mercoledì 14 novembre 2012

Sahara: Oasi e città carovaniere.

Troppo vasto è questo mare di pietra e di sabbia perché la sola mobilità possa spiegare la sopravvivenza dell'uomo.
Occorrevano delle isole, dei punti di approdo che l'uomo ha creato con il miracolo delle oasi.
Rarefatti al punto da coprire un millesimo della superficie sahariana, questi grumi di verde rappresentano non solo le uniche fonti di vita agricola nel deserto, ma anche i preziosi nodi del grande tessuto commerciale che per tanti secoli ha animato il vuoto tra le sponde mediterranee e l'Africa nera.





Se si riunissero le oasi del Sahara in un insieme unitario si totalizzerebbe nel complesso una superficie non più grande di una nostra regione.
Il rapporto tra superficie del Sahara e superficie di questo ipotetico "Sahara utile" sarebbe di uno a mille.
Ma le oasi si caratterizzano appunto per la loro frammentazione e il loro isolamento.
Sono piccole superfici scure che, a vederle dall'aereo, incutono sgomento a confronto delle grandi vastità circostanti.
Con esse le oasi non stabiliscono rapporti diretti e continui, come li stabiliscono ad esempio i centri delle regioni a popolamento continuo, dove la città e i paesi hanno nello spazio circostante il loro dintorno vitale.
Le oasi sono piccoli spazi che accolgono il centro abitato e il ristretto spazio verde che offre a esso le risorse agricole.
Fuori dall'ombra della palmeraie c'è il deserto, più o meno simile a dieci come a cento chilometri di distanza.







La geografia del Sahara è fatta pertanto di un tessuto puntiforme, la cui maglia si adegua alla distribuzione delle risorse idriche che gli uomini, a partire dai secoli lontani, sono riusciti a sfruttare creando centri di vita agricola e di popolamento.
Esse però non sono soltanto centri di vita: sono anche "approdi" nel grande mare del Sahara, che è percorso da traffici e piste che ne indicano la penetrabilità.
Non si può spiegare il Sahara, e neppure le oasi che ne indicano la vita, per quanto precaria e sparsa, se non si tiene conto di questi rapporti, di questa maglia che percorre il deserto sin da epoche remotissime.
Le oasi si sono infatti costituite e hanno preso sviluppo proporzionalmente non solo alle loro risorse idriche, ma anche, se non soprattutto, alla loro funzione di approdi, di scali, di nodi della rete di traffici e comunicazioni del Sahara.
Ci sono le oasi che sfruttano l'acqua di scolo dei fiumi provenienti da zone piovose: è il caso delle oasi marocchine che utilizzano l'acqua dei fiumi Ziz e Draa alimentati dalle nevi dell'Atlante: successione di oasi resa possibile dall'abbondante apporto d'acqua dei fiumi che poi si perde nel Sahara dopo aver permesso la vita delle oasi.









Ci sono le oasi che si riforniscono dell'acqua di preziose sorgenti, come la grande oasi di Gadames, in Libia.
Altre che traggono l'acqua da pozzi, come le oasi dello Mzab.
Nel souf si ha un tipo d'oasi ancora diverso, in quanto utilizza una falda acquifera relativamente superficiale rintracciabile sotto la coltre sabbiosa: da ciò deriva quella spettacolare frammentazione di palmeti situati in piccole cavità ( ghout ), profonde circa 20 metri ognuna, sul fondo delle quali allignano poche decine di palme tutt'intorno riparate dall'invasione delle sabbie da opportune difese.
Allo sfruttamento di una ricca falda d'acqua che trae alimento dal massiccio del Tademait si deve anche l'oasi di In-Salah, formata da un grande palmeto che si allinea per qualche chilometro in rapporto alla stessa falda e che si dispone con gli orti e i palmeti in opposizione al vento ( l'aliseo ) che tende a colmare di sabbia le colture, anche qui difese da ripari fatti di rami di palme ( afregs ).







Sull'altro lato del Tademait le oasi di Timimoun appaiono come un delicato congegno che si regge grazie alle foggare, le lunghe gallerie sotterranee che attingono le acque da falde lontane e che la trasportano, con adeguata pendenza, cioè per scorrimento, sino all'oasi.
Le Foggare, scavate e tenute pazientemente in funzione dagli iklan specializzati, sono un prodigio della tecnica sahariana di adattamento all'ambiente desertico: esse tuttavia non rappresentano che la variante dei qanat avviati in epoche remote sull'altopiano iranico e poi diffusesi, attraverso il mondo arabo, sino al Sahara.