domenica 23 settembre 2012

Africa: Società acefale. Sudan, i Nuer.

Africa: Società acefale.

"Noi combattiamo contro i Rengyand, ma quando uno dei nostri due gruppi contro un terzo nemico, ci uniamo per combattere insieme".
(membro della tribù Nuer  dei  Bor).

 
 


Le "società acefale" sono società senza stato, in cui manca un'autorità centralizzata.
Le decisioni politiche sono prese al livello dei linguaggi  (gruppi di discendenza matrilineari o patrilineari che si riconoscono in un antenato mitico e che possono essere anche dispersi sul territorio).
La vita sociale è la risultante di rapporti variabili di alleanza fra clan e lignaggi e dei loro conflitti, cosa che da luogo a continui processi di segmentazione e fusione dei gruppi a seconda delle situazioni che si devono affrontare.
L'opposizione fra società acefale o segmentarie e società statuali non è però netta e gli antropologi hanno individuato anche "stati segmentari", come quello dell'antico Buganda, in cui cioè un potere centralizzato coesiste con i poteri locali, che pur legati a esso, conservano la loro autonomia.
L'esistenza di società segmentarie in Africa, infine, può essere talvolta meglio compresa vedendola il sottoprodotto di società statali, come il risultato di una pressione esercitata da istituzioni politiche più ampie e inglobanti (come quelle degli imperi), su società più deboli, invece di rintracciarvi il punto di partenza di un'evoluzione che ha la forma stato come approdo finale.

 


I Nuer studiati negli anni trenta dall'antropologo Evans Pritchard erano, all'epoca, una popolazione di circa duecentomila persone, divisa in diverse tribù organizzate secondo il sistema della discendenza patrilineare e prive di autorità centrale, con un economia basata sulla pastorizia transumante.
L'equilibrio sociale era prodotto attraverso lo strumento della faida come mezzo di gestione dei conflitti che converte la contrapposizione in una relazione di cooperazione; la pratica della vendetta può essere può infatti essere sospesa attraverso il pagamento di una compensazione che è il "prezzo del sangue".
Proprio il senso del "debito" e del "credito" che anima la faida ne fa un fattore di coesione sociale.




Il bestiame non costituisce solo la base della sussistenza dei Nuer ma il "linguaggio" con cui vengono espresse le relazioni sociali.
I Nuer disprezzano le popolazioni vicine che non ne hanno e lo usano come mezzo di compensazione in caso di omicidi.
E' il bestiame infine che determina la distribuzione delle trbù sul territorio in base ai pascoli e ai punti d'acqua.





"Nome degli Etruschi.

Nome degli Etruschi
Giunsero nel  paese degli Umbri e mutarono il nome di Lidii in un altro, tratto dal figlio del re che gli aveva guidati: prendendo il suo stesso nome si chiamarono Tirreni". (Erodoto).




Etruschi (Etruschi o Tusci, da cui anche il nome di Toscana) è il nome che i popoli di lingua latina davano alle genti definite da tutti i Greci ( a partire da Esiodo) Tyrsenoi o Tyrrenoi, ovvero Tirreni.
La radice Thur, che si ritrova in nomi di città fortificate della Lidia (thur è la torre) e ricorre nei documenti egizi che tra gli invasori popoli del mare annoverano un popolo trs.w, ha costituito a lungo uno degli indizi a supporto dell'origine orientale degli Etruschi, una tesi ormai abbandonata.
Ancora in relazione con il problema dell'origine, la questione del  "vero" nome degli Etruschi viene per la prima volta affrontata criticamente da Dionigi di Alicarnasso.
Per il retore, che sostiene di attingere a fonti etrusche, gli Etruschi danno a se stessi il nome nazionale Rasenna.
Tale nome compare sette volte in iscrizioni etrusche, nella forma "rasna" che diviene tipica dell'Etruria solo dopo il 500 a.C.
La fonte letta da Dionigi (probabilmente un'iscrizione) deve quindi procedere questa data, e d'altra parte l'antichità del nome è documentata anche da ritrovamenti epigrafici.
Alcuni studiosi hanno voluto leggere nella notizia di Dionigi un segnale per rintracciare altrove la provenienza della nazione etrusca: il legame proposto tra Rasenna e il nome delle genti che popolavano le alpi Retiche non regge però dal punto di vista linguistico, e le iscrizioni nel Trentino e nell'Alto Adige che sembrano mostrare somiglianze con l'etrusco sono in realtà molto più tarde.

 
 


giovedì 26 gennaio 2012

Ragusa: Ergasterion, fucina di archeologia.

Ragusa: Ergasterion, fucina di archeologia.
Dall'iconografia vascolare siciliota alla riflettura dei fratelli Cafici.





Continua “Ergasterion, "Fucina di archeologia”, il ciclo di incontri promosso dalla sezione di Ragusa dell’associazione “SiciliAntica”.
Nonostante una parziale modifica, rispetto a quanto previsto originariamente in calendario, degli interventi e del tema dell’incontro, venerdì 27 gennaio il sesto appuntamento si terrà regolarmente all’auditorium di San Rocco a Ibla a partire dalle 17,30.
Sarà l’occasione per fare intervenire Saverio Scerra, funzionario archeologo della Soprintendenza di Ragusa, che si occuperà delle “Metodologie di approccio allo studio dell’iconografia vascolare siceliota” facendo particolare attenzione alla commercializzazione di queste produzioni nel Mediterraneo in una particolare epoca storica, la seconda metà del IV secolo a.C. Il tema dell’appuntamento di venerdì, che sarà “Miscellanea archeologica”, sarà poi caratterizzato dalla presenza di Damiano Bracchitta.
Della rilettura dei lavori scientifici pubblicati dai fratelli vizzinesi Corrado (1856-1954) e Ippolito Cafici (1857-1947) in un arco di tempo più che cinquantennale parlerà, infatti, l’archeologo, dottorando in Archeologia presso la University of Malta, affrontando una rilettura che offre, ancora oggi, soprattutto in un’ottica di approfondimento storiografico, interessanti spunti per comprendere il ruolo che i diversi modelli interpretativi concepiti tra Ottocento e Novecento hanno assunto nell’elaborazione dell’idea di preistoria siciliana sopravvissuta fino all’avvento di Luigi Bernabò Brea, chiarendo, altresì, in che misura le intuizioni dei due studiosi siciliani, accanto alle acquisizionidi Orsi, abbiano inciso sull’attuale assetto della ricerca preistorica in Sicilia.
Infine Mario Cottonaro, specializzato in Archeologia classica presso l'Università di Catania e dottorando in Scienze archeologiche e Storiche presso l’Università degli Studi di Messina, illustrerà il progetto inerente l'iconografia e gli elementi produttivi produttivi del tipo iconografico della cosiddetta Artemide Sicula, dopo aver effettuato un esame diretto dei reperti fittili, catalogabili nel contesto di uno speciale orizzonte iconografico e custoditi nei musei di tutta la Sicilia.
Ne fa parte anche il materiale custodito presso il Museo Archeologico di Ragusa, proveniente dai siti di Kamarina e Scornavacche.



Terrae: Napoli, città dell'archeologia.
Archeologia, arte e spettacolo si fondono a Napoli per un viaggio alla scoperta di tre continenti e delle loro culture.




Il 27 gennaio a Napoli ha inizio un viaggio alla scoperta di tre continenti e delle loro culture. Dalla Napoli esoterica ai viaggi di Marco Polo nelle terre di Kubilai Khan, dalle storie di pirati alle nuove scoperte archeologiche in Giappone, dal Medio Oriente all’Egitto.
Archeologia, racconti storici, musica, danza, teatro, reading, degustazioni, proiezioni cinematografiche: un giro del mondo nel cuore del centro storico di Napoli per raccontare culture vicine e lontane scoprendo i mille fili che legano tra loro le civiltà attraverso i secoli.
Il programma si articola in 6 appuntamenti in Piazza San Domenico Maggiore dalle 18:00 alle 21:00 promossi da Archeologia Attiva, società specializzata in ricerche e missioni archeologiche e prima libreria archeologica del Mezzogiorno, in collaborazione con il Gran Caffè Neapolis.

Finalmente per la prima volta in Italia, un evento veramente dedicato all'archeologia. Non solo per gli addetti ai lavori: le avventure, le missioni, i nomi nuovi e poi musica e spettacoli a tema con l'argomento della giornata, degustazioni etniche.
Per il primo incontro, che sarà anche di presentazione del calendario, tra gli interventi dei relatori/avventurieri, la teatralità di Raffaele Bruno ed il suo Delirio Creativo e la musica di Rosario Volpe, Antonello Petrella, Marco Garofano, Rete Co'mar e tanti altri.
Il ciclo di incontri è organizzato con il patrocinio della Regione Campania, della Provincia di Napoli e del Comune di Napoli ed è sponsorizzato dalla Suozzo Assicurazioni Agenzia AXA, la prima agenzia ad aver inserito il “Codice Archeologico” nelle categorie professionali assicurate.
Inoltre, l'evento sarà in collaborazione con la Scuola di Pace che insegna gratuitamente italiano agli extracomunitari, perfettamente in armonia con i principi di scambio e crescita culturale propri dell'archeologia.
Queste tutte le date:
27 Gennaio – Alla scoperta del vero volto di Neapolis
24 Febbraio – Il potere delle immagini. Dalla preistoria a Facebook
30 Marzo – Il mare, il viaggio, gli uomini, le storie. Le onde che bagnarono le culture
27 Aprile – Il Medio Oriente: il seme profondo dell’anima mediterranea
25 Maggio – L’Egitto: dall’Africa a Piazzetta Nilo, dal Nilo a Piazzetta Nilo
29 Giugno – L’Archeologia oggi: cosa c’è sotto gli strati moderni?
La partecipazione all'evento è gratuita.



mercoledì 25 gennaio 2012

Africa Popoli: Mangbetu. Congo.

Africa Popoli: Mangbetu.


"Potevo ora deliziare i miei occhi con la fantastica figura del re del quale mi era stato riferito che si cibava quotidianamente di carne umana". (G: Scheweinfurth).




I Mangbetu sono una popolazione di circa ottocentomila persone probabilmente originaria dell'attuale Sudan e da lì migrata nelle foreste del nord-est del Congo dove si è mischiata con le popolazioni  bantu e pigmee (Mbuti) che ha incontrato, stabilendo con esse legami matrimoniali.
Il termine "Mangbetu" designa in realtà solo l'aristocrazia legata al linguaggio regnante e non l'insieme della popolazione.
La base dell'alimentazione era data dalla caccia e dalla coltivazione di banane e manioca.
Per quanto i frutti della foresta maturini tutto l'anno, diversamente da altre popolazioni, i Mangbetu hanno costruito depositi dove conservano le banane, la carne e il pesce seccati o affumicati.
Nel corso del XIX secolo le istituzioni politiche Mangbetu assunsero la forma di un regno per iniziativa di Nabiembali; alla metà dell'ottocento il regno si divise in due per conseguenza dell'indebolimento seguito ai continui attacchi dei vicini Zande.
Fu la volta dei Nubiani mussulmani che intorno al 1850 coinvolsero i capi Zande e Mangbetu nel commercio dell'avorio e degli schiavi frazionando il regno in tanti sultanati.
Alla fine del secolo arrivarono gli europei (Belgi, Francesi e Inglesi) che cacciarono i mercanti di schiavi e sottomisero i Mangbetu alla propria autorità.




I vasi Mangbetu costituiscono un esempio di arte di corte con funzione politica svincolata da ogni significato religioso. la loro apparizione è contestuale all'arrivo dei belgi: venivano loro mostrati per testimoniare i fasti delle corti Mangbetu e proporsi come interlocutori politici.
La forma allungata della testa riprende le deformazioni craniche a finalità estetica delle donne, enfatizzate dall'acconciatura allungata.
La base del recipiente assume anch'essa forma figurativa divenendo il corpo della donna.
In questa forma di "arte di contatto" confluiscono due filoni, fino ad allora separati, della tradizione artistica Mangbetu: quello delle terrecotte non figurative e quello della scultura figurativa su legno; la presenza europea ha quindi portato a una domanda esterna di oggetti figurativi che ha indotto a una configurazione delle arti locali.





La pratica dell'allungamento della testa ai fini estetici si è mantenuta presso i Mangbetu fino alla metà del novecento quando fu dichiarata fuorilegge dal governo coloniale belga.
Per ottenere questo effetto, le teste dei neonati venivano fasciate con rafia e capelli dal primo giorno di vita.
La pratica dell'allungamento della testa nasce come moda aristocratica per poi diventare un ideale di bellezza comune a tutti gli strati sociali e condiviso anche da popolazioni vicine.
Nei periodi di lutto l'acconciatura viene "spezzata" e talora viene rasata la testa.




Il botanico tedesco Georg Schweinfurth passò una ventina di giorni fra i Mangbetu nel 1868.
Malgrado il suo breve soggiorno egli con i suoi disegni esercitò un'influenza durevole sull'immaginario occidentale favorendo la creazione di uno stereotipo che è servito da guida per i viaggiatori successivi: vi si esalta la nobiltà dei re Mangbetu, gli splendori della vita di corte ma anche la repulsione suscitata dal "cannibalismo".



Africa Popoli: Masai. Kenya e Tanzania.

Luoghi: Mitla. Messico.

Luoghi: Mitla. Messico.
Messico, Oxaca 16° 55' N, 96° 18' O.


"Passarono allora per un villaggio che si chiama Mitla, dove trovarono alcuni degli edifici più belli che in qualunque altra parte della Nuova Spagna". (Toribio de Benavente).





Nata come piccolo villaggio attorno al 1000 a.C., in una zona che aveva visto insediamenti antichissimi, dopo la fine di Monte Alban (inizio dell'VIII secolo), Mitla divenne una delle città più importanti della regione dell'Oaxaca e vide un susseguirsi di insediamenti mixtechi e zapotechi, che potrebbero essere sia il risultato di campagne militari sia di movimenti migratori.
Nel 1464 fu conquistata dagli Aztechi, ma continuò ad essere abitata da una popolazione prevalentemente zapoteca. Il suo centro cerimoniale presenta cinque complessi monumentali che si caratterizzano per l'uso massiccio di mosaici, originariamente dipinti, utilizzati per decorare le pareti dei palazzi con motivi geometrici.
La popolazione viveva tra questi complessi e, soprattutto, a sud del piccolo fiume che attraversa la città.
Recentemente, attorno a Mitla sono stati individuati piccoli insediamenti destinati a rifornirla non solo di prodotti agricoli, ma anche di tessuti e pietre lavorate.
La funzione di protezione della città nei turbolenti tempi del Postclassico era affidata a una fortezza costruita su una collina vicina.
Gli Aztechi la chiamavano Mictlan (L'Inframondo, in questo caso: "Dove ci sono i morti").





La larga scalinata porta al Salone delle Colonne, così detto per sei grande colonne monolitiche che sostenevano il tetto di questra costruzione.
"C'era un tempio del demonio e albergo dei suoi ministri, molto bello da vedere, in particolare una sala come di rosoni. C'era in quegli edifici un'altra sala, cha aveva alcuni pilasti rotondi, ognuno di un solo pezzo, tanto grandi che due uomini abbracciando un pilastro appena si toccavano le punte delle dita". Toribio de Benavente.


Luoghi: Le leggende del Deserto Bianco dell'Egitto.
Luoghi: Xochicalco. Messico.

martedì 24 gennaio 2012

Africa. Luoghi dell'abitare: Dogon

Luoghi dell'abitare: Dogon.


"Visto dall'alto, il villaggio è l'immagine della casa dell'antenato, con le sue ottanta nicchie, e della grande coperta dei morti, con i suoi quadrati bianchi e neri". (M. Griaule).




Nel villaggio si possono distinguere diversi spazi, alcuni pubblici (mercato, piazza) e altri in vario modo riservati (i luoghi di riunione degli uomini, il luogo in cui i membri dell'associazione maschile awa custodiscono le maschere, le costruzioni per le donne mestruate ecc.).
Vi sono poi i siti degli altari, il cimitero, fucine, forni per la produzione di vasellame, il deposito dei rifiuti.
In linea di principio la collocazione di questi luoghi e costruzioni risponde a un principio antropomorfo che integra le parti di un'unità organica e si richiama al mito, così che la disposizione nello spazio rimanda anche agli eventi che sono succeduti nel tempo.
Il villaggio dovrebbe così estendersi da nord verso sud come il corpo di un uomo disteso sulla schiena: la casa del consiglio degli anziani (togu na) ne costituirebbe la testa, le case delle donne mestruate ne sarebbero le mani, le grandi case di famiglia (ginna) il petto e il ventre, mentre gli altari comunitari ne costituirebbero i piedi.
In realtà essendo il paesaggio dogon molto diversificato (da ovest verso est si passa dall'altipiano, alla falesia, alla pianura sabbiosa) la disposizione effettiva risente della conformazione del terreno e degli accidenti della storia, in rapporto ai quali il mito diventa una lettura retrospettiva tesa a stabilire un ordine coerente in quello che è successo.




Banani è una località formata da quattro insediamenti legati fra loro da un antenato.
La costruzione dei villaggi dogon sulla scarpata di Bandiagara è dovuta a ragioni difensive: vi erano rifugiati per sfuggire alle incursioni dei Mossi.
Con l'arrivo dei Francesi e la pacificazione, nuovi villaggi sono sorti sulla pianura.
Le abitazioni sono cinte da muri. Stanze e granai danno su un cortile centrale in cui si conservano attrezzi e suppellettili e dove si prepara il cibo.
Gli edifici hanno cucina e camera da letto al piano terra; da una scala di legno si accede al primo piano (dove ci sono altre camere o depositi) e alla terrazza dove si mette a seccare il raccolto.
Il numero di stanze e granai dipende dal numero delle mogli.



La casa degli uomini: Villaggio di Banani. Valle dei Dogon. Mali.


Il tetto, dell'altezza di diversi metri, è composto da strati di steli di miglio che isolano efficacemente l'edificio dai raggi del sole.
La deperibilità del materiale richiede il suo periodico rifacimento con il contributo di tutti gli abitanti del villaggio e l'aiuto volontario dei villaggi vicini.
Elemento caratterizzante di tutti i Togu na è l'altezza molto ridotta dello spazio interno, che costringe gli uomini a stare seduti.
Cosa che è spiegata dai Dogon in vario modo: come strumento di difesa dai cavalieri nemici che così non potevano penetrare nel riparo, come protezione dal sole e dal caldo, come dimensione propizia alla parola saggia: "ci si batte in piedi ma non si litiga mai seduti.







Video: Partendo con il suo fuoristrada da Milano e attraversando Francia, Spagna, Marocco, Sahara Occidentale, Mauritania, il nostro fotografo viaggiatore arriva sino alla Valle dei dogon in Mali.
Un mix di immagini, tra video e foto in bianco e nero, che ci raccontano lo splendore del Paese e dei suoi abitanti.
The best of Mali.








giovedì 19 gennaio 2012

Le Grandi Scoperte: Hiram Bingham. Machu Picchu. 1911.

Hiram Bingham. Machu Picchu. 1911.





Hiram Bingham riscopre Machu Picchu la città perduta degli Inca durante l'esplorazione di vecchie strade inca della zona, era alla ricerca dell' ultima capitale Inca, Vilcabamba.
Bingham compì parecchi altri viaggi ed eseguì scavi fino al 1915 e solo più tardi si rese conto dell'importanza della sua scoperta e si convinse che Machu Picchu era quella che lui chiamava Vilcabamba.
Nel 2008 una serie di documenti scoperti negli archivi americani e peruviani da alcuni studiosi internazionali, tra cui lo storico americano Paolo Greer, rivelano il tedesco Augusto Berns scoprì invece Machu Picchu nella seconda metà dell'800 e costituì una società per sfruttarne le ricchezze.

Berns scoprì la località nel 1867, 44 anni prima che l'esploratore americano Hiram Bingham la rivelasse al mondo occidentale. Greer e i suoi colleghi puntano ora a localizzare i tesori perduti, molti dei quali potrebbero essere finiti in collezioni private.
l Machu Picchu è un sito archeologico inca situato in Perù, nella valle dell'Urubamba, a circa 2.430 m.s.l.m. Il nome, deriva dai termini quechua, machu (vecchio) e pikchu (cima o montagna).

Fa parte dei Patrimoni dell'umanità stilati dall'UNESCO.




Nel 2003, più di 400mila persone hanno visitato le rovine e l'UNESCO ha espresso preoccupazione per i danni ambientali che un tale volume di turisti può arrecare al sito.
Le autorità peruviane, che ovviamente ricavano dei notevoli vantaggi economici dal turismo, sostengono che non ci siano problemi e che l'estremo isolamento della valle dell'Urubamba sia, da solo, sufficiente a limitare il flusso turistico.
Periodicamente viene proposta la costruzione di una funivia per raggiungere la città dal fondovalle, ma finora la proposta non è passata.
La località è oggi universalmente conosciuta sia per le sue imponenti ed originali rovine, sia per l'impressionante vista che si ha sulla sottostante valle dell'Urubamba circa 400 metri più in basso.
Nel 2007 Machu Picchu è stato eletto come una delle Sette meraviglie del mondo moderno.