per lui la strada era tutt'altro che in discesa.
Nell'aprile del 1994, solo pochi giorni dopo aver saputo che gli era stato assegnato il Premio Pulitzer, Carter e il Bang Bang Club seguirono i sanguinosi scontri poco fuori Johannesburg.
Carter lasciò la scena presto e rientrò in ufficio. Appena arrivò venne a sapere che il suo miglior amico Ken Oosterbroek era stato ucciso e Greg Marinovich gravemente ferito.
Carter ne fu sconvolto.
Sebbene un premio come il Pulitzer porti la notorietà e, con essa, una maggiore attenzione al lavoro di un fotografo, talvolta nocano gli sgarbi.
Alcuni colleghi di Johannesburg dissero che l'immagine era un colpo di fortuna, o che Carter l'aveva preparata in qualche modo.
A ferirlo di più, tuttavia, erano le critiche di chi metteva in dubbio il suo codice morale, sostenendo che un fotografo che si preoccupa dello scatto anzichè aiutare la bambina è solo un altro avvoltoio sulla scena.
Altri chiesero perchè non aveva aiutato la bambina.
Queste critiche non fecero che aumentare il suo turbamento.
In giugno la cerimonia del Premio Pulitzer portò Carter per la prima volta a New York, dove il mondo della fotografia gli rese il meritato omaggio.
Carter ne fu felice, ma una volta tornato in Sudafrica cadde in uno stato che i suoi amici descrissero di depressione.
La notte del 28 luglio 1994, dopo aver appena assaporato gli onori del Pulitzer a New York, Carter parcheggiò il suo pick-up rosso lungo il fiume che attraversa il sobborgo di Johannesburg dove era cresciuto.
Fissò l'estremità di un tubo di gomma alla marmitta con del nastro adesivo e infilò l'altra nell'abitacolo, salì a bordo, chiuse i finistrini e avviò il motore.
Lasciò una breve lettera di spiegazione che parlava di un uomo frustrato e perseguitato da ricordi implacabili di uccisioni, folli armati di fucili, bambini, affamati, cadaveri e dolore.
Diceva che andava a raggiungere il suo amico Ken.
Aveva 33 anni.