martedì 3 marzo 2015

C'è una testata nucleare intrappolata da qualche parte in Groenlandia.


Sembra che la storia se ne sia dimenticata, ma nel 1968 un bombardiere B-52 dell'US Air Force con a bordo quattro testate all'idrogeno si schiantò in Groenlandia, a 1118 km a nord del Circolo polare artico.




Nel 1968, in piena guerra fredda, un bombardiere B-52 con a bordo quattro bombe nucleari precipitò nei pressi della base aerea di Thule, in Groenlandia.
Il disastro fu provocato da un incendio nella cabina di pilotaggio che costrinse l’equipaggio ad abbandonare l’aereo. Dei sette militari a bordo, sei riuscirono a salvarsi, mentre uno perse la vita.
Tre delle quattro bombe furono recuperate grazie allo sforzo congiunto e meticoloso che coinvolse sia gli Stati Uniti che i funzionari danesi. Fortunatamente, le bombe rimasero inesplose perché non erano mai state armate dall’equipaggio.
E la quarta bomba dov’è? In un recente documentario trasmesso dalla BBC, si dice chiaramente che la quarta testata nucleare fu abbandonata nel ghiaccio, dopo una massiccia operazione di ricerca.
In realtà, il Pentagono aveva detto per anni che tutte le bombe erano state recuperate e disarmate, fino a quando la BBC, grazie al Freedom of Information Act, ha scoperto la vera storia.
Secondo il Daily Mail, in una sezione declassificata del documento si fa riferimento ad una sezione annerita nel ghiaccio, probabilmente i segni lasciati dall’impatto del bombardiere.
A quanto pare, le ricerche non andarono come dovevano, e la quarta bomba non fu recuperata. Ancora oggi, secondo quanto riporta Jens Zinglersen, ex funzionario della Groenlandia, la zona è ancora off-limits.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, per porre un ulteriore contrappeso alla crescente minaccia sovietica, gli Stati Uniti pensarono di porre un’installazione militare nell’emisfero settentrionale.
Nel 1953 gli Stati Uniti acquistarono il territorio necessario per la base dal governo danese, gli Inuit che risiedevano in quell’area furono indotti dal governo danese a trasferirsi a 110 km a nord, dove attualmente è costituito il villaggio di Qaanaaq.
Pur avendo acquistato il territorio furono conservati i diritti di sovranità della Groenlandia, per cui l’uso della base comporta per gli Stati Uniti il pagamento di un “affitto” ovvero di “cessione temporanea della sovranità”, di 300 milioni di dollari annui.
Tuttavia, nel 1965 il governo danese scoprì che gli americani avevano creato a Thule un deposito di armi nucleari, in barba agli accordi presi in precedenza. L’episodio causò molto attrito diplomatico tra i due stati. L’incidente del bombardiere, avvenuto tre anni dopo, non fece altro che alimentare ulteriori polemiche per quasi 40 anni.



Una sorprendente scoperta archeologica in Irlanda.


Cercavano reperti di 700 anni fa e invece ne hanno trovati di 7000 anni fa! I frammenti di selce scoperti dai ricercatori dimostrano che il sito di Tullyhogue Fort era abitato già nel 5000 a.C.






Presso il sito di Tullyhogue Fort, la collina dove i sovrani della dinastia O’Neill sono stati incoronati tra il 14° e il 17° secolo, gli archeologi hanno scoperto la prova sorprendente di insediamenti risalenti al 5000 a.C., epoca in cui i primi gruppi umani si insediarono in Irlanda.
«Cercavamo reperti di 700 anni fa e invece ne abbiamo trovati alcuni che risalgono a 7000 anni fa», ha detto l’archeologo John O’Keefe al Belfast Telegraph.
I lavori di scavo, che si sono concentranti attorno ai pittoreschi alberi circondati da un tumulo di terra, hanno permesso il ritrovamento di frammenti di utensili in selce risalenti agli albori dell’insediamento umano in Irlanda.
I ricercatori hanno anche scoperto altri preziosi reperti che aiuteranno a ricostruire la storia del sito prima dell’arrivo dei potenti O’Neill. «Credevamo che dagli scavi emergesse una migliore comprensione della storia degli O’Neill, ma ora abbiamo trovato dei reperti che raccontano una storia che non ci aspettavamo di trovare», dice ancora O’Keefe.
«Quello che possiamo dire per ora è che la collina dove sorge Tullyhogue è stato occupato anche da gruppi di cacciatori-raccoglitori, i primi a stabilirsi su quest’isola», continua l’archeologo. «Pensiamo che i primi coloni abbiamo raggiunto il sito seguendo i sistemi fluviali».


In epoca medievale, il sito è stato utilizzato per l’incoronazione dei sovrani della dinastia O’Neill, un gruppo di famiglie che nelle loro mani hanno avuto titoli e posizioni di prestigio.
Essi devono il loro nome a Niall Glúndub un Re supremo d’Irlanda vissuto nel X secolo discendente da Cenél nEógain.
È possibile che il sito, nel corso dei millenni, abbia acquisito una qualche importanza particolare, motivandone la scelta come luogo di incoronazione.
Il toponimo Tullyhogue significa “Collina del giovane guerriero”, o anche “Collina della gioventù”, dal gaelico “Tulloch Oc”.
Certamente, le nuove scoperte spingeranno i ricercatori a più approfondite analisi, cercando di ricostruire la storia di un sito che ha rappresentato qualcosa di significativo per gli antenati irlandesi. «È una scoperta piuttosto interessante», conclude O’Keefe.

I Viaggiatori nel tempo dell'antichità.


Il viaggio nel tempo non è solo la conseguenza teorica delle moderne acquisizioni della fisica. Miti greci narrano di misteriosi personaggi in grado di volare per migliaia di chilometri e di infrangere le barriere dello spazio-tempo. Ecco la straordinaria vicenda di Aristea di Proconneso.






Nei suoi scritti, l’autore greco Strabone cita l’enigmatica figura diAristea di Proconneso, che a suo parere sarebbe stato addirittura il maestro di Omero.
Si ritiene che Strabone sia un personaggio realmente esistito, nonostante la natura leggendaria di molte delle tradizioni che lo riguardano.
Infatti, nella letteratura è ricordato come una persona misteriosa in possesso di straordinari poteri.
I suoi leggendari viaggi sono rimasti impressi nella coscienza e nelle menti degli antichi greci, tanto da sentire la necessità di tramandarne il ricordo alle generazioni successive.
Originario dell’isola del Proconneso (oggi isola di Marmara, nel mare omonimo), secondo quanto riportato dal lessico Suda, le sue attività si sarebbero svolte principalmente durante la cinquantesima Olimpiade (580 a.C.-577 a.C.).
Molte delle testimonianze che lo riguardano riferiscono dei suoi viaggi nelle regioni settentrionali. Secondo Teopompo avrebbe visitato la mitica Iperborea, patria dell’anch’esso mitico popolo degli Iperborei.
Nei miti greci, questa regione viene descritta come era un paese perfetto, illuminato dal sole splendente per sei mesi all’anno. Alcuni autori hanno identificato Iperborea come l’estremità settentrionale del continente perduto di Atlantide, altri ancora con Thule, altri semplicemente con la Scandinavia e il Nord Europa, terre sconosciute e misteriose per gli antichi Greci.
Le modalità di questo lungo viaggio sono riportate da Erodo, il quale credeva che Aristea fosse stato posseduto da Apollo e che lo avrebbe seguito sotto forma di corvo fino alle estreme regioni settentrionali. Così scrive nelle sue “Storie” (IV, 13):
«Aristea di Proconneso, figlio di Castrobio, componendo un poema epico, disse di essere arrivato, invasato da Febo, presso gli Issedoni e che al di là degli Issedoni abitano gli Arimaspi, uomini monocoli, e al di là di questi i grifi custodi dell’oro, e oltre a questi gli Iperborei, che si estendono fino ad un mare.
Tutti costoro, eccetto gli Iperborei, a cominciare dagli Arimaspi aggrediscono di continuo i loro vicini; e così dagli Arimaspi furono scacciati dal loro paese gli Issedoni, dagli Issedoni gli Sciti; e i Cimmeri, che abitano sul mare australe, premuti dagli Sciti, abbandonarono il paese».
Si dice che Aristea avesse il dono dell’ubiquità, cioè la capacità di trovarsi in più luoghi contemporaneamente. Forse, questo suo potere è associato ad un’altra sua straordinaria caratteristica: Aristea era un viaggiatore del tempo.
È sempre Erodoto a raccontare un fatto davvero curioso (Storie, IV, 13-16). Un giorno, Aristea entrò in un negozio di Proconneso e lì, improvvisamente, cadde a terra morto. Subito, il negoziante uscì dal negozio diffondendo la notizia della sua morte.
Tuttavia, un uomo di Cizico, contraddisse la notizia affermando di aver incontrato e parlato con Aristea qualche istante prima. Nessuno credette alla versione fornita dall’uomo.
Quando i familiari di Aristea si mobilitarono per recuperare il corpo nel negozio e organizzare il funerale, con somma meraviglia scoprirono che il corpo del defunto era scomparso. Nessuno era in grado di affermare se Aristea fosse ancora vivo o morto.
Colpo di scena, Aristea ricompare su Proconneso sette anni più tardi, scrivendo il poema nel quale sono descritti i suoi viaggi verso le regioni del nord. Ma non finisce qui! Dopo aver scritto la sua opera, Aristea scompare una seconda volta, per poi ricomparire ben 240 anni dopo!
Il secondo ritorno avvenne nel Metoponto, nei pressi di Taranto. Aristea ordinò la fabbricazione di una statua raffigurante se stesso e la costruzione di un nuovo altare dedicato al dio Apollo, con il quale era stato in viaggio sotto le sembianze di un corvo sacro.
Una storia incredibile! Può un uomo mortale viaggiare attraverso il tempo, comparendo secoli dopo la morte della sua famiglia? È una storia simile al paradosso dei gemelli di Albert Einstein! Aristea ha viaggiato con Apollo a velocità prossime a quelle della luce, rallentando il suo tempo? [Ora qualcuno penserà: «Ma dai!»].
In realtà, Aristea non è l’unico crononauta dei tempi antichi. Proteo, divinità del mare figlio di Poseidone, oltre ad avere la capacità di trasformare se stesso in qualsiasi forma, possedeva il dono di prevedere il futuro. Il suo nome allude al “primo nato”.
Nell’Odissea si racconta che Proteo era solito uscire dal mare verso mezzogiorno per sdraiarsi a riposare all’ombra delle rocce, circondato dal gregge di foche di Poseidone che accudiva.
Chi desiderava sapere dal dio il proprio destino, ricorrendo alle sue facoltà di veggente sincero e veritiero, doveva accostarglisi a quell’ora e coglierlo nel sonno, utilizzando anche la forza bruta per trattenerlo, poiché egli era in grado di trasformarsi per tentare di sfuggire al compito talvolta ingrato di prevedere.
Qual è, dunque, il significato di questi antichi miti? Secondo i ricercatori “ortodossi”, si tratta di semplici racconti immaginifici, il cui significato simbolico non è sempre così chiaro.
Tuttavia, non manca chi crede che questi racconti, arricchiti da elementi leggendari, facciano riferimento a nuclei storici realmente accaduti, tanto impressionanti da spingere i nostri antenati a raccoglierli e a tramandarli in forma scritta ai posteri.
Se così fosse, si tratta di uomini in possesso di tecnologie antiche provenienti dai discendenti di una qualche perduta civiltà avanzata di cui non abbiamo ancora prove certe?
Se invece di tratta solo di racconti immaginari, resta il fatto interessante che i nostri antenati abbiano avuto la capacità di partorire storie su uomini capaci di sfidare le barriere del tempo, indice di una concezione molto sofisticata della quarta dimensione!


martedì 25 novembre 2014

La Piramide di Choulula: La struttura più grande mai costruita dall'uomo.


Si trova a Cholula, vicino a Puebla, in Messico. Con i suoi 4,5 milioni di metri cubi, è la più grande piramide mai costruita sul nostro pianeta.




La Grande Piramide di Cholula, nota in lingua Nahuatl comeTlachihualtepetl (montagna fatta dall’uomo), è un enorme complesso situato a Cholula, Puebla, Messico.
Con i suoi 4,5 milioni di metri cubi, è considerata la più grande struttura mai costruita dall’uomo. Misura 500 metri per lato ed è alta 64 metri. La base della piramide è quattro volte più grande della Grande Piramide di Giza.
Tradizionalmente è considerata come un tempio dedicato al dio Quetzalcoatl, il serpente piumato.
La piramide oggi appare come una collinetta naturale ricoperta d’erba, suddivisa in quattro gradoni. Originariamente aveva, come molte piramidi dell’area messicana, 365 gradini, a simboleggiare i giorni dell’anno.
In realtà, la piramide è il risultato di sei momenti costruttivi sovrapposti, di cui uno solo è stato nuovamente portato alla luce. Oggi, sulla sua sommità, dove una volta si trovava il tempio, si trova una chiesa cattolica dedicata a Nuestra Señora de los Remedios, Nostra Signora dei Rimedi, che risale al 1594.





Non si sa esattamente quando sia iniziata la costruzione della piramide, ma gli archeologi ipotizzano che sia stata eseguita tra il 300 a.C. e l’inizio dell’era cristiana. Si stima che per il completamento del complesso ci siano voluti dai 500 ai 1000 anni.
Secondo il mito, l’avvio della costruzione della piramide fu merito di un gigante di nome Xelhua, dopo essersi messo in salvo da una grande alluvione avvenuta nella vicina Valle di Anáhuac.
La piramide è costituita da sei strutture sovrapposte, una per ogni gruppo etnico che ha dominato la regione. La pratica costruttiva delle culture mesoamericane prevedeva il rimodellamento di vecchi edifici, ristrutturazioni che miravano alla conservazione e all’espansione delle strutture originali.
Delle sei strutture, solo tre sono state studiate in modo approfondito. La piramide stessa è solo una piccola parte di una grande zona archeologica di Cholula, che si stima sia ampia almeno 154 ettari.
Nonostante l’evidente importanza di questo sito precolombiano, la piramide è relativamente sconosciuta e non debitamente studiata, soprattutto in confronto ad altri siti più blasonati come Teotihuacan, Chichen Itza e Monte Albán.
Le poche pubblicazioni in merito sono rapporti tecnici con poche sintesi sui dati raccolti. Per questo motivo, la Piramide di Cholula non ha giocato un ruolo significativo nella comprensione della storia precolombiana dell’America Centrale.



venerdì 21 novembre 2014

Ii gigante di Atacama: Un altro geoglifo che sfida la nostra comprensione del passato.


I geoglifi più conosciuti al mondo sono senza dubbio le Linee di Nazca, in Perù. Eppure, nel deserto di Atacama in Cile, c'è un altro gruppo di geoglifi altrettanto notevole e impressionante. Tra di essi, l'enigmatico Gigante di Atacama.




Il Deserto di Atacama è situato nel Cile settentrionale, nella regione di Antofagasta e la parte settentrionale della regione di Atacama. È un paesaggio aspro e brullo, noto come il deserto più arido del mondo.
Qui si trova un notevole gruppo di geoglifi al quale i ricercatori cercano di dare risposta da anni.
Anche se i geoglifi di Atacama sono meno noti di quelli del pianoro di Nazca, essi sono molto più numerosi, più vari nello stile e coprono un’area molto più grande. Si tratta di una collezione di oltre 5 mila figure geometriche, zoomorfe e antropomorfe.
Secondo le ipotesi più accreditate, i geoglifi di Atacama sono stati tracciati tra il 600 e il 1500 d.C., ma altri pensano che possano essere più antichi. È sempre problematica la datazione dei geoglifi, dato che non è possibile eseguire datazioni al radiocarbonio.
Comunemente, si ritiene che la produzione dei geoglifi di Atacama sia da attribuire a diverse culture che si sono succedute nella regione, tra cui quella Tiahuanaco e quella Inca.


I geoglifi sono stati tracciati utilizzando tre tecniche differenti: estrattiva, additiva e mista. La tecnica estrattiva prevede la rimozione dello strato superiore del terreno, in modo da creare l’immagine desiderata. Questa è la tecnica più comune riscontrata.
La tecnica additiva, invece, comporta la raccolta di materiale, quali pietre o ghiaia, che poi viene accumulato sulla superficie del terreno per formare il contorno della figura desiderata. Infine, la tecnica mista prevede l’impiego di entrambe le tecniche. Fortunatamente, i geoglifi sono sopravvissuti al passare del tempo e all’esposizione agli agenti atmosferici.
Si tratta di una figura antropomorfa situata su una collina conosciuta come la “Cerro Unitas”. Misura 119 metri di altezza ed è il più grande geoglifo conosciuto in tutto il mondo.
È caratterizzato da una grande testa quadrata e da lunghe gambe altamente stilizzate. Da ogni lato della testa del gigante è possibile notare l’uscita di quattro linee, simile a raggi luminosi.
Ad oggi, non esiste nessuna spiegazione o teoria che sveli il mistero delle strane caratteristiche di questo enorme geoglifo. Secondo l’interpretazione di alcuni ricercatori, potrebbe essere una sorta di calendario astronomico che misurava il movimento della Luna.
Un altra ipotesi propone che sia l’icona di una divinità sconosciuta venerata dalla popolazione locale. Altre teorie suggeriscono che possa trattarsi della marcatura di un percorso sacri di iniziazione, l’indicazione di un antico linguaggio o la celebrazione di un paleocontatto alieno.
Accanto al gigante è possibile osservare immagini di lama, lucertole, gatti, uccelli e pesci. In altri casi, si notano sconcertanti figure geometriche che non fanno altro che infittire l’enigma sull’interpretazione e il motivo di una tale sconcertante collezione di figure.


lunedì 10 novembre 2014

La "Nazca del Kazakistan": Scoperti più di 50 geoglifi in Asia Centrale, compresa una svastica.


Più di 50 geoglifi di varie forme e dimensioni, tra cui una svastica enorme, sono stati scoperti in tutto il Kazakistan settentrionale, in Asia centrale. La presenza di tutte queste strutture, per lo più tumuli di terra, creano un paesaggio artistico molto simile a quello visto sull'altipiano di Nazca, in Perù.




Gli archeologi le hanno subito etichettate come le “Linee di Nazca del Kazakistan”.
Si tratta di più di 50 geoglifi formati con tumuli di terra e legname, individuati nel Kazakistan settentrionale, in piena Asia centrale.
Le strutture sono realizzate in un’ampia varietà di forme geometriche, tra cui croci, quadrati, anelli e persino una svastica, un antico simbolo che è stato usato dai nostri antenati per almeno 12 mila anni.
Secondo il resoconto di Live Science, i geoglifi, molto difficili da vedere da terra, sono stati individuati grazie all’ausilio di Google Earth. Da quel momento, un team di archeologi della Kostanay University in Kazakhstan e dell’Università di Vilnius in Lituania, ha cominciato a studiare le strutture gigantesche sorvolando la zona e utilizzando un geo-radar per penetrare il terreno.
I risultati hanno rivelato la presenza di una grande varietà di forme, ampie dai 90 ai 400 metri di diametro, prevalentemente tumuli di terra. Uno di essi – la svastica – ha visto anche l’utilizzo di legno.
I ricercatori non sono ancora in grado di datare le strutture, ma le loro caratteristiche potrebbero farle risalire ad oltre 2 mila anni fa. “Ad oggi possiamo dire solo una cosa: i geoglifi sono stati realizzati da popolazioni molto antiche. Chi fossero e per quale scopo, resta un mistero”, ammettono Irina Shevnina e Andrew Logvin dell’Università di Kostanay.
La svastica è un antico simbolo trovato in tutta Europa e in Asia. ‘Svastica’ è una parola sanscrita che significa “è”, “benessere”, “buona esistenza”. È conosciuta anche in altre culture con nomi diversi, come “Wan” in Cina, “Manji” in Giappone, “Fylfot” in Inghilterra e “Tetraskelion” in Grecia.
Nel 1979, P. R. Sarkar, uno studioso di sanscrito, scrisse che il significato più profondo del simbolo è “vittoria permanente”, e che può avere un valore positivo o negativo a seconda di come viene disegnato. Nell’induismo, infatti, la svastica destrorsa è simbolo del Dio Vishnu e del Sole, mentre la svastica sinistrorsa e simbolo della malvagia dea Kali e della magia oscura.
Il doppio significato dei simboli è comune a molte tradizioni antiche, come per esempio il simbolo del pentagramma (la stella a cinque punte): il suo valore è negativo quando la punta è rivolta verso il basso, mentre è positivo quando rivolta verso l’alto.
Non è la prima volta che viene ritrovato il simbolo della svastica in un geoglifo. Alcuni di essi sono stati scoperti in Giordania e in New Mexico.
Nonostante esistano una grande quantità di studi sul fenomeno dei geoglifi, lo scopo profondo di queste incredibili creazioni scoperte in tutto il mondo continua a rimanere nascosto, alimentando una pletora di congetture.
Alcuni scienziati ritengono che essi abbiano un legame celeste con alcune costellazioni visibili nel cielo notturno. Altri pensano che le linee siano una sorta di sentiero iniziatico sacro. Altri ancora pensano che le linee abbiano a che fare con l’acqua, una sorta di invocazione per ottenere il prezioso elemento. Dunque, la questione è ancora aperta.

Pitture di 40 mila anni fa costringono a rivedere la storia dell'umanità.


Dodici disegni di mani umane e due di grandi animali, scoperti in una grotta calcarea sull'isola indonesiana di Sulawesi nel 1950, sono stati sottoposti a datazione uranio-torio, rivelando un'età di almeno 40 mila anni. La scoperta indica che l'arte indonesiana è antica quanto quella delle grotte europee dell'Era Glaciale, mettendo in discussione molte teorie finora acquisite.






La nuova datazione eseguita su alcuni disegni rupestri trovati nella grotta di Sulawesi nel 1950 dimostra che 40 mila anni fa i nostri antenati praticavano l’arte in tutto il mondo.
Dunque, le pitture rupestri non sono state una prerogativa degli uomini europei vissuti durante l’ultima era glaciale.
“Questo ci permette di allontanarci dall’idea che l’Europa sia stata speciale”, spiega a Nature News l’archeologo Maxime Aubert della Griffith University. “Si è pensato che gli europei fossero più consapevoli di se stessi e dell’ambiente circostante. Ora possiamo dire che non è vero: la capacità artistica potrebbe essere sorta indipendentemente, oppure l’uomo moderno sapeva già creare arte quando migrò dall’Africa”.
Gli archeologi hanno calcolato che una dozzina di segni di mani umane realizzate con gelso rosso e due disegni dettagliati di un animale descritto come un “maiale-cervo”, hanno un’età compresa tra i 35 mila e i 40 mila anni fa.
Questo significa che l’arte rupestre indonesiana è contemporanea a quella rappresentata dai disegni ritrovati nelle grotte di Spagna e di Francia. Anzi, una delle impronte indonesiane è ora considerata la più antica rappresentazione rupestre nota alla scienza.
“Tutto ciò non era previsto”, continua Aubert. “Guardando i dipinti, ci si rende conto che i dettagli sono davvero ben fatti. Poi, se si considera il contesto e la datazione, i disegni sembrano davvero incredibili”.


Il paleoantropologo John Shea della Stony Brook University di New York, non coinvolto nello studio, ha dichiarato che questa scoperta importante cambia ciò che la scienza pensava sui primi esseri umani e l’arte rupestre.
Prima di questo studio, i ricercatori avevano una visione “eurocentrica” di come, dove e quando l’uomo ha iniziato a creare forme artistiche. Conoscere quando è cominciata l’arte è molto importante, perché “è un aspetto che ci definisce come specie”, spiega Aubert.
La collezione nella grotta indonesiana di Sulawesi si compone di più di 100 disegni, conosciuti dai ricercatori fin dal 1950. In una spedizione del 2011, si sono notati alcuni strani affioramenti sui disegni.
Si trattava di depositi minerali accumulatisi nel corso del tempo e che hanno permesso l’utilizzo di una nuova tecnologia di decadimento dell’uranio, in modo da scoprire la vera datazione delle opere. Così, i ricercatori hanno scoperto che i minerali hanno cominciato a depositarsi sui dipinti almeno 40 mila anni fa.

giovedì 9 ottobre 2014

Gobekli Tepe è il più antico laboratorio di scultura del mondo.


Sono passati vent'anni da quando sono iniziati gli scavi archeologici di Göbekli Tepe. I risultati raggiunti rivelano che il sito è la più antica bottega di scultura del mondo. Ci si aspetterebbe di trovare sculture primitive, invece si vedono creazioni artistiche esteticamente molto avanzate.




Come ormai noto, Göbekli Tepe è un sito archeologico situato nella parte superiore di un costone di montagna nella regione sud-orientale dell’Anatolia, Turchia.
Qui si trova il tempio più antico mai scoperto (risalente almeno a 12 mila anni fa), così importante da essere considerato “il punto zero” della storia.
Da quando è stato scoperto – quasi due decenni fa – è stato oggetto di uno studio intenso da parte dei ricercatori dell’Istituto Archeologico Tedesco e del Ministero della cultura e del turismo della Turchia.
Secondo quanto riporta l’Hurriyet Daily News, i risultati più recenti di anni di scavi suggeriscono che Göbekli Tepe sia il più antico laboratorio scultoreo del pianeta, mostrando del l’uomo del neolitico era molto più raffinato di quanto si pensasse.
“Göbekli Tepe è la culla delle arti plastiche”, spiega Cihat Kürkçüoğlu, professore associato della vicina Harran University, dipartimento di Arti e Storia. “Si tratta di un tempio, ma allo stesso tempo è anche la più antica bottega di scultura del mondo. Ci si aspetta di trovare sculture primitive, invece si vedono creazioni artistiche esteticamente molto avanzate”.
Göbekli Tepe è composto da numerosi templi realizzati con pilastri dal peso compreso tra le 40 e le 60 tonnellate, assieme a numerose stele a forma di T con intricate raffigurazioni di tori, serpenti, volpi, leoni e altri animali scolpiti nella pietra.
“Questo ci ha molto sorpreso”, continua Kürkçüoğlu. “Alcune composizioni in Göbekli Tepe sono talmente buone da competere con il gusto grafico di oggi. Man mano che gli scavi archeologici andranno avanti, credo che troveremo prototipi più antichi”.
Infatti, nel corso degli scavi sono state già trovate alcune figurine di Venere risalenti a 20 mila anni da, simili a quelle trovate in Europa datate fino a 30 mila anni fa. È proprio l’età delle sculture monumentali a catturare maggiormente l’interesse dei ricercatori.
Kürkçüoğlu non ha dubbi sul fatto che i rilievi sulle stele a forma di T siano le più antiche sculture mai trovate sul nostro pianeta. Il ricercatori ha anche detto che presto gruppi di studenti universitari cominceranno a visitare il sito, così impareranno che la storia della scultura è cominciata a Göbekli Tepe: “proprio come l’alfabeto comincia con la A, la storia delle arti plastiche inizia a Göbekli Tepe”.


Göbekli Tepe, secondo la storiografia ufficiale, non dovrebbe esistere. I risultati dei test sostengono l’ipotesi che Gobleki Tepe risalga a 11 mila anni fa, ossia quasi 6 mila anni prima della comparsa delle prime civiltà nella mezza luna fertile in Mesopotamia (a lungo considerata la culla della civiltà) e ben 8,5 mila anni prima della costruzione della Grande Piramide di Cheope, diventando così il più antico esempio noto di architettura monumentale.
Göbekli Tepe, e altri siti mediorientali, stanno cambiando le nostre idee su una svolta fondamentale nella storia umana: la rivoluzione neolitica, quando i cacciatori-raccoglitori nomadi si trasformarono in agricoltori stanziali.
Gli archeologi continuano a scavare e a discutere sul suo significato: come è stato realizzato? Qual è la sua storia? Chi l’ha costruito e perché? Per certi aspetti, la struttura sembra venire fuori dalle tenebre dell’ultima era glaciale, entrando di colpo sulla scena storica.