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Scientia Antiquitatis

sabato 6 settembre 2014
Natura: Due percorsi evolutivi per la stessa ragnatela.
Pur costruendo ragnatele dalla struttura molto simile, i ragni classificati nel gruppo delle Orbiculariae non condividono in realtà lo stesso lignaggio. La scoperta, che indica che la capacità di creare le ragnatele di quel tipo si è evoluta più volte in modo indipendente, è stata realizzata grazie all'analisi dell'intero genoma di diverse specie di quei ragni.
Nella storia evolutiva dei ragni, la capacità di tessere la tela si è evoluta più volte, in maniera indipendente, anche nel caso di ragnatele che mostrano la stessa struttura a cerchi concentrici o a spirale, le cosiddette ragnatele orbicolari. La scoperta è di un gruppo di ricercatori del Museo di zoologia comparativa della Harvard University, che hanno analizzato il genoma di quattordici specie di ragni tessitori di ragnatele orbicolari.
Benché siano uno dei gruppi di predatori terrestri di maggior successo, la storia evolutiva dei ragni non era stata finora oggetto di approfondite analisi e ancora oggi la sua ricostruzione si basa in buona parte su considerazioni di carattere morfologico. Fino a poco tempo fa i costi di sequenziamento del genoma – spiegano Rosa Fernández, Gustavo Hormiga e Gonzalo Giribet, che illustrano la loro ricerca su “Current Biology” - avevano infatti frenato il ricorso alle analisi genetiche, che si erano limitate a tracciare la storia di una manciata appena di geni di questi animali.
Proprio sulla base del sequenziamento di quei pochi geni e delle variazioni molecolari riscontrate in essi si era ritenuto che tutte le ragnatele orbicolari fossero create da ragni che condividevano uno stesso lignaggio, ma il sequenziamento completo del genoma e dei circa 3000 geni di 14 specie di diverse famiglie di ragni produttori di queste ragnatele ha permesso di dimostrare che appartengono a due gruppi filogeneticamente ben distinti e che, quindi, la capacità di costruire quel tipo di ragnatele si è evoluta in modo indipendente. I due gruppi sono costituiti da ragni caratterizzati rispettivamente dalla presenza (ragni cribellati) e dall'assenza (ragni ecribellati) del cribellum, una minuscola struttura anatomica a pettine che permette di produrre un filo più sottile e adesivo.
Di fatto anche se i due gruppi creano reti molto simili, osservano i ricercatori, la strategia adottata per sfruttarle e la composizione della loro seta sono molto diverse. Mentre un gruppo utsa la rete per catturare le prede in modo passivo, alcune specie dell'altro gruppo la usano come una rete da pesca, tenendone i fili fra le zampe per agitarla e facilitare la cattura degli insetti.
Ora Fernández e colleghi intendono proseguire lo studio analizzando sistematicamente il genoma di altre 150 specie di ragni dalle tele orbicolari, prima di passare, in prospettiva, ad approfonidre la storia filogenetica complessiva di tutto l'ordine, che comprende circa cento famiglie e oltre quarantamila specie.
Due antiche città Maya scoperte nella giungla del Sud Est del Messico.
Una nuova sorprendente scoperta nella giungla del Messico. Gli archeologi hanno portato alla luce due antiche città maya, con templi piramidali, palazzi, una campo da gioco, altari altri monumenti in pietra. Una delle due città era già stata individuata decenni fa, ma tutti i precedenti tentativi di scavo sono falliti. L'altra città, invece, era completamente sconosciuta, gettando così nuova luce sull'antica civiltà Maya.
Nella foresta tropicale della penisola dello Yucatan, due grandi siti Maya sono stati scoperti da una spedizione archeologica guidata da Ivan Sprajc, del Centro di Ricerca dell’Accademia Slovena delle Scienze e delle Arti.
Anche se non molto lontani dalle moderne città di Xpujil e Zoh, nella parte sud-orientale dello stato messicano di Campeche, i due siti si trovano nella Riserva della Biosfera di Calakmul, una zona spopolata e difficilmente accessibile.
Come riporta l’articolo di Discovery News, uno dei due siti, denominato Lagunita, era stato individuato nel 1970 dell’archeologo americano Eric Von Euw, il quale documentò numerosi monumenti in pietra e una straordinaria entrata a forma di un mostro con le fauci spalancate. Tuttavia, i risultati della sua ricerca non furono mai pubblicati.
Nonostante i vari tentativi di scavo, Lagunita è rimasta nascosta fino a poche settimane fa, quando è tornata alla ribalta delle cronache archeologiche grazie all’interesse del dottor Sprajc. “Abbiamo individuato il sito con l’ausilio di fotografie aeree”, spiega Sprajc, “ma siamo riusciti ad identificarla con Lagunita solo dopo che abbiamo visto i monumenti e li abbiamo confrontati con i disegni di Von Euw”.
L’altro sito, invece, non era mai stato segnalato in precedenza. Gli archeologi l’hanno battezzato con il nome di Tamchén (che significa “pozzo profondo” in maya yacateco), alludendo alla presenza di più di 30 camere sotterranee a forma di bottiglia, in gran parte destinati alla raccolta dell’acqua piovana.
Lagunita e Tamchén sono situate nella parte meridionale di un vasto territorio archeologicamente inesplorato. Fatta eccezione per Chactùn, la grande città scoperta da Sprajc nel 2013, nessun altro sito è finora stato localizzato in questa zona, la quale si estende per quasi 3 mila km².
Oltre a un campo da pallone e un tempio piramidale alto quasi 20 metri, l’area centrale di Lagunita presenta una serie di imponenti edifici disposti intorno a quattro grandi piazze. La caratteristica più spettacolare è una porta riccamente decorata con le sembianze della bocca di un mostro con le fauci spalancate.
“A giudicare dai volumi architettonici e dalle iscrizioni, Lagunita deve essere stata la sede di un potente sistema politico, anche se la natura del suo rapporto con Chactùn, situata a circa 10 km, rimane poco chiara”, spiega Sprajc.
Imponente allo stesso modo è il sito di Tamchén, situato a circa 6 km a nord-est di Lagunita. Esso presenta diverse piazze circondate da edifici voluminosi, tra cui un tempio piramidale conservata piuttosto bene, una stele e un altare. Sebbene Tamchén sembra essere stata in gran parte contemporanea di Lagunita, alcune sue parti fanno pensare che l’insediamento originario risalga al periodo Tardo Preclassico (300 a.C. – 250 d.C.).
Sia Tamchén che Lagunita sembrano essere state abbandonate intorno all’anno 1000, condividendo la sorte di altre città Maya della pianura. Tuttavia, alcune stele sono state modificate qualche tempo dopo che erano state erette. Questi fatti riflettono una rottura e una continuità nelle tradizioni culturali, ma il loro significato, come la storia di tutta la regione, sono ancora da spiegare.
Nel mese di giugno del 2014, la parte meridionale della Riserva della Biosfera di Calakmul, dove si trova la maggior parte dei siti archeologi scoperti da Sprajc negli ultimi anni, è stata iscritta nella lista del patrimonio mondiale dell’UNESCO, sia come proprietà naturale che culturale.
OMS: Ebola avanza a velocità incontrollabile.
Ebola avanza e fa paura anche al mondo Occidentale. Il contagio si diffonde rapidamente, più rapidamente dei tentativi messi in campo per circoscriverlo. L'Organizzazione mondiale della Sanità lancia l'allarme e chiede la mobilitazione internazionale: la "catastrofe" in Africa occidentale è dietro l'angolo. Cresce la paura anche in Europa e negli Stati Uniti.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità è preoccupata. Margaret Khan, direttrice dell’Oms, è volata a Conakry per un vertice con i presidenti della Guinea, della Sierra Leone e della Liberia (i Paesi più coinvolti) e ha dichiarato senza giri di parole: “Ebola avanza più velocemente degli sforzi per controllarlo” e le conseguenze “possono essere catastrofiche in termini di vite perdute” e del “rischio elevato” di propagazione ad altri Paesi, anche perché le forze schierate in campo a livello nazionale e internazionale sono “tristemente inadeguate”.
Per questo si pensa a un piano da 100 milioni di dollari e il prossimo 6 agosto si prepara una riunione d’urgenza per “valutare le implicazioni internazionali dell’epidemia” che, con i suoi 1.323 casi, 729 dei quali mortali, è la peggiore nei 40 anni di storia del virus.
Intanto cresce la paura in Europa e negli Stati Uniti. Come riporta l’Ansa, gli esperti americani di malattie infettive stanno cercando di tranquillizzare il pubblico sulla scarsissima possibilità che il virus dell’Ebola si diffonda negli Stati Uniti.
Ma il timore sta crescendo e tweet allarmati si sono sparsi sui social media alla notizia del prossimo rimpatrio dei due medici Usa colpiti dalla febbre emorragica in Liberia. “L’Ebola pone poco rischio per la popolazione Usa”, ha ribadito Tom Frieden, direttore dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie di Atlanta, pur ammettendo che siamo di fronte al “contagio più vasto e complesso mai registrato”.
Per Anthony Fauci, direttore dell’Istituto Nazionale contro le malattie Infettive, “certo c’e’ la possibilità che qualcuno infetto con il virus in Sierra Leone o Liberia salga su di un aeroplano e venga negli Stati Uniti. Ma le probabilità che il virus si diffonda qui come sta succedendo nei Paesi colpiti in Africa sono straordinariamente basse. Siamo fiduciosi che non ci sarà un’epidemia”.
Sul contrasto alla diffusione è intervenuto anche il presidente Usa Barack Obama. “Il virus Ebola e’ qualcosa da prendere molto seriamente”, ha detto Obama parlando in diretta Tv dalla Casa Bianca. “Non si tratta di una malattia facilmente trasmissibile, ma bisogna identificare, mettere in quarantena e isolare chi può trasmetterla”.
Rischio in Italia?
La diffusione del virus Ebola in Italia è improbabile. Lo afferma la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali (Simit) in una nota. A sostegno di questa affermazione, scrivono gli esperti, si ricorda che i focolai di infezione si generano attraverso la trasmissione del virus da parte di un animale ospite in aree prossime alla foresta, lontane da aree metropolitane e dagli aeroporti internazionali.
Inoltre la malattia si manifesta nella maggioranza dei casi con gravi sintomi che obbligano il malato al letto e ne impediscono gli spostamenti. Tenuto conto anche della relativa brevità dell’incubazione, l’ipotesi che l’infezione possa giungere via mare con persone che, partite dalle zone interessate dall’epidemia, abbiano attraversato il nord Africa via terra per poi imbarcarsi verso l’Europa è destituita di fondamento.
“L’infezione da virus Ebola è solo una delle numerose infezioni emergenti segnalate negli ultimi anni”, spiega Massimo Galli, infettivologo SIMIT, Dipartimento di Scienze Biomediche e Cliniche L. Sacco di Milano. “Di alcune di esse, come la SARS e la MERS, sono stati osservati in Italia solo casi importati, senza che si generassero nuove infezioni nel paese. Altre invece sono presenti in Italia, come la febbre da virus West Nile, mentre un’epidemia di febbre da virus Chikungunya è stata registrata in Romagna nel 2007”.
Comunque, la Farnesina sconsiglia viaggi in Sierra Leone, lanciando il warning sul sito Viaggiare Sicuri: “In conseguenza dell’aggravarsi della situazione sanitaria legata all’epidemia di febbre emorragica (Ebola) è stato dichiarato lo stato d’emergenza in Sierra Leone e si sconsigliano pertanto i viaggi non necessari nel Paese”.
venerdì 5 settembre 2014
I Nomoli: Statuine di antichi astronauti lasciate da una misteriosa cultura svanita migliaia di anni fa.
La statuine Nomoli sono delle piccole figure scolpite nella pietra trovate dalla popolazione locale del Sierra Leone, tra gli anni '80 e '90, durante la ricerca di diamanti in Africa occidentale. Queste statuine, dall'età stimata di circa 12 mila anni, sono le più insolite, le più eccezionali e le più antiche creazioni mai scoperte in Africa.
Tra i molti reperti antichi che sicuramente minacciano le tradizionali scuole di pensiero dell’archeologia classica ci sono le Statuine Nomoli.
Si tratta di piccole sculture in pietra alte dai 40 ai 70 centimetri che raffigurano in maniera accurata misteriosi esseri umanoidi deformi, spesso dall’aspetto rettile.
Le statuine furono scoperte tra gli anni ’80 e ’90 dalle popolazioni locali del Sierra Leone, durante la corsa ai diamanti nell’Africa occidentale.
L’origine delle figurine, denominate “Nomoli” dalla gente del luogo, è avvolta nel mistero, dato che non sembrano appartenere a nessuna cultura africana nota. Alcune statuine sono state rinvenute alla profondità di 50 metri, nello strato geologico che corrisponde all’età compresa tra gli 11 mila e i 12 mila anni fa.
Questo dato ha lasciato gli archeologi molto perplessi, dato che tale datazione non è conferme alle conoscenze attuali dell’archeologia classica, dal momento che le civiltà più antiche della regione si fanno risalire al 4 mila a.C. Da dove vengono, dunque, questi misteriosi manufatti?
Come spiegano i ricercatori John H. Atherton and Milan Kalous in un articolo comparso sulla rivista The Journal of African History, i Nomoli sono stati realizzati e utilizzati nella zona in cui si trovano. Dunque non sono stati importati.
Ma c’è di più! Come spiega Rossano Segalerba, pare che in una cavità all’interno di alcuni Nomoli vi siano delle palline metalliche e pietre provenienti dallo spazio. Le analisi svolte dal Museo di Storia Naturale di Vienna hanno mostrato che sono fatte di una strana mescolanza di cromo e acciaio.
Alcuni studiosi hanno, oltretutto, trovato tracce di una sostanza chiamata iridio nelle pietre, ma non c’è praticamente iridio nelle rocce del nostro pianeta, a meno che non sia portato dall’esterno, per esempio da un meteorite.
Chi mise lì dentro questi piccoli oggetti? E, cosa ancora più importante, come è stata prodotta la lega metallica di cui sono composti?
Le cosiddette “pietre di colore blu provenienti dal cielo” sono un ulteriore enigma nell’enigma. Una leggenda del posto dice: “La parte di cielo in cui Nomoli visse si trasformò in una pietra, che si scheggiò rotolando sulla terra”.
Tra l’altro, è interessante notare come la parola “Nomoli” abbia un’assonanza con“Nommo”, ovvero come, sempre nell’Africa occidentale, i Dogon del Mali chiamano gli esseri che in un lontano passato, secondo certi miti ancestrali, piovvero sulla Terra dalla stella Sirio.
Una leggenda africana narra che costoro “hanno vagato senza alcun impedimento in luoghi dove nessuno uomo era mai stato prima. Uno non li poteva guardare in faccia perchè i loro occhi erano così luminosi che provocavano cecità in chi li guardava: era come guardare il sole. A queste creature venne vietato l’ingresso nell’impero divino e inviate a Terra”. Quest’ultima parte ci riporta al mito della “caduta degli angeli”, di cui si parla in diverse culture, compresa quella giudeo-cristiana.
Secondo le popolazioni locali, le statuine Nomoli sarebbero un ricordo di queste creature divine esiliate sulla Terra. Esse hanno delle caratteristiche tipiche: sono realizzate in diversi tipi di pietra, presentano grandi nasi come quello di un rapace con le narici, grandi bocche, mostrando talvolta i denti. I loro crani sono piatti.
Alcune figurine ritraggono rettili dall’aspetto antropomorfo.
Altre rappresentazioni mostrano che i Nomoli, agli occhi di chi li ha prodotti, dovevano avere dimensioni considerevoli, tali da poter cavalcare tranquillamente un elefante.
Anatolia: Un uomo scopre una città sommersa sotto casa sua.
Un uomo di Kayseri, una provincia dell'Anatolia centrale, Turchia, ha scoperto una vasta struttura sotterranea durante la pulizia di una casa ereditata dalla sua famiglia.
La struttura si estende su cinque livelli, per un'area complessiva di 2500 metri quadrati.
Mustafa Bozdemir, un uomo di 50 anni che vive in Francia, ha ricevuto in eredità dalla sua famiglia una casa nella provincia di Kayseri, Anatolia centrale, Turchia.
Durante i lavori di pulizia dell’interrato, Bozdemir si è imbattuto in una struttura sotterranea che aveva l’area di essere un’antica abitazione romana.
L’uomo ha subito informato l’Ufficio del Governatore di Kayseri e l’Ente per la Cultura e il Turismo. Una volta ottenute le necessarie autorizzazioni, l’uomo ha continuato gli scavi, portando alla luce un immensa struttura sotterranea, quasi una città.
“In un primo momento abbiamo pensato che ci fosse un solo livello sotterraneo, poi abbiamo scoperto che ne esistevano cinque”, spiega Bozdemir sull’Hurriyet Daily News. Per completare l’opera, l’ereditiero ha speso 80 mila euro e rimosso più di 100 camion di terra.
“Quando ho deciso di ripristinare la casa, ho pensato di ripulire anche il piano interrato”, racconta Bozdemir. “Una volta ripulito tutto, ci siamo resi conto dell’esistenza di altri quattro livelli sotto casa”.
Quasi l’80 per cento degli scavi è stato completato. Il terreno è stato rimosso manualmente e dieci persone hanno lavorato alla pulizia di una superficie pari a 2500 m². Durante i lavori di pulizia, sono stati ritrovati anche alcuni resti di ossa umane, sulle quali è in corso un’analisi da parte di un team della Erciyes University.
“Abbiamo pensato che fosse uno spazio destinato alla conservazione del cibo o per il ricovero degli animali”, spiega Nuvit Bayar, direttore del progetto della Guntas, la società responsabile per il restauro. “Ma nessuno si aspettava che facesse parte di una città sotterranea. Alcune aree ricordano i resti sotterranei degli antichi insediamenti in Cappadocia”.
La regione dell’Anatolia è nota per le più spettacolari reti di tunnel sotterranei in tutto il mondo, alcune delle quali che si configurano come delle vere e proprie città, in particolare nella regione della Cappadocia, dove sono state rinvenute più di 40 città sotterranee complete, con tunnel completi di passaggi nascosti, stanze segrete e antichi templi.
Una delle più belle e famose è certamente la città di Derinkuyu, con i suoi undici livelli di profondità, circa 600 ingressi, e la capacità di ospitare migliaia di persone. La città si compone di molti chilometri di tunnel che la collegano ad altre città sotterranee.
Nei livelli sotterranei sono stati trovati sale da pranzo, cucine annerite dalla fuliggine, cantine, botteghe di alimentari, una scuola, numerose saloni e anche un bar.
Secondo molti archeologi e studiosi, è probabile che Derinkuyu servisse come rifugio temporaneo durante le invasioni e che sia stata costruita intorno all’800 a.C. dai Frigi, un popolo dell’Età del Bronzo imparentato con i Troiani.
Altri credono che sia stata costruita dagli Ittiti, popolo guerriero menzionato nella Bibbia e che aveva prosperato centinaia di anni prima. Ma è possibile che la città sotterranea sia ancora più antica.
Sebbene sia improbabile che l’ultima scoperta avvenuta a Kayseri pareggi la magnificenza di Derinkuyu, si tratta comunque di un risultato estremamente significativo, a dimostrazione che il mondo sotterraneo dell’Anatolia custodisce gelosamente ancora molti segreti.
Gli incredibili cerchi di pietra di SeneGambia.
Cerchi di pietra di Senegambia è il nome con cui è noto un sito inserito dal 2006 nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO che si trova sul confine fra il Gambia ed il Senegal. Questa regione, che si estende su di una superficie di circa 35.000 chilometri quadrati nella zona del fiume Gambia, è anche conosciuta col nome di Wassu in Gambia e col nome di Sine-Saloum in Senegal.
Nel corso della storia, l’uomo ha sentito la costante necessità di erigere maestosi monumenti.
Molto spesso, l’esigenza era quella di costruire qualcosa che fosse più grande, costosa e imperitura di qualsiasi altra cosa realizzata in precedenza.
Tuttavia, esistono alcuni monumenti meno importanti che raramente attirano la stessa attenzione, che però sono esempi di grande progettazione architettonica e tecnologica.
Tra questi ci sono i Cerchi di Pietra di Senegambia, un sito inserito dal 2006 nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO che si trova sul confine fra il Gambia ed il Senegal.
In media, le pietre che compongono i cerchi sono alte circa 2 metri e possono pesare fino a 7 tonnellate ciascuna. Anche se non si tratta di strutture massicce come quelle di Stonehenge in Inghilterra, o come le Piramidi d’Egitto, di queste incredibili realizzazioni monolitiche se ne contano più di 1000, sparse su una superficie di 100 km per 350 km.
Dei 1000 cerchi di pietra, 93 sono stati inseriti nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’Unesco. Questi includono in complesso Sine Ngayène in Senegal, così come i complessi Wanar, Wassu e Kerbatch in Gambia.
Oltre ai cerchi di pietra, i complessi contengono anche numerosi tumuli funerari. Dal materiale ottenuto dagli scavi archeologici, si desume che i cerchi sono stati realizzati tra il 3° secolo a.C. e il 16° secolo d.C. Questo suggerisce che i cerchi sono stati eretti gradualmente nel corso di un lungo periodo di tempo, facendo riferimento ad una tradizione che è stata mantanuta per quasi due millenni.
Per la realizzazione dei cerchi di pietra, gli antichi costruttore hanno dovuto identificare gli affioramenti rocciosi più adatti per l’intaglio delle pietre. Sebbene si tratti di una pietra abbastanza comune nella regione, era comunque necessaria una grande conoscenza geologica della zona.
Una volta identificata la cava più adatta, cominciava il taglio e l’estrazione della pietra, operazione non facile dato che l’obiettivo era quello di ricavare un unico grande monolito. Nei siti di estrazione non è stato trovato nessun attrezzo. Certamente era necessaria una grande abilità per tirare fuori i monoliti dalla cava, ma le tecniche estrattive sono ancora del tutto ignote.
Infine, i monoliti estratti venivano trasportati e eretti in vari siti lungo il fiume Gambia. Questo processo suggerisce che le antiche popolazioni dell’Africa occidentale fossero socialmente molto organizzate, riuscendo a mobilitare un gran numero di operai per la realizzazione del progetto. Basti immaginare che l’intero processo si è ripetuto per migliaia di monoliti.
La funzione dei Cerchi di Pietra di Senegambia rimane sconosciuta. È stato suggerito che avessero una funzione funeraria. In alcuni scavi, sono state scoperte sepolture di massa, in cui i corpi sono stati gettati alla rinfusa nelle fosse. Forse si trattava di vittime di un’epidemia o di guerre tribali.
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che la posizione dei vari cerchi di pietra rifletta la configurazione di alcune costellazioni. Quello che è certo è che sono necessarie ulteriori ricerche per comprenderne meglio la funzione.
Death Valley: Ecco perchè le pietre si muovono da sole.
Sono state un mistero per decenni, le rocce che camminano, o strisciano nel deserto lasciando dietro di sé lunghe tracce sul suolo arido della Death valley, la valle della morte, in Nevada. Un vero e proprio mistero che ora sembra giunto ad una soluzione.
Un fenomeno affascinante che ha attirato l’attenzione per molti anni.
Tante ipotesi sono state fatte nel corso del tempo per le celebri “sailing stone” o “moving rock”, le pietre che si muovono, il fenomeno che riguarda la Death Valley, in California, e che catalizza l’attenzione di molti ricercatori.
A rendere famosi i sassi del deserto californiano è l’inspiegabile attitudine al movimento delle rocce, le quali sembrano muoversi da sole nel deserto, lasciando dietro di loro delle scie nella sabbia.
Ora il mistero sembrerebbe risolto. La scoperta è stata spiegata da Richard Norris, paleoceanografo dell’Istituto di Oceanografia Scripps di San Diego, sulla rivista scientifica online Plos One.
A creare questo particolare effetto sarebbe lo strato di ghiaccio che si forma in inverno sulla Racetrack Playa, un lago asciutto della “Valle della Morte”. Potrà sembrare strano nel luogo tra i più caldi del pianeta, ma in inverno la temperatura scende di parecchi gradi sotto lo zero.
La poca acqua che ricopre la “Racetrack playa” nella stagione fredda gela di notte, formando uno strato di ghiaccio estremamente sottile. Durante lo scioglimento diurno le sottili ma resistenti lastre di ghiaccio che galleggiano sono in grado, sotto la spinta di una leggera brezza, di spostare le rocce che poggiano sul fango morbido. Pochi millimetri alla volta, che diventano nel corso di diversi giorni lunghe ‘passeggiate’ attraverso il deserto.
Il fenomeno era stato teorizzato ma non ancora osservato. I ricercatori della Scripps Institution of Oceanography dell’Università di San Diego hanno posizionato una stazione meteo e una telecamera per riprendere quanto succede durante un lungo periodo di tempo: per la prima volta hanno registrato il movimento delle rocce e ne hanno tracciato lo spostamento attraverso gps.
Norris ha registrato lo spostamento di 224 metri di un sasso tra dicembre 2013 e gennaio 2014, rilevando che di notte in inverno la superficie del lago asciutto si copre di uno strato di ghiaccio spesso tra 3 e 6 millimetri.
Quando il ghiaccio si scioglie nella tarda mattinata e si spezza in placche, queste – spinte dal vento che soffia a 14-18 km all’ora – spostano i sassi che si muovono a una velocità molto bassa: 2-5 metri al minuto. Ecco perché nessuno ha mai visto dal vivo i sassi muoversi.
“È stato l’esperimento più noioso della mia vita”, ha confessato Norris commentando lo studio del fenomeno che per decenni ha arrovellato gli scienziati. Come facevano centinaia di massi pesanti anche 300 chili a spostarsi da soli? Per rispondere alla domanda, ci sono volute ore e ore di noiosissimi appostamenti in uno dei posti più desolati del pianeta.
mercoledì 4 giugno 2014
Egitto: Una nuova teoria sulla costruzione delle piramidi in Egitto.
Un ingegnere gallese ha presentato una nuova teoria sulla costruzione della antiche piramidi della piana di Giza che rischia di scuotere il mondo dell'archeologia. A suo parere, il fatto che le piramidi siano state costruite da decine di migliaia di operai che trasportavano blocchi massicci su lunghe rampe è praticamente impossibile.
Peter James, è un ingegnere delle costruzioni di Newport, Galles del Sud.
Soprannominato Indiana James, insieme al team della sua azienda Cintec ha passato gli ultimi diciotto anni a restaurare le piramidi egiziane, avendo l’opportunità di osservare in profondità gli enigmatici monumenti.
Forte di questa esperienza, l’ingegnere gallese ha elaborato una nuova teoria sulla loro costruzione che rischia di mettere in discussione le teorie classiche e far andare su tutte le furie gli archeologi egiziani.
“Secondo le attuali teorie, per impilare i due milioni di blocchi richiesti per la costruzione delle piramidi, gli operai egiziani avrebbero dovuto posizionare un blocco ogni tre minuti”, spiega James.
Inoltre, i blocchi sarebbero dovuti essere spostati su delle ampie rampe che secondo i suoi calcoli, per arrivare a quell’altezza ed evitare che risultassero troppo ripide, avrebbero raggiungo la lunghezza di almeno 400 metri. “Se così fosse, ci sarebbero ancora i segni delle rampe, ma non ce ne sono”, dice James.
Osservando l’interno delle piramidi, James ha innanzitutto ipotizzato che queste furono costruite a cominciare dall’interno, utilizzando i grandi blocchi di pietra per la struttura esterna e materiale più piccolo per la struttura interna, allo stesso modo in cui un costruttore moderno realizzerebbe un muro di pietra.
L’ingegnere ritiene che l’interno delle piramidi è composto di piccoli blocchi facilmente lavorabili e trasportabili. I grossi blocchi visibili all’esterno, sarebbero solo destinati al contenimento dell’intera struttura.
James ha contestato anche la teoria tradizionale su quanto è successo al rivestimento esterno delle piramidi. Gli archeologi sono convinti che la pietra liscia sia stata rubata per la realizzazione di altre costruzioni. L’ingegnere, invece, ritiene che le pietre esterne siano cadute a causa della dilatazione termica causata dalle grandi escursioni termiche tra il giorno e la notte, che possono andare dai 50°C ai 3°C.
“Mi sto preparando ad un dura battaglia con gli archeologi”, ammette l’ingegnere. “Mi accuseranno di non essere un archeologo. Ma se uno vuole costruire una casa chiama un ingegnere o un archeologo? Gli archeologi non hanno mai avuto esperienza di ingegneria”.
Peter James è amministratore delegato della Cintec, azienda leader nel settore del consolidamento strutturale di siti antichi. L’azienda impiega 50 persone e opera in tutto il mondo, ma è stata particolarmente coinvolta nel rafforzamento di antichi monumenti in Iran, Iraq e nel Sahara. Ha contribuito anche a rafforzare le camere sepolcrali delle piramidi a gradoni e della Piramide Rossa.
Certo, non è possibile stabilire se la teoria di James sia corretta oppure no. Però bisogna dargli atto di aver avuto il coraggio di mettere in discussione le idee consolidate dell’archeologia tradizionale e di aver avuto l’animo di affrontare il fuoco di fila di chi si sente investito di difendere queste idee ad ogni costo, anche contro l’evidenza.
Anche altri si sono cimentati nell’ipotizzare tecniche differenti per la costruzione delle piramidi. In un’animazione caricata su youtube, è possibile vedere un sistema per trasportare i blocchi di pietra sulla cima delle piramidi.
Utilizzando una sorta di camera d’aria capace di far galleggiare i blocchi di pietra, gli operai li avrebbero spinti in un condotto verticale pieno di acqua, in modo tale che il galleggiamento li avrebbe poi sospinti verso l’alto.
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