A dominare lo scenario ci sono gli oltre 1.300 monti dell'Himalaya, la catena che si estende a braccia aperte nella parte settentrionale del Paese.
La magia di cime bianche con ghiacci perenni intrappolate in un paesaggio montuoso di grande impatto.
Il mito dell'Himalaya e il fascino di luoghi remoti e inaccessibili, in cui il progresso sembra storia d'altri tempi.
Il Nepal è un Paese unico, a metà strada tra India e Cina, un sottile rettangolo di terra dominato dalle rocce e grande quasi la metà dell'Italia.
Io ci sono andato.
Iniziare a visitare questo Paese vuol dire prima di tutto imparare a conoscere le radici.
Quelle del Nepal sono ben radicate nelle balconate che dominano il Gangapurna; nella vallata, nascosta da montagne che superano i 7.000 metri d'altezza, l'azzurro del lago, formato dal ritiro del ghiacciaio spezza un paesaggio dominato dal calore brullo della roccia.
Un'altalena di scalini tagliano il panorama, nel quale si distinguono le bandiere buddiste di preghiera e una caratteristica tenda di pastori.
Percorrendo le rive di Langtang, ho potuto notare la flora locale.
Il paesaggio cambia repentinamente e quella che era roccia si trasforma nell'ambiente tipico
della foresta pluviale, fatto di muschi, licheni e orchidee selvatiche.
La storia del Nepal è travagliata: l'unità politica della regione fu raggiunta solo nel 1970 quando il Re Gurkha sottomise i regni di Katmandù, Bhadagaon e Patan.
La Gran Bretagna nel 1816 vi istituì un protettorato commerciale fino a quando nel 1846 la famiglia militare dei Rana sostenuta dall'Inghilterra esautorò di fatto il sovrano, assumendo ereditariamente la carica di Primo Ministro.
I Rana detennero il potere anche dopo la proclamazione dell'indipendenza nel 1923, ma vennero rovesciati nel 1951 da un colpo di stato che mirava a introdurre una monarchia costituzionale.
Nei primi anni sessanta furono vietati i partiti politici e fu istituito un regime basato sui consigli notarili.
Il 1972 vede l'ascesa al trono di re Birendra, ma la crisi economica e l'assolutismo di regime avevano generato una situazione di forte tensione sfociata in sanguinose rivolte nel 1985 e nel 1990.
Nel 1991 il Nepal ha visto una cauta riapertura alle regole democratiche con la reintroduzione dei partiti politici e una rilettura della costituzione.
Il mio viaggio comincia sotto i ghiacci, nella regione situata a ridosso della catena dell'Himalaya, una sottile lingua di terra chiamata "Rolwaling" (solco) dagli abitanti del luogo.
Una serie di villaggi popolano l'area che si appoggia dolcemente alle cime più alte del mondo.
Ma quello del Rolwaling e tutt'altro che un passaggio uniforme.
La regione può essere divisa, proprio per le sostanziali differenze territoriali, in un area meridionale, in cui si alternano campi terrazzati e boschi di rododendri giganti ( laliguràs), ed un'area settentrionale, più popolosa e vivace.
Qui, nella terra dominata dalla leggenda dello yeti, è possibile riconoscere numerosi "gampa" (monasteri), con la loro architettura essenziale e semplice.
Per raggiungere le cime più alte dell'Himalaya c'è solo una via: il trekking.Le vette, consigliate solo agli alpinisti più esperti, per molti tratti sono prive di passaggi delineati.
Ho deciso: io comincio a passeggiare e dove arrivo...arrivo.
Per fortuna mi hanno detto che lungo il cammino potrò approfittare di alcune abitazioni locali, i lodge adibiti a rifugio. E siccome io sono uno che spesso se ne approfitta, dopo due ore di cammino sono già in un lodge.
Il giorno dopo inizia il vero trekking che mi porterà sino alla valle di Gokyo dopo tre giorni di cammino.
Duro, ma il paesaggio è incredibile. Mi sento vicino a Dio.
Raggiunta la valle numerosi sentieri aprono ai miei occhi incredibili vedute dell'Everest che da solo ripagano la fatica.
Arrivato a Mon-La avverto la sensazione che la salita sia finita: sono immerso in un bosco che, disteso sul letto del fiume, mi fa perdere quota sino all'uscita dalla radura per ammirare in tutto il suo splendore la "Dea Turchese"; così i nepalesi chiamano il Cho Oyu, cima di oltre 8.200 metri.
Vedo la cima da giù e mi basta. So che con un altro giorno di cammino mi potrò avvicinare sempre di più alla cima, ma quello che vedo in questo momento ha già dell'incredibile, non mi voglio "far male" ulteriormente.
Il Nepal non è solo l'Himalaya, così il mio viaggio prosegue con un taglio diverso.
Mi voglio godere le tre città più grandi del Paese.
Nella valle di Katmandu, apprezzo le linee medioevali di Bhaktapur.
A dominare la cittadina è l'architettura orientale del XVII secolo, portata dalla dinastia dei Malla, che in quel periodo dominavano le terre che attualmente costituiscono il Nepal.
Qui visito: la piazza principale, Durbar Square, nella quale si affacciano una miriade di templi e statue antichi.
Poi faccio rotta verso Terai, per gettarmi nella bellezza del Royal Chitwan National Park; il parco naturalistico nepalese, un tempo riserva di caccia della corona inglese, conserva numerose specie in via di estinzione, tra cui elefanti, rinoceronti, tigri e leopardi.
E dopo aver fatto un giro nelle curiose stradine di questa cittadina, mi preparo a fare ingresso a Katmandu; nella capitale, più moderna e sviluppata, si ispira un'atmosfera meno tradizionale di quella che regna invece in tutti gli altri centri nepalesi.
Se passate da queste parti consiglio a tutti i lettori di Scientia Antiquitatis di visitare la zona chiamata Thamel, piena di mercati molto economici.
Dopo aver acquistato dei prodotti locali, ho chiuso gli occhi, sono tornato con la mente al bianco dei ghiacciai, alla maestosità dell'Everest, ai boschi di orchidee, e mi è venuto quasi a pensare che questo Nepal sia più grande di quanto non mostri la cartina geografica.