lunedì 8 settembre 2014

Scoperte ad Orvieto alcune piramidi di origine Etrusca.


Anche gli etruschi costruivano piramidi? Strutture piramidali scavate nel tufo sono state scoperte in una cantina di Orvieto da un team di archeologi americani e italiani. Potrebbe trattarsi di strutture religiose o di una tomba.



David George di Saint Anselm, un college del New Hampshire, e Claudio Bizzarri del Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano hanno identificato nella cantina una serie di scale antiche scavate nella parete «certamente di costruzione etrusca», ha detto l’americano a Discovery News.
Le pareti della cantina erano a forma piramidale e sotto il locale una serie di gallerie, anche queste di epoca etrusca, hanno lasciato pensare a strutture sottostanti ancora inesplorate.
Lo scavo è sceso finora a circa tre metri di profondità restituendo materiali datati al quinto secolo avanti Cristo. A questo livello è stato rinvenuto un altro tunnel che collegava un’altra struttura piramidale.
Secondo Bizzarri sotto la città di Orvieto si troverebbero almeno cinque piramidi, tre delle quali tuttora inesplorate. «Certamente non sono cisterne o cave. Mai visto nulla del genere in Italia», ha detto Bizzarri. Larissa Bonfante, etruscologa della New York University, ha confermato a Discovery news: «Sono forme non riscontrate mai nell’Etruria antica».

domenica 7 settembre 2014

Un nuovo misterioso cratere negli Stati Uniti e un gigantesco Sinkhole in Inghilterra.


Dopo quello comparso in Siberia poche settimane fa, un nuovo misterioso cratere è comparso improvvisamente nel sud dello stato dello Utah, Stati Uniti. Numerose le teorie proposte, dall'eruzione vulcanica fino all'intervento alieno, ma i geologi pensano che potrebbe esserci una teorie più semplice. In Inghilterra, invece, compare un gigantesco sinkhole apparentemente senza fondo. Cosa sta succedendo?






Negli ultimi tempi, strani fori continuano a comparire sulla superficie del pianeta Terra.
I medie americani riportano la comparsa di un misterioso cratere comparso improvvisamente in uno specchio d’acqua nel sud dello stato dello Utah, lasciando sconcertati gli esperti.
Anche il Regno Unito è alle prese con uno strano fenomeno geologico: un imponente sinkhole è comparso nei pressi di Durham, una contea nel Nord Est dell’Inghilterra.
Solo poche settimane fa, un inspiegabile cratere è comparso in Siberia, mettendo gli esperti di fronte ad un evento geologico sconosciuto. La domanda è: questi fenomeni sono in qualche modo legati fra loro? È in corso qualche fenomeno geologico planetario non ancora compreso?

Il misterioso cratere acquatico dello Utah




Lo strano cratere comparso a Circleville, una cittadina nel Sud Est dello Utah, è stato scoperto il mese scorso da Gary Dalton, un agricoltore locale.
Dopo aver drenato buona parte dell’acqua per irrigare i suoi terreni, Dalton si è accorto della presenza di un misterioso foro circolare sul fondo del lago.
Appena sotto la superficie, l’agricoltore ha notato due cerchi concentrici dal diametro approssimativo di 25 metri. L’anello esterno si presenta come una depressione circolare piena di alghe, mentre il cerchio interno sembra essersi formato a seguito di una qualche esplosione sotterranea.
A seguito della scoperta, Dalton ha interpellato un gruppo di esperti. Nessuno dei geologi è però riuscito a dare una spiegazione sulla natura dei cerchi concentrici. Non si tratterebbe, infatti, né di una sorgente naturale, né di emissioni gassose dal terreno sottostante, né di un cratere “da impatto”.
Gli esperti del Geological Survey sono intervenuti sul posto, rimanendo inizialmente alquanto sconcertati. “Beh, sì, abbiamo diverse teorie”, dice il geologo veterano Bill Lund secondo quanto riportato dal Daily Mail. “Tuttavia, la maggior parte di esse sono andate in fumo”.
Alcuni avevano ipotizzato che la formazione si fosse stata causata da una sorgente naturale, spingendo materiale verso l’alto dopo essere stata sovralimentata dalle recenti piogge. Ma il dottor Lund ha spiegato che la teoria è stata rapidamente smentita dalle foto aeree del lago scattate precedentemente.
Un altra teoria propone che il foro si sia creato a seguito del danneggiamento di una conduttura durante lo scavo del laghetto. Ma gli esperti hanno appurato che non ci sono condutture lì sotto. Lund esclude anche che possa trattarsi di un’eruzione di gas metano prodotto dalla decomposizione di materiale organico sotto il bacino, così come la liquefazione del terreno prodotto da un terremoto o l’impatto con un meteorite.
Durante la visita dei geologi, il signor Dalton ha messo a disposizione una gru con piattaforma in modo da poter ottenere uno sguardo ravvicinato del cratere.
Dalle osservazioni, gli esperti hanno elaborato una teoria secondo la quale potrebbe trattarsi di un cedimento della terra del lago che avrebbe incamerato aria prima di essere riempito nuovamente dall’acqua.
Questa, al momento, sembra la spiegazione più probabile, anche se il dottor Lund ha ammesso di non aver mai visto un fenomeno del genere. “Voglio dire, ci sono ancora alcune domande senza risposta. Questo è sicuro”, conclude il geologo.

Il Sinkhole in Inghilterra.




Una voragine larga 30 metri si è aperta nella contea di Durham, nel Nord Est dell’Inghilterra, così profondo da non riuscire a vedervi il fondo.
A scoprirla è stato Sam Hillyard, un accademico dell’Università di Durham, mentre era impegnato in battuta di caccia al coniglio. “Sam è tornato e sembrava scioccato”, racconta al Guardian John Hensby, allevatore settantunenne amico di Hillyard. “Mi ha detto che c’era un buco enorme a cui dovevo dare un’occhiata”.
“Quando l’abbiamo vista – giovedì sera della settimana scorsa – era ampia circa cinque metri”, racconta Hensby. “Ma quando siamo tornati venerdì mattina era diventata circa quattro volte più grande. Ora è larga più di 30 metri e non è possibile vederne il fondo”.
Per precauzione, i due hanno informato il Durham County Council e la polizia di Durham. Gli esperti ipotizzano che possa trattarsi del cedimento di una vecchia miniera, ma ulteriori indagini sono in corso. La prima cosa che gli esperti vogliono capire è quanto sia profonda la voragine, apparentemente senza fondo.

Natura: Il volo superfluido degli storni.


In uno stormo di uccelli in volo, la decisione di cambiare direzione viene presa da un piccolo gruppo di uccelli, e nel giro di mezzo secondo l'informazione si propaga a tutti gli altri secondo leggi matematiche che descrivono fenomeni della materia condensata, come le transizioni di fase che portano alla superfluidità. Lo ha scoperto uno studio di ricercatori italiani analizzando le riprese video in tre dimensioni di circa 400 storni.





Il volo di uno stormo di storni, e in particolare la trasmissione delle informazioni tra i membro del gruppo che ne consentono i cambiamenti di direzione, ha molte somiglianze con il comportamento quantistico degli atomi che si osserva nella materia condensata in fenomeni critici, come per esempio il cambiamento di stato che permette la transizione dell'elio liquido allo stato di superfluido, in cui l'elio scorre praticamente senza attrito. È il risultato di uno studio pubblicato su “Nature Physics” a firma di Alessandro Attanasi e colleghi della Sapienza Università di Roma e dell'Istituto dei sistemi complessi del CNR di Roma.

In natura, molti animali vivono in socirtà o in gruppi, e le decisioni su quali comportamenti collettivi debbano essere seguiti nelle varie situazioni è estremamente rilevante. Per esempio, nel caso in cui un gruppo sia minacciato da un predatore, è importante che durante la fuga venga mantenuta la coesione del gruppo. Questo significa che deve esserci un meccanismo efficace e affidabile non solo per decidere in che direzione fuggire, ma anche per fare in modo che l'informazione sui cambiamenti di direzione si propaghi molto rapidamente a tutti i membri del gruppo.





Finora le ricerche non hanno chiarito in che modo gruppi di animali possano raggiungere un alto grado di affidabilità. Uno dei modelli studiati per chiarire questo aspetto è lo stormo di uccelli, in particolare di storni (Sturnus vulgaris). 

In quest'ultimo studio, Attanasi e colleghi hanno filmato, usando tre diverse videocamere, il volo di uno stormo composto da circa 400 storni. Dall'analisi delle riprese, i ricercatori hanno poi ricavato le traiettorie in tre dimensioni dei singoli uccelli in funzione del tempo.

Innanzitutto, Attanasi e colleghi hanno scoperto che un ristretto numero di uccelli, tra loro vicini durante il volo in formazione, cambiano direzione per primi. L'informazione sulla direzione successivamente raggiunge tutti gli altri membri nell'arco di circa mezzo secondo. La distanza percorsa dall'informazione aumenta linearmente nel tempo: questo significa che la velocità dell'informazione attraverso lo stormo è pressoché costante e raggiunge il valore di 20-40 metri al secondo. Inoltre, la velocità di propagazione può variare in misura significativa tra uno stormo e un altro.

Da un punto di vista teorico, lo stormo ha di solito dimensioni rilevanti e l'informazione deve attraversare un certo numero di passaggi intermedi. In queste condizioni, ci si aspetterebbe un certo grado di attenuazione, con una conseguente dispersione degli uccelli in posizione più periferica e una perdita di coesione dello stormo. Tutto questo però non si verifica: l'analisi delle riprese video ha mostrato che la propagazione dell'informazione avviene con una dissipazione trascurabile.






La mancanza di dissipazione è la chiave per arrivare a una formalizzazione matematica del modo in cui avviene il trasporto dell'informazione nello stormo. In primo luogo, questa mancanza di dispersione consente di escludere che si tratti di un un trasporto di tipo diffusivo, paragonabile cioè alla dispersione di una goccia d'inchiostro un bicchiere d'acqua. Inoltre, permette anche di escludere che l'informazione si propaghi come un suono, per effetto di fluttuazioni della densità dello stormo che, come si è verificato, non hanno influenza sulla propagazione.

Piuttosto, le fluttuazioni che si propagano durante un cambiamento di direzione riguardano l'orientamento nello spazio che ciascun membro del gruppo deve mantenere durante il volo, regolandosi rispetto agli uccelli vicini. Sviluppando questi dati con l'aiuto di considerazioni fisico-matematiche generali, Attanasi e colleghi hanno definito una serie di equazioni che descrivono egregiamente il comportamento degli storni. 

Si tratta di equazioni matematiche simili a quelle usate per descrivere le transizioni di fase, per esempio il passaggio dell'acqua liquida allo stato solido, o altri fenomeni critici squisitamente di natura quantistica, come quelli che interessano l'elio superfluido, che dipendono dalle interazioni tra l'orientazione degli spin degli atomi che costituiscono il materiale e che permettono all'elio in questo stato di avere di fatto viscosità nulla e quindi scorrere senza attrito.

Al di là dei tecnicismi matematici, i risultati gettano una luce sull'evoluzione di un comportamento collettivo adattativo di estrema importanza per la sopravvivenza di degli uccelli.






Miti e leggende della Torre del Diavolo.


È una montagna improbabile, che torreggia per un chilometro e mezzo come un gigante in piedi nella valle. I nativi americani, da tempi remotissimi, la considerano un luogo sacro. Stephen Spielberg l'ha usata come sfondo per il film campione di incassi “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Ogni anni, migliaia di turisti vengono ad ammirare la sua forma insolita. Il nome di questa strana formazione geologica è Torre del Diavolo.






Nell’angolo nordorientale del Wyoming, Stati Uniti, c’è una montagna impressionante di rocce ignee che sembra un gigantesco tronco d’albero pietrificato.
Si tratta della Torre del Diavolo, un’insolita formazione geologica che si innalza per 1588 metri sul livello del mare.
Ciò che rende la Torre del Diavolo così insolita è la sua superficie praticamente piatta e i singolari solchi verticali al suo fianco, così regolari che i nativi ci vedevano i graffi provocati dalle zampe di un orso.
Il suo aspetto inconsueto ha dato vita a numerose leggende e nel 1977 è stata utilizzata come location per la scena finale del film Incontri ravvicinati del terzo tipo di Steven Spielberg.
Una leggenda lakota racconta che mentre sette bambine giocavano vicino al loro villaggio, alcuni orsi si avvicinarono per divorarle. Le ragazze saltarono su una roccia bassa e gridarono ad essa: “Roccia, abbi pietà di noi, salvaci!”.
Il Grande Spirito le udì e fece innalzare la roccia verso il cielo. Gli orsi le inseguirono cercando di arrampicarsi sulla roccia, lasciando con gli artigli le lunghe incisioni visibili ancora oggi. Tuttavia, gli animali non riuscirono a raggiungerle. La roccia divenne così alta che le ragazze divennero stelle, formando la costellazione che oggi chiamiamo delle Pleiadi (Le sette sorelle).
Certamente, è una leggenda suggestiva. Ma cosa dice la scienza circa la creazione di questa strana formazione geologica?

Teorie sulla formazione della Torre del Diavolo

La Torre del diavolo è stata studiata fin dal tardo 19° secolo. I geologi dell’epoca ritennero che il monte si fosse formato da un’intrusione di materiale igneo. I geologi moderni, sostanzialmente concordano con questa teoria, ma non esattamente sul processo che ha avuto luogo.
Molti credono che la roccia fusa che compone la Torre non sarebbe emersa dal terreno; altri ritengono che la Torre è tutto ciò che rimane di quello che una volta era un grande vulcano esplosivo.
Nel 1907, gli scienziati Darton e O’Harra proposero che la Torre del Diavolo doveva essere un residuo eroso di un laccolite. Il laccolite è una massa rocciosa formata dall’intrusione di magma fra due strati di rocce sedimentarie.
La pressione è tale da sollevare lo strato di roccia superiore mentre lo strato inferiore rimane pressoché orizzontale, dando luogo così alla tipica forma a cappella di fungo. Nel caso della Torre, si pensa che le colonne basaltiche sui lati del monte si siano formati a seguito del lentissimo raffreddamento della roccia fusa.
Altre teorie hanno suggerito che si tratti di una spina vulcanica, ovvero di una protrusione solida costituita da lave solide o semisolide estruse in un camino vulcanico. Quando si formano, durante un’eruzione vulcanica, possono ostacolare completamente la fuoriuscita dei gas e dar luogo ad eruzioni esplosive.

Cosa c’è sotto la Torre?

Esiste una leggenda, però, che non riguarda la creazione della roccia, ma ciò che c’è al di sotto di essa.
Anni fa, un residente di quella parte nordorientale del Wyoming, era in visita a Yankton, South Dakota. Mentre era lì, mostrava la foto della Torre del Diavolo agli anziani indiani Sioux che incontrava. Uno di loro sembrava particolarmente interessato alla foto chiedendo: “È stato trovato il passaggio alla base della torre”?
Quando il residente rispose di no, l’uomo sioux sembrava deluso. Incuriosito dalla domanda, il residente riusci a farsi raccontare dall’anziano indiano la leggenda della Torre che pochi bianchi conoscono.
Molti anni prima, tre guerrieri erano impegnati in una battuta di caccia vicino alla torre. Mentre esploravano le rocce alla base della montagna, scoprirono un passaggio al di sotto di essa. Costruirono torce con rami di pino e cominciarono ad esplorare il tunnel.
Il pavimento del tunnel era cosparso di ossa, forse umane. Il tunnel terminava dando su un’ampia cavità con un lago sotterraneo, al cui interno erano depositate grandi quantità d’oro. Impreparati a trasportare tale tesoro, i guerrieri lasciarono il tunnel e nascosero l’ingresso in modo che nessuno altro potesse trovarlo.
Promisero a loro stessi si tornare a prendere l’oro, ma non l’hanno mai fatto. Uno dei guerrieri, sul letto di morte, raccontò la storia ad altri membri della sua tribù, così che la storia venne tramandata per diverse generazioni prima di giungere al vecchio indiano.
Dunque, c’è dell’oro sotto la Torre del Diavolo? Se c’è, nessuno lo ha mai trovato. Inoltre, la geologia della montagna, un’intrusione ignea, non sembra permettere l’esistenza di grotte sotto la montagna. Il racconto somiglia molto a quelli sulle miniere perdute che si tramandavano nel vecchio West.
Tuttavia, è anche vero che nella zona di Black Hills, in cui si trova la Torre del Diavolo, ci sono alcune delle grotte più grandi del mondo, tra cui la Wind Cave e la Jewel Cave. Inoltre, Black Hills è nota per l’estrazione dell’oro, ispirando la grande corsa all’oro nel 1880.
Quindi, come per molte altre leggende, è possibile che sia qualcosa di vero nella storia della Torre del Diavolo. Forse la caverna perduta non è sotto la torre, ma nelle vicinanze, in attesa di essere trovata da qualcuno.



Una data certa per la scomparsa dei Neanderthal.


Le ultime tracce dei neanderthaliani risalgono a un periodo compreso tra 42.000 e 39.000 anni fa: lo ha stabilito un nuovo studio grazie a una sofisticata tecnica di datazione dei reperti. Il risultato definisce una data certa per la scomparsa dei nostri antichi cugini dal continente europeo e implica che vi fu un lungo periodo di coabitazione, durato alcune migliaia di anni, con Homo sapiens. 





Quarantamila anni: è l'arco di tempo che ci separa dalla scomparsa dell'uomo di Neanderthal dall’Europa. È questa la conclusione di unnuovo studio apparso sulla rivista “Nature” a firma di Tom Higham, dell’Università di Oxford, nel Regno Unito, e colleghi di un’ampia collaborazione internazionale.

Il risultato è stato ottenuto grazie a una datazione estremamente precisa di reperti archeologici provenienti da più di 40 siti sparsi per il continente, dalla Spagna alla Russia. Trova così conferma l'ipotesi che i nenaderthaliani non si siano estinti rapidamente, ma siano coesistiti conHomo sapiens per alcune migliaia di anni: l’Europa dell’epoca doveva perciò apparire come un complesso mosaico biologico e culturale.


La determinazione delle relazioni spaziali e temporali tra Nearderthaliani e umani moderni è cruciale per capire la scomparsa dei nostri antichi cugini. Finora tuttavia le ricerche hanno trovato un ostacolo difficilmente superabile nella scarsa accuratezza della convenzionale tecnica di datazione con carbonio radioattivo quando è applicata a reperti risalenti a più di 50.000 anni fa. In quei campioni infatti la percentuale di C-14, l’isotopo radioattivo, è troppo bassa per arrivare a una misurazione precisa.

Gli autori hanno aggirato il problema applicando la tecnica della spettrometria di massa con acceleratore, in grado di determinare l’abbondanza di isotopi molto rari, a campioni di ossa e altri reperti dell'industria mousteriana e della successiva industria castelperroniana.

La prima, che prende il nome dalla grotta di Le Moustier, in Francia, e si estende tra 300.000 e 30.000 anni fa, si riferisce alla produzione di utensili in pietra, realizzati scheggiando la selce, da parte dell'uomo di Neanderthal. La seconda, collegata al sito di Châtelperron, nella Franca occidentale, si riferisce invece a una fase di lavorazione più raffinata, con produzione anche di utensili di forma curvilinea usati probabilmente come coltelli, che viene considerata come testimonianza dall'ultima fase della presenza dei neanderthaliani in Europa. 

Il confronto con manufatti uluzziani (dal sito di Uluzzo, in Puglia), attribuiti esclusivamente a Homo sapiens, ha poi portato a concludere che la scomparsa dell'uomo di Neanderthal e la fine della cultura mousteriana sono databili, nei diversi siti diffusi dal Mar Nero alle coste dell'Oceano, tra 42.000 e 39.000 anni fa.

Queste conclusioni implicano una sovrapposizione tra neanderthaliani ed esseri umani moderni durata tra 2600 e 5400 anni, con possibili scambi culturali ed eventualmente anche genetici, tra le due specie di Homo.






sabato 6 settembre 2014

Natura: Due percorsi evolutivi per la stessa ragnatela.


Pur costruendo ragnatele dalla struttura molto simile, i ragni classificati nel gruppo delle Orbiculariae non condividono in realtà lo stesso lignaggio. La scoperta, che indica che la capacità di creare le ragnatele di quel tipo si è evoluta più volte in modo indipendente, è stata realizzata grazie all'analisi dell'intero genoma di diverse specie di quei ragni.  





Nella storia evolutiva dei ragni, la capacità di tessere la tela si è evoluta più volte, in maniera indipendente, anche nel caso di ragnatele che mostrano la stessa struttura a cerchi concentrici o a spirale, le cosiddette ragnatele orbicolari. La scoperta è di un gruppo di ricercatori del Museo di zoologia comparativa della Harvard University, che hanno analizzato il genoma di quattordici specie di ragni tessitori di ragnatele orbicolari. 
Benché siano uno dei gruppi di predatori terrestri di maggior successo, la storia evolutiva dei ragni non era stata finora oggetto di approfondite analisi e ancora oggi la sua ricostruzione si basa in buona parte su considerazioni di carattere morfologico. Fino a poco tempo fa i costi di sequenziamento del genoma – spiegano Rosa Fernández, Gustavo Hormiga e Gonzalo Giribet, che illustrano la loro ricerca su “Current Biology” - avevano infatti frenato il ricorso alle analisi genetiche, che si erano limitate a tracciare la storia di  una manciata appena di geni di questi animali.
Proprio sulla base del sequenziamento di quei pochi geni e delle variazioni molecolari riscontrate in essi si era ritenuto che tutte le ragnatele orbicolari fossero create da ragni che condividevano uno stesso lignaggio, ma il sequenziamento completo del genoma e dei circa 3000 geni di 14 specie di diverse famiglie di ragni produttori di queste ragnatele ha permesso di dimostrare che appartengono a due gruppi filogeneticamente ben distinti e che, quindi, la capacità di costruire quel tipo di ragnatele si è evoluta in modo indipendente. I due gruppi sono costituiti da ragni caratterizzati rispettivamente dalla presenza (ragni cribellati) e dall'assenza (ragni ecribellati) del cribellum, una minuscola struttura anatomica a pettine che permette di produrre un filo più sottile e adesivo. 

Di fatto anche se i due gruppi creano reti molto simili, osservano i ricercatori, la strategia adottata per sfruttarle e la composizione della loro seta sono molto diverse. Mentre un gruppo utsa la rete per catturare le prede in modo passivo, alcune specie dell'altro gruppo la usano come una rete da pesca, tenendone i fili fra le zampe per agitarla e facilitare la cattura degli insetti. 

Ora Fernández e colleghi intendono proseguire lo studio analizzando sistematicamente il genoma di altre 150 specie di ragni dalle tele orbicolari, prima di passare, in prospettiva, ad approfonidre la storia filogenetica complessiva di tutto l'ordine, che comprende circa cento famiglie e oltre quarantamila specie.






Due antiche città Maya scoperte nella giungla del Sud Est del Messico.


Una nuova sorprendente scoperta nella giungla del Messico. Gli archeologi hanno portato alla luce due antiche città maya, con templi piramidali, palazzi, una campo da gioco, altari altri monumenti in pietra. Una delle due città era già stata individuata decenni fa, ma tutti i precedenti tentativi di scavo sono falliti. L'altra città, invece, era completamente sconosciuta, gettando così nuova luce sull'antica civiltà Maya.






Nella foresta tropicale della penisola dello Yucatan, due grandi siti Maya sono stati scoperti da una spedizione archeologica guidata da Ivan Sprajc, del Centro di Ricerca dell’Accademia Slovena delle Scienze e delle Arti.
Anche se non molto lontani dalle moderne città di Xpujil e Zoh, nella parte sud-orientale dello stato messicano di Campeche, i due siti si trovano nella Riserva della Biosfera di Calakmul, una zona spopolata e difficilmente accessibile.
Come riporta l’articolo di Discovery News, uno dei due siti, denominato Lagunita, era stato individuato nel 1970 dell’archeologo americano Eric Von Euw, il quale documentò numerosi monumenti in pietra e una straordinaria entrata a forma di un mostro con le fauci spalancate. Tuttavia, i risultati della sua ricerca non furono mai pubblicati.
Nonostante i vari tentativi di scavo, Lagunita è rimasta nascosta fino a poche settimane fa, quando è tornata alla ribalta delle cronache archeologiche grazie all’interesse del dottor Sprajc. “Abbiamo individuato il sito con l’ausilio di fotografie aeree”, spiega Sprajc, “ma siamo riusciti ad identificarla con Lagunita solo dopo che abbiamo visto i monumenti e li abbiamo confrontati con i disegni di Von Euw”.
L’altro sito, invece, non era mai stato segnalato in precedenza. Gli archeologi l’hanno battezzato con il nome di Tamchén (che significa “pozzo profondo” in maya yacateco), alludendo alla presenza di più di 30 camere sotterranee a forma di bottiglia, in gran parte destinati alla raccolta dell’acqua piovana.
Lagunita e Tamchén sono situate nella parte meridionale di un vasto territorio archeologicamente inesplorato. Fatta eccezione per Chactùn, la grande città scoperta da Sprajc nel 2013, nessun altro sito è finora stato localizzato in questa zona, la quale si estende per quasi 3 mila km².
Oltre a un campo da pallone e un tempio piramidale alto quasi 20 metri, l’area centrale di Lagunita presenta una serie di imponenti edifici disposti intorno a quattro grandi piazze. La caratteristica più spettacolare è una porta riccamente decorata con le sembianze della bocca di un mostro con le fauci spalancate.


“A giudicare dai volumi architettonici e dalle iscrizioni, Lagunita deve essere stata la sede di un potente sistema politico, anche se la natura del suo rapporto con Chactùn, situata a circa 10 km, rimane poco chiara”, spiega Sprajc.
Imponente allo stesso modo è il sito di Tamchén, situato a circa 6 km a nord-est di Lagunita. Esso presenta diverse piazze circondate da edifici voluminosi, tra cui un tempio piramidale conservata piuttosto bene, una stele e un altare. Sebbene Tamchén sembra essere stata in gran parte contemporanea di Lagunita, alcune sue parti fanno pensare che l’insediamento originario risalga al periodo Tardo Preclassico (300 a.C. – 250 d.C.).
Sia Tamchén che Lagunita sembrano essere state abbandonate intorno all’anno 1000, condividendo la sorte di altre città Maya della pianura. Tuttavia, alcune stele sono state modificate qualche tempo dopo che erano state erette. Questi fatti riflettono una rottura e una continuità nelle tradizioni culturali, ma il loro significato, come la storia di tutta la regione, sono ancora da spiegare.
Nel mese di giugno del 2014, la parte meridionale della Riserva della Biosfera di Calakmul, dove si trova la maggior parte dei siti archeologi scoperti da Sprajc negli ultimi anni, è stata iscritta nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, sia come proprietà naturale che culturale.



OMS: Ebola avanza a velocità incontrollabile.



Ebola avanza e fa paura anche al mondo Occidentale. Il contagio si diffonde rapidamente, più rapidamente dei tentativi messi in campo per circoscriverlo. L'Organizzazione mondiale della Sanità lancia l'allarme e chiede la mobilitazione internazionale: la "catastrofe" in Africa occidentale è dietro l'angolo. Cresce la paura anche in Europa e negli Stati Uniti.





L’Organizzazione Mondiale della Sanità è preoccupata. Margaret Khan, direttrice dell’Oms, è volata a Conakry per un vertice con i presidenti della Guinea, della Sierra Leone e della Liberia (i Paesi più coinvolti) e ha dichiarato senza giri di parole: “Ebola avanza più velocemente degli sforzi per controllarlo” e le conseguenze “possono essere catastrofiche in termini di vite perdute” e del “rischio elevato” di propagazione ad altri Paesi, anche perché le forze schierate in campo a livello nazionale e internazionale sono “tristemente inadeguate”.
Per questo si pensa a un piano da 100 milioni di dollari e il prossimo 6 agosto si prepara una riunione d’urgenza per “valutare le implicazioni internazionali dell’epidemia” che, con i suoi 1.323 casi, 729 dei quali mortali, è la peggiore nei 40 anni di storia del virus.
Intanto cresce la paura in Europa e negli Stati Uniti. Come riporta l’Ansa, gli esperti americani di malattie infettive stanno cercando di tranquillizzare il pubblico sulla scarsissima possibilità che il virus dell’Ebola si diffonda negli Stati Uniti.
Ma il timore sta crescendo e tweet allarmati si sono sparsi sui social media alla notizia del prossimo rimpatrio dei due medici Usa colpiti dalla febbre emorragica in Liberia. “L’Ebola pone poco rischio per la popolazione Usa”, ha ribadito Tom Frieden, direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie di Atlanta, pur ammettendo che siamo di fronte al “contagio più vasto e complesso mai registrato”.
Per Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale contro le malattie Infettive, “certo c’e’ la possibilità che qualcuno infetto con il virus in Sierra Leone o Liberia salga su di un aeroplano e venga negli Stati Uniti. Ma le probabilità che il virus si diffonda qui come sta succedendo nei Paesi colpiti in Africa sono straordinariamente basse. Siamo fiduciosi che non ci sarà un’epidemia”.
Sul contrasto alla diffusione è intervenuto anche il presidente Usa Barack Obama. “Il virus Ebola e’ qualcosa da prendere molto seriamente”, ha detto Obama parlando in diretta Tv dalla Casa Bianca. “Non si tratta di una malattia facilmente trasmissibile, ma bisogna identificare, mettere in quarantena e isolare chi può trasmetterla”.
Rischio in Italia?
La diffusione del virus Ebola in Italia è improbabile. Lo afferma la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) in una nota. A sostegno di questa affermazione, scrivono gli esperti, si ricorda che i focolai di infezione si generano attraverso la trasmissione del virus da parte di un animale ospite in aree prossime alla foresta, lontane da aree metropolitane e dagli aeroporti internazionali.
Inoltre la malattia si manifesta nella maggioranza dei casi con gravi sintomi che obbligano il malato al letto e ne impediscono gli spostamenti. Tenuto conto anche della relativa brevità dell’incubazione, l’ipotesi che l’infezione possa giungere via mare con persone che, partite dalle zone interessate dall’epidemia, abbiano attraversato il nord Africa via terra per poi imbarcarsi verso l’Europa è destituita di fondamento.
“L’infezione da virus Ebola è solo una delle numerose infezioni emergenti segnalate negli ultimi anni”, spiega Massimo Galli, infettivologo SIMIT, Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco di Milano. “Di alcune di esse, come la SARS e la MERS, sono stati osservati in Italia solo casi importati, senza che si generassero nuove infezioni nel paese. Altre invece sono presenti in Italia, come la febbre da virus West Nile, mentre un’epidemia di febbre da virus Chikungunya è stata registrata in Romagna nel 2007”.
Comunque, la Farnesina sconsiglia viaggi in Sierra Leone, lanciando il warning sul sito Viaggiare Sicuri: “In conseguenza dell’aggravarsi della situazione sanitaria legata all’epidemia di febbre emorragica (Ebola) è stato dichiarato lo stato d’emergenza in Sierra Leone e si sconsigliano pertanto i viaggi non necessari nel Paese”.