Il chitarrista americano da anni gira il pianeta alla ricerca delle radici della musica popolare e incrocia i suoi numerosi strumenti con quelli dei musicisti locali, dilettanti e professionisti. E il risultato è sempre emozionante.
Sono in tanti a spendere termini come musica etnica, world music, ricerca etnomusicologica, pochi ne parlano realmente con cognizione di causa.
Tra questi la figura di Bob Brozman spicca per coerenza, meticolosità e onestà intellettuale.
Il musicista di New York, che suona un'infinità di strumenti a corda, a partire dalla chitarra acustica per arrivare all' ukulele, charango, mandolini, chitarre resofoniche, doro e ibridi vari, come l'affascinante lap steel indiana, da anni gira il mondo per incontrare i musicisti locali e collaborare con loro.
Nel suo diario di viaggio vi sono annotazioni indiane, caraibiche, giapponesi, hawaiane, da America Latina, Polinesia, Cina, Grecia, Cuba, Sudafrica, Francia e, più recentemente, dalla Papua Nuova Guinea.
Qui, più precisamente in una località della Nuova Britannia chiamata Rabaul, costantemente minacciata e periodicamente distrutta dal vulcano locale, che erutta lava, lapilli e, soprattutto cenere, che ricopre i villaggi per anni, Brozman ha incontrato le stringband locali e con loro ha inciso un disco: Songs of the Volcano, che si rivela una testimonianza preziosissima dal punto di vista musicale e musicologico, che illustra l'abilità, il coraggio, l'ottimismo di queste popolazioni.
Al cd è abbinato un dvd contenente un documentario sull'incontro del musicista americano con i cinque gruppi di Rabaul e dintorni e su come il disco è stato realizzato, in studi d'incisione "da campo", con attrezzature spesso artigianali.
Sia il disco, sia il documentario sono sorprendenti per le emozioni che regalano.
Ma come è nato il progetto?
"Da un idea della Macquarie University di Sydney, dove periodicamente tengo dei seminari.
Ho subito accettato l'invito, perché a 51 anni so bene che bisogna cogliere al volo certe occasioni e non sai se si ripresentano.
Ho una certa dimestichezza con i cosiddetti Paesi in via di sviluppo e la ricerca sulle stringband tradizionali, di cui avevo sentito parlare mi stimolava".
Immagino che l'ambiente fosse molto particolare, con questo vulcano incombente e lo strato di cenere che copre ogni cosa...
"Impressionante, la cenere è dappertutto, loro la tolgono e quella piove ogni giorno a tonnellate. Eppure hanno una determinazione, proveniente da una forte concezione dell'unità familiare, che ti fa andare avanti con il sorriso sulle labbra e la musica che li accompagna".
Le band locali suonano prevalentemente chitarre che sono state portate lì dai popoli colonizzatori?
"Si, i marinai spagnoli e portoghesi soprattutto hanno portato le chitarre in quelle terre.
La cosa curiosa, che si è verificata in moltissimi Paesi che ho visitato, è stata la modificazione dell'accordatura standard in accordatura aperta: infatti la logica vorrebbe che suonando le corde libere si ottenesse un accordo armonico, non quello dissonante della nostra accordatura standard che, quindi, è stata modificata".
Per noi occidentali la musica è una forma d'arte e di intrattenimento: per quelle popolazioni di origine prevalentemente aborigene che significato ha?
"Per loro, e per tutti i Paesi non industrializzati, la musica ha un'enorme importanza nella vita di ognuno: dalla nascita alla morte la musica accompagna i momenti salienti dell'esistenza.
Non solo: io non ricordo una sola notte senza essermi addormentato al canto di qualcuno nel villaggio e, alla mattina alle sette, la musica e il canto accompagnava il risveglio.
Così come gli uccelli non possono fare a meno di cantare, nemmeno loro riescono a stare senza musica. E' la natura".
Lei ha suonato assieme a queste cinque band e in qualche modo le ha "contaminate".
Sente questa responsabilità?
"Certamente. Io adotto due modi di collaborare con i musicisti.
Se ho accanto a me un professionista, un virtuoso, è chiaro che il rapporto è paritario.
Nel caso delle stringband di Rabaul, invece, cerco di stare non uno, ma due passi indietro, mi limito ad accompagnare, magari ricamo qualcosa, niente di più.
Ho dato solo qualche indicazione, a volte, sulla velocità dei pezzi, che, rallentati, venivano valorizzati.
Anche se non è stato facile".
Video: Bob Brozman, Songs of the Volcano. Trailer.