sabato 31 maggio 2014

Sahara: TAssili N'Ajjer; 15 mila opere d'arte rupestre raccontano di un paleocontatto nel passato remoto del Sahara?


A sudest dell'Algeria, su un altopiano nel deserto del Sahara, si trovano un gran numero di incisioni e pitture rupestri: le più antiche risalgono a ben 12 mila anni fa. Realizzate dai nostri antenati raccoglitori-cacciatori, queste figure raccontano di un passato sconosciuto a noi moderni. Secondo la teoria del paleocontatto, gli antichi artisti hanno cercato di rappresentare antichi astronauti entrati in diretto contatto con loro.




Tassili n’Ajjer è un vasto altopiano situato nel deserto del Sahara, a sudest dell’Algeria, che copre una superficie di 72 mila km².
Situato in uno strano paesaggio lunare di grande interesse geologico, questo sito contiene la più grande e importante collezione di arte rupestre preistorica del mondo.
Fino ad oggi, sono state identifica 15 mila incisioni e disegni, nei quali sono registrati cambiamenti climatici, migrazioni animali e l’evoluzione della vita umana in un arco di tempo compreso tra i 12 mila e i 6 mila anni fa.
La densità eccezionale di dipinti e incisioni, e la presenza di numerose vestigia preistoriche, hanno guadagnato al sito di Tassili n’Ajjer la fama di “miglior museo a cielo aperto della preistoria del mondo”, tanto da essere stato inserito nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.
Scoperta nel 1933, la collezione artistica riguarda una serie di opere rupestre realizzate su pareti rocciose a vista e comprende immagini di animali selvaggi e domestici, esseri umani e disegni geometrici.
A fare scalpore è stata anche l’individuazione di misteriosi esseri mitici, come uomini con teste di animali, divinità o esseri spirituali. All’occhio dei visitatori moderni, molte figure sembrano avere una verta somiglianza con dispositivi quali caschi, antenne o armi tecnologiche, tanto che i sostenitori della Teoria degli Antichi Astronauti ritiene quello di Tassili n’Ajjer uno dei siti più importanti dove trovare tracce sicure del paleocontatto extraterrestre.
Chiaramente, ogni teoria in proposito entra nell’alveo delle speculazioni, dato che non esistono documenti scritti che possano chiarire la natura, l’identità e il significato degli esseri raffigurati nella roccia. Si tratta di informazioni perdute per sempre.
Quello che è certo è che l’arte di Tassili n’Ajjer copre cinque periodi distinti, ciascuno dei quali corrisponde ad una particolare fauna e può essere individuato grazie alle differenze stilistiche. Tuttavia, anche la precisa datazione sui vari periodi è argomento di dibattito tra gli studiosi, dato che a volte gli stili sembrano sovrapporsi. La cronologia proposta da Ancient Origins, come ammesso dai curatori del sito, non è detto che possa cambiare negli anni a venire.
Primo periodo: l’arte più antica appartiene a quello che è stato definito “periodo naturalista”, e si stima sia stata realizzata tra il 12000 e il 6000 a.C. Si caratterizza per la raffigurazione della fauna della savana, caratterizzata da una condizione ambientale più umida rispetto ad oggi. Si riconoscono elefanti, giraffe, ippopotami, rinoceronti e altri animali.
Secondo periodo: detto della “testa tonda” o “periodo arcaico”, compreso tra il 9500 e il 6000 a.C. Tale periodo è associato alla raffigurazione di enigmatiche figure, i Testa Tonda, che evocano probabili pratiche magico-religiose. In generale, i Testa Tonda sono raffigurati di profili e apparentemente fluttuanti nell’aria.
In una scena, le donne sono raffigurate con le mani alzate, come se cercassero la benedizione da una struttura enorme che torreggia sopra di loro. Fabrizio Mori, paleontolgo italiano, descriveva così la scena: “Si avverte in essi un senso di affettuosa sudditanza, senza paura del divino, di pura adorazione”. A questo periodo, i teorici degli Antichi Astronauti fanno coincidere l’ipotesi del paleocontatto.




Terzo periodo: classificato come “periodo pastorale” o “Bovidiano”, compreso tra il 7200 e il 3000 a.C. Si tratta del periodo più prolifico in termini di numero di dipinti, nei quali sono raffigurate scene di allevamenti bovini e di vita quotidiana. Il realismo estetico ne fanno tra gli esempi più noti di arte preistorica.
Quarto periodo: detto “del cavallo”; si fa risalire ad un’epoca compresa tra il 3200 e il 1000 a.C., comprendo la fine del Neolitico e corrispondente alla scomparsa di numerose specie animali, a seguito del progressivo inaridimento del clima al mutamento del cavallo.
In alcune scene sono rappresentanti cavalli che traiano carri guidati da aurighi disarmati, il che suggerisce che i carri non venissero utilizzati per combattere, ma forse per la caccia. Tuttavia, carri con ruote di legno non avrebbero potuto essere condotti agevolmente attraverso il territorio roccioso del Sahara. Anche in questo caso, ci troviamo davanti ad un enigma.
Quinto periodo: l’ultima parte dei dipinti corrisponde al “Periodo del Cammello”, collocato tra il 2000 e il 1000 a.C. Questo periodo coincide con la comparsa del deserto iper-arido e con la comparsa del dromedario.
Nonostante il grande numero di opere trovate dai ricercatori, sebbene rappresentino uno squarcio sulla vita degli antichi popoli del Sahara, molte domande rimangono ancora aperte su chi abbia realizzato le incisioni e i dipinti di Tassili n’Ajjer e cosa rappresentino.


“Dama di Elchè", oppure Dama di Atlantide?


Esiste un controverso artefatto le cui origini restano oscure. È quella che viene definita la “Dama di Elche”, dal nome del paese spagnolo dove è stata ritrovata. Nonostante il dibattito tra gli studiosi, forse la statua rimarrà per sempre un pezzo di arte antica dalle origini e datazione sconosciute.




Il 4 agosto del 1897, durante alcuni lavori in una azienda agricola di L’Alcúdia, a circa due chilometri a sud di Elche, Valencia, Spagna, un giovane operaio di 14 anni, Manuel Campello Esclapez, con la sua vanga urtò qualcosa di duro nel terreno.
Il giovane chiamò altri operai e cominciarono a scavare freneticamente, fino a quando non portarono alla luce un meraviglioso busto raffigurante una dama dell’antichità.
Questa versione “popolare” della storia differisce dal rapporto ufficiale redatto da Pedro Ibarra Ruiz, un funzionario locale, secondo il quale lo scopritore è stato un certo Antonio Maciá.
Il busto, ribattezzato come “La Dama di Elche”, misura 56 cm di altezza e sul dorso presenta una cavità sferica di circa 18 cm di diametro e profonda 16 cm, probabilmente utilizzata per conservarvi reliquie, oggetti sacri o le ceneri di un defunto.
Originariamente, il busto era completamente colorato, con vernici policrome. La donna raffigurata indossa una tunica di colore rosso, sulla quale poggia un ampio mantello marrone con rifiniture in rosso. Le labbra della donna conservano ancora pochi pigmenti rossi.
La Signora di Elche è generalmente creduta essere un pezzo di scultura iberica del 4° secolo a.C., anche se l’artigianalità suggerisce forti influenze ellenistiche. Le caratteristiche del viso, infatti, rivelano una forte influenza greca, in contrasto con l’abbigliamento completamente nativo.
Secondo l’Enciclopedia delle Religioni, la Signora di Elche avrebbe una connessione diretta con Tanit, una dea di Cartagine adorata dai punici-iberici. Tanit era una delle consorti di Baal, quello che secondo i testi di Ras Shamra era padre degli anni e dell’uomo, ed era considerato il progenitore degli Dei.
Il simbolo di Tanit era la piramide tronca portante una barra rettangolare sulla sommità. Su questa barra appaiono il sole e la luna crescente.
Tanit era la dea che deteneva il posto più importante a Cartagine e significativamente, per una città prettamente commerciale, la sua effigie compariva nella maggior parte delle monete della città punica.
Lo stesso fenomeno è accaduto con la scoperta della Signora di Elche, avviando un interesse popolare per la cultura iberica pre-romana, tanto da apparire nel 1948 sulla banconota spagnola da un peseta. Secondo alcuni, la tradizione continuerebbe con la banconota americana da un dollaro, dato che il simbolo della “piramide con l’occhio che tutto vede” avrebbe una matrice comune con il simbolo di Tanit.
Sebbene il manufatto sia datato al 4° secolo a.C., alcuni ricercatori hanno ammesso che la statua potrebbe raffigurare una sacerdotessa, una nobildonna o forse una regina sconosciuta, comunque una creazione artistica della quale non si conoscono le origini. Anche la datazione è oggetto di speculazione: nessuno sa per certo quanto sia antica.
Alcuni, spingendosi oltre le possibili verifiche storiche e archeologiche, hanno ipotizzato che le origini del busto possano avere connessioni con tradizioni artistiche riconducibile al continente perduto di Atlantide.
La dama è stata trovata vicino Elche, in un tumulo che gli arabi chiamavano Alcudia (collina) e che in tempi antichi era circondata da un fiume. Sappiamo, inoltre, che l’insediamento in epoca ellenica era chiamato Helike (poi Illici dai romani), diventando “Elche” per gli arabi.
È possibile che il tumulo di Elche un tempo fosse una città appartenente ad un colonia atlantidea? Il simbolo solare associato alla dea Tanit ci ricorda che il culto del Sole era la religione dominante di Atlantide, e più tardi ereditato da tutte le culture antiche del mondo, dagli Egizi agli Inca.
Inoltre, il sereno volto quasi divino di questa dama di pietra è avvolto in un ornamento insolito, con due rotoli ai lati del viso stranamente molto simili alle antiche decorazioni utilizzate dalle giovani donne Hopi non sposate.
Si tratta solo di suggestioni, ma quello che è certo è che l’enigmatico volto della Dama di Elche è l’icona del mistero che la circonda. Molto probabilmente, rimarrà per sempre un reperto controverso dell’arte antica dalle origini e datazione oscure.



giovedì 22 maggio 2014

Antichi manufatti cinesi rivelano un composto estremamente raro di ossido di ferro.


Uno studio pubblicato sulla rivista Nature rende noti i risultati delle analisi eseguite sul rivestimento insolito di alcune antiche tazze cinesi da tè, note come Ciotole Jian, rivelando che si tratta di una forma estremamente rara di ossido di ferro, molto difficile da ottenere, anche con le tecniche moderne.




Le Ciotole Jian sono tazze da tè cinesi prodotte sotto la dinastia Song (960-1279), fino all’inizio del 14° secolo, principalmente per uso domestico.
Le ciotole sono in ceramica, abbastanza uniformi nella modellatura, generalmente smaltate con smalto bluastro, nero o marrone.
Di tanto in tanto, capita di osservare alcune ciotole con una superficie iridescente, la quale produce giochi di luce multicolore.
Come riporta un articolo comparso su livescience.com, un nuovo studio si è occupato di analizzare l’insolito rivestimento delle antiche tazze cinesi, scoprendo che si tratta di manufatti molto più sofisticati di quanto si fosse inizialmente creduto.
Un team di ricercatori guidato da Catherine Dejoie del Lawrence Berkeley National Lab, California, ha preso in esame la microstruttura atomica e la composizione chimica del rivestimento esterno della ceramica, scoprendo che si tratta di un tipo di ossido di ferro estremamente raro e difficile da ottenere anche con le attrezzature tecnologiche oggi a disposizione.
Il segreto è nella stupefacente tecnica di lavorazione. Le ciotole venivano realizzate con un’argilla ricca di ferro e rivestite con una miscela di argilla, calcare e cenere di legno. Poi erano cotte a temperature estremamente elevate, causando l’indurimento dell’argilla e lo scioglimento del ferro all’interno.
La dilatazione dell’ossigeno all’interno dell’argilla, provocato dall’intenso calore, provocava la fuoriuscita degli ioni di ferro fuso, ricoprendo così l’intera superficie della ciotola. Una volta raffreddata, la glassa attorno alla ciotola si cristallizzava nel caratteristico ossido di ferro, denominato “epsilon”.
Questo tipo di ossido di ferro è molto apprezzato per la sua magnetizzazione persistente, elevata resistenza alla corrosione ed è completamente atossico. Tuttavia, è difficile da ottenere con le attrezzature moderne. “Il prossimo passo sarà capire come sia possibile riprodurre la qualità dell’ossido di ferro delle ciotole Jian con le tecniche moderne”, annuncia la Dejoie, il cui studio è stato pubblicato sulla rivista Nature.
“Quello che è sorprendente è che si sono riscontrate condizioni di sintesi perfette per l’ossido di ferro epsilon in manufatti prodotti 1000 anni fa”, continua la Dejoie. Questo tipo di ossido, infatti, è stato pienamente concepito solo negli ultimi dieci anni. Gli scienziati non sono mai stati in grado di produrlo in laboratorio nella sua forma più pura. Con le moderne tecniche si è riusciti solo a creare piccoli cristalli contaminati con ematite.
La magnetizzazione persistente di questo ossido di ferro, la sua persistenza e atossicità, lo rendono un materiale economico e sicuro per una migliore archiviazione permanenti di dati nei dispositivi elettronici. Bisogna solo riuscire a riprodurre una tecnica utilizzata dai nostri antenati orientali circa un millennio fa.
Attualmente, le collezioni Jian possono essere osservate in musei come le gallerie Smithsonian Freer e Sackler, Washington, e anche al Metropolitan Museum of Art di New York. In passato, le ciotole furono molto apprezzate anche in Giappone, dove venivano utilizzate nelle cerimonie del tè e conosciute con il nome Yohen Tenmoku.



Ecologia: L'energia del vento basterebbe a soddisfare il fabbisogno di 100 terre.


L'energia eolica ricavata dal vento (circa 2.200 terawatt) sarebbe più che ampiamente sufficiente a coprire tutto il fabbisogno energetico del mondo ai livelli attuali che assommano a 18 terawatt.



Si tratta di uno studio teorico americano pubblicato su Nature Climate Change che intende stabilire il limite massimo dell’energia ricavabile dal vento e analizzare le conseguenze climatiche globali dell’impiego massiccio di turbine eoliche.
Fermo restando che non è possibile coprire il pianeta di piloni per lo sfruttamento del vento, gli stessi autori indicano però che la crescita dell’energia eolica dipende solo da una volontà politica ed economica e non certo da limiti geofisici.
Infatti l’energia massima potenzialmente ricavabile dal vento sarebbe di 2.200 TW, di cui 400 TW a terra con turbine montate su piloni alti fino a 100 metri come avviene oggi nei campi eolici off-shore, e ben 1.800 TW ricavabili con turbine e aquiloni eolici sospesi in aria, come già molti progetti prevedono.
Solo per gli impianti a terra si tratta di oltre venti volte il fabbisogno mondiale attuale, che sale a 100 volte nel caso delle turbine sospese. Ben oltre quindi di quanto consuma il mondo oggi.
Un ipotetico massiccio impiego di impianti eolici però, dicono gli autori dello studio, non è senza conseguenze climatiche, anche importanti. Infatti gli impianti eolici, «estraendo» l’energia dal vento, fanno diminuire l’intensità dei venti stessi alterando in parte la circolazione atmosferica e il regime delle piogge.
Se l’energia eolica complessiva arrivasse a un 428 TW installati in modo uniforme, al suolo si produrrebbe un’aumento massimo della temperatura di 1 grado al Polo Sud e alla latitudine di 25° Sud (+0,1 °C medi a livello globale) e nell’atmosfera a una diminuzione della stessa ampiezza.
Più intenso l’effetto sulle precipitazioni al suolo: con un aumento delle piogge di quasi il 20% a 20° Sud e una diminuzione del 20% a 10° Nord, la diminuzione media globale sarebbe intorno all’uno per cento.
Ai livelli di energia richiesti oggi, però, le conseguenze meteorologiche sarebbero modeste o trascurabili. Ma ovviamente si tratta di uno studio teorico.


Mondo Sommerso: Una misteriosa malattia spinge le stelle marine ad automutilarsi fino alla morte.


Una sconcertante malattia sta affliggendo l'organismo marino conosciuto come “Stella Marina”. I bracci di queste straordinarie creature iniziano a girare su se stessi, poi a strisciare via dal corpo centrale, fino a strapparsi da esso. A peggiorare le cose, dai fori risultanti le viscere si rovesciano all'esterno, uccidendo le stelle marine nel giro di 24 ore. Sconcerto degli scienziati che non avevano mai visto niente di simile.




I primi a rendersi conto della misteriosa condizione che affligge le stelle marine sono stati i sommozzatori.
Il singolare fenomeno si sta manifestando al largo delle coste dello stato di Washington, maaltre stelle marine morte sono state avvistate a nord, fino in Alaska, e nel sud della California.
La malattie impedisce alle creature di generare nuove braccia, come capita alle stelle marine in salute. Secondo quanto riportato da PBS News, gli organismi smettono di vivere entro le 24 ore.
Il numero di morti è impressionante: solo nella costa occidentale degli Stati Uniti è stata stimata la decimazione di milioni di esemplari. I dati preoccupano i biologi, dato che queste creature sono fondamentali per l’ecosistema marino.
Inizialmente, quando è stata osservata la prima volta nel 2013, la malattia sembrava interessare una sola specie (la stella marina girasole). Invece, nel giro di pochi mesi, la Sindrome da Deperimento della Stella Marina si è diffusa in altre 12 specie.
La condizione interessa diversi tipi di stella marina, da quelle selvatiche lungo la costa a quelle nate in cattività, come spiega Jonathan Sleeman, direttore del National Wildlife Health Centre Geological Survey degli Stati Uniti.
“Le due specie maggiormente interessate sembrano essere la Pisaster ochraceus (stella di mare viola) e la Helianthoides Pycnopodia (stella di mare girasole)”, ha scritto Sleeman in un comunicato. La stella girasole è considerata tra le più grandi di tutte le specie e può raggiungere le dimensioni di un metro di diametro.
Il sintomo della malattia più comunemente osservato è la comparsa di lesioni bianche sulle braccia della stella marina. Le lesioni si diffondono rapidamente, con la conseguente perdita del braccio. L’infezione consuma l’intero corpo della creatura, fino a lacerarlo completamente.
ntere popolazioni sono state spazzate via al largo dello stato di Washington, delle coste del Canada e lungo la costa della California. Si è stimato un tasso di mortalità vicino al 95%. Un sommozzatore ha riferito che la scena osservata sul fondale marino era simile a quella di un film horror: c’erano corpi ovunque!
Al momento, gli scienziati che studiano da decenni l’ecosistema locale non sono ancora riusciti ad identificare la causa della malattia. “Quello che pensiamo stia probabilmente accadendo è che ci sia un agente patogeno, come un virus o un parassita, che sta infettando le stelle marine, compromettendo il loro sistema immunitario”, ha detto Pete Raimondi, presidente del dipartimento di ecologia e biologia evolutiva, presso l’Università della California, Santa Cruz.
Sebbene siano in molti a ritenere che la causa sia determinata da un agente patogeno, alcuni scienziati hanno ipotizzato che il fenomeno possa dipendere della progressiva acidificazione degli oceani, o persino causato dal cambiamento climatico in corso.
Casi precedenti sono stati associati all’aumento della temperature delle acque, dato che le stelle marine preferiscono condizioni più fresche. Ma la maggior parte degli scienziati crede che questo caso sia differente dai precedenti.
“Le stelle di mare sono importanti perché giocano un ruolo chiave nell’ecosistema della West Coast”, ha spiegato Raimondi. “Le stelle di mare si nutrono di cozze, molluschi e altri animali marini più piccoli. La popolazione delle cozze, ad esempio, potrebbe aumentare in modo drammatico alterando in modo significativo conformazione rocciosa della zona”.
Sebbene siano predatori, le stelle marine, a loro volta, costituiscono il cibo di numerosi uccelli, come i gabbiani, e qualche volta delle lontre marine.
Nel tentativo di scoprire cosa stia causando le morti di massa, gli scienziati stanno raccogliendo segnalazioni da parte del pubblico e analizzando diversi campioni di laboratorio al fine di ottenere il sequenziamento genetico delle creature e capire se si tratti di una tossina o di un’infezione. I cittadini sono incoraggiati a segnalare eventuali avvistamenti di stelle marine morte e la loro esatta posizione sui siti dei social media, utilizzando #SickStarfish.



Una reliquia della Siria di 9 mila anni scolpita con volti realistici.


Nei pressi di una antico cimitero siriano, risalente a circa 9 mila anni fa, è stato trovato un enigmatico manufatto in una fossa comune con circa 30 persone sepolte senza testa. Secondo i ricercatori, potrebbe trattarsi di un antico rituale di sepoltura: i volti realistici scolpiti nell'osso potrebbero rappresentare la presenza di esseri soprannaturali.



Un gruppo di archeologi del Centre National de la Recherche Scientifique in Francia ha portato alla luce un oggetto sacro di 9000 mila anni fa, scolpito con due volti incredibilmente realistici.
Il manufatto è stato scoperto nei pressi di un cimitero nel Sud della Siria, nel quale sono stati trovati i corpi di 30 persone decapitate.
Gli esperti ritengono che potrebbe trattarsi di un antico rituale sconosciuto destinato a invocare la presenza di “esseri soprannaturali”. I ricercatori ammettono un certo sconcerto causato dal ritrovamento.
“Si tratta di un ritrovamento molto insolito”, spiega a LiveScience l’archeologo Frank Braemer a capo del gruppo. “La reliquia, probabilmente utilizzata in un qualche rito funebre sconosciuto, è una delle poche rappresentazioni di volti umani in questo periodo e in questo luogo”.
L’oggetto è stato trovato nel corso di una campagna di scavi eseguita tra il 2007 e il 2009 in un sito nel sud della Siria chiamato Dì Qarassa, dove i detriti umani della vita quotidiana hanno lentamente innalzato una collinetta artificiale nel corso dei millenni.
Gli indizi archeologi suggeriscono che gli antichi abitanti del sito facevano parte dei primi agricoltori comparsi sul pianeta, alimentandosi come il farro, l’orzo, ceci e lenticchie. Inoltre, praticavano sia l’allevamento che la caccia.
L’innovazione artistica che emerge dalla tavoletta di osso potrebbe essere legata al desiderio emergente di creare rappresentazioni materiali dell’identità e della personalità dei cari defunti. La prova sarebbe nel fatto che gli antichi prelevassero il teschio dei morti per esporli negli ambienti di vita. Comunque, lo scopo reale della reliquia e il simbolismo rimangono un mistero.
Gli archeologi hanno trovato reperti simili anche a Gerico, Israele, sempre risalenti a circa 9 mila anni fa. Lì, i crani degli antenati venivano ricoperti di gesso e dipinti con i tratti del viso e poi esposti negli spazi abitativi.
Una possibilità è che si trattasse di una forma di culto degli antenati, in cui i volti verosimiglianti rappresentavano la presenza viva e reale di esseri soprannaturali in forma umanizzata. Tuttavia, qualche ricercatori suggerisce che le teste potevano appartenere anche a nemici sconfitti, esposte poi nelle abitazioni come trofei.


mercoledì 21 maggio 2014

La croce egizia "Ankh" in un tempo costruito dagli Aztechi in Messico.


Esiste un antico e misterioso tempio azteco le cui rovine sfidano la normale comprensione della storia dei popoli antichi. Il sito messicano, infatti, contiene una struttura che presenta una somiglianza strana e sorprendente con la croce “ankh”, notoriamente uno degli emblemi fondamentali della cultura egizia.




L’ankh (☥), conosciuto anche come chiave della vita e croce ansata, è un antico simbolo sacro egizio.
Il significato originale di questo simbolo nella cultura egizia rimane un mistero per gli egittologi, e le teorie proposte sulle origini dell’ankh sono molte ed in contraddizione fra loro.
Certamente, si tratta di un simbolo legato alla divinità. Nell’iconografia egizia, infatti gli dèi sono spesso raffigurati con un ankh in mano, o portato al gomito, oppure sul petto.
Tuttavia, l’ankh potrebbe essere un simbolo non solo importante per gli l’antico Egitto, ma anche per altre culture, molto distanti nello spazio e nel tempo (per quanto ne sappiamo) da quella egizia.
Tra le rovine di un antico e misterioso tempio azteco in Messico, denominato Calixtlahuaca , insiste una curiosa struttura dalla forma sorprendentemente somigliante a quella della croce egizia ankh. La costruzione risulta perfettamente allineata ai resti di due piramidi di pietra simili a quelle egiziane.
Originariamente conosciuto come “Matlatzinco” (città dei Matlatzinca ), questo insediamento urbano azteco è parte di quello che fu una potente capitale da cui i re controllavano un ampio territorio nella Valle di Toluca.
Chiaramente, gli studiosi convenzionali escludono qualsiasi connessione tra la cultura Azteca e quella Egizia, dal momento che si sono evolute sui lati opposti dell’Oceano Atlantico e non possono essere entrate in contatto. Eppure, stranamente, il significato dell’ankh azteco sembra parallelo al significato che sta dietro l’ankh egizio.
Le culture dell’antico Egitto e quelle dell’America precolombiana mostrano incredibili parallelismi, sebbene si siano sviluppate sui lati opposti dell’Oceano Atlantico. Calixtlahuaca sembra confermare la sconcertante similitudine tra queste due grandi civiltà del passato.



Il sito di Calixtlahuaca

Calixtlahuaca (in lingua nahuatl “cali” significa “casa”, e “ixtlahuatl” significa “prateria”, quindi la traduzione sarebbe “casa nella prateria”) è un sito archeologico del periodo postclassico mesoamericano, situato nei pressi dell’attuale città di Toluca, Messico.
Originariamente conosciuto come “Matlatzinco” (città dei Matlatzinca ), questo insediamento urbano azteco fu una potente capitale da cui i re controllavano un ampio territorio nella Valle di Toluca.
Si ritiene che i primi coloni di questa regione fossero nativi nomadi che utilizzavano il sito solo stagionalmente. In seguito, intorno al 200 a.C., i Matlatzinca giunsero è fondarono un piccolo insediamento; successivamente ricevettero l’influenza della cultura tolteca e, infine, furono dominati dagli Aztechi nel 1476 d.C., i quali ribattezzarono la città con il dome di Calixtlahuaca.
Il sito comprende due strutture importanti: il Tempio di Quetzalcoatl e l’altare a croce “egizia” detto Tzompantli.
Il Tempio di Quetzalcoatl era probabilmente dedicato al dio Ehēcatl, dato che gli edifici circolari del Centro America precolombiano sono generalmente legati a questa divinità. Ehēcatl, secondo la mitologia azteca, era il dio del vento, una delle sembianze di Quetzalcoatl, il Serpente Piumato.
Dal momento che il vento soffia in tutte le direzioni, il tempio di Ehēcatl ha forma circolare per ridurre la resistenza dell’aria. Sovente è raffigurato con due maschere sporgenti attraverso le quali soffia il vento. Si innamorò di una umana, di nome Mayahuel e donò all’umanità la capacità di amare, in modo che lei potesse ricambiare la sua passione.
L’altra strutture, l’altare Tzompantli, si trova sul lato nord della piazza. La forma a croce ankh è l’aspetto che maggiormente sconcerta i ricercatori, i quali non sono in grado di fornire risposte definitive sul perchè di tale forma architettonica. Originariamente, i lati dell’altare erano ricoperti di teschi scolpiti nella pietra.

Così distanti, così simili…

Calixtlahuaca aggiunge un nuovo elemento alla teoria secondo la quale tutte le civiltà megalitiche del passato, mesopotamica, egizia, mesoamerica e asiatica, discenderebbero tutte da una grande precedente cultura globale andata distrutta in un cataclisma di proporzioni catastrofiche.
Come riporta Richard Cassaro nell’articolo proposto sul suo blog, certamente, il parallelismo più sconcertante riguarda la civiltà dell’Antico Egitto e quella dell’America precolombiana: entrambe le culture costruirono piramidi; entrambe utilizzarono il simbolismo solare ed entrambe credevano nella vita dopo la morte, preparando i loro morti per il viaggio sacro verso l’aldilà tramite una cerimonia rituale molto elaborata.
Calixtlahuaca, inoltre, rivela che entrambe le culture utilizzavano simboli molto simili, come la croca ankh, per gli stessi scopi : indicare le forze e le interazioni tra la vita fisica (valutata come temporanea) e la vita spirituale (considerata eterna).
La visione contemporanea prevalente tra gli studiosi è che i popoli antichi a indigeni di tutto il mondo erano perfettamente in grado di sviluppare culture complesse indipendentemente da una qualsiasi influenza o ispirazione esterna. Eventuali visioni contrarie sono generalmente respinte ed etichettate come fantasiose, ridicole e imbarazzanti.
Eppure, prove di una storia diversa saltano fuori continuamente, in maniera assillante, ad infastidire le teorie lineari e coerenti sviluppate dagli studiosi “ortodossi”. La questione è che quelle “convenzionali” sono e rimangono teorie, mentre le prove archeologiche stanno lì e provocano, invitando a considerare un’altra storia.




venerdì 9 maggio 2014

Natura: Una misteriosa struttura biologica compare nell'Amazzonia Peruviana, nessuno sa cosa sia.


Cosa diavolo è questa strana struttura a torre, circondata da piccoli steccati bianchi?
 I blogger di Wired hanno chiesto in giro, ma nessuno lo sa. Nemmeno gli scienziati!.




Una serie di bizzarre, quanto enigmatiche, strutture biologiche è stata scoperta nella foresta amazzonica del Perù, formazioni molto simili a piccole guglie circondate da staccionate.
La prima delle strutture è stata avvistata pochi mesi fa, lo scorso 7 giugno, da Troy Alexander, uno studente laureato al Georgia Tech, il quale si è accorto di una bizzarra formazione che poggiava sul fondo di un telone blu, vicino al Centro di Ricerche Tambopata, nel Perù sudorientale. Incuriosito, ha cominciato ad esplorare l’area circostante, scoprendo altre tre strutture sui tronchi degli alberi della foresta.
Secondo la descrizione offerta da Wired, le piccole recinzioni misurano circa 2 centimetri di diametro. Dopo la scoperta, Alexander ha pubblicato le immagini su diversi siti web, alla ricerca di qualcuno che fosse in grado di spiegare l’origine dell’oggetto.
Ad oggi, ancora nessuno è stato in grado di fornire una spiegazione. Anche Phil Torres, un biologo di Tambopata, ha postato un link su Twitter con le immagini, altrettanto sconcertato dall’enigmatico recinto.
“Non ho idea di cosa siano fatte, o di cosa possano essere”, ha ammesso William Eberhard, entomologo allo Smithsonian Tropical Research Institute. Norm Platnick, curatore emerito del Museo Americano di Storia Naturale, ha aggiunto: “Ho visto la foto, ma non ho idea di quale animale possa trattarsi”.
“Io non so cosa sia”, ha detto Linda Rayor, aracnologa presso la Cornell University. “La mia ipotesi è che possa essere opera di un lepidottero (farfalla o falena), ma non so davvero”.
Partendo dall’ipotesi che possa trattarsi di una struttura creata da un insetto di questa famiglia, i blogger di Wired hanno chiesto informazioni a Todd Gillian, un entomologo della Colorado State University specializzato in questi organismi e presidente della società Lepidopterists.
“Non ne ho idea”, ha detto lapidario Gillian. “Alcune falene costruiscono un recinto attorno alle uova per proteggerle. Ma una struttura del genere è davvero inaudita, non ho mai visto niente di simile prima d’ora”.
Conclusione: la struttura e l’organismo che l’ha realizzata rimangono un mistero. 
Se qualcuno avesse un’idea in proposito, o conoscesse qualcuno in grado di fornire spiegazioni, potrebbe contribuire alla scoperta di un nuovo organismo, se di organismo si tratta…


Mondo Sommerso: Scoperta una barca dall'età del bronzo al largo delle coste della Croazia.


Su segnalazione di alcuni pescatori croati di Zambratija, un team di archeologi subacquei ha scoperto un incredibile imbarcazione sommersa nel Mar Mediterraneo, risalente all'età del bronzo, circa 3200 anni fa. I ricercatori a stento riescono a contenere la gioia e lo stupore.




“Questa è una scoperta straordinaria”. Questa è stata la prima dichiarazione di Giulia Boetto, archeologo marino presso il Centro Nazionale per la Ricerca Scientifica (CNRS) in Francia, quando ha annunciato l’incredibile scoperta di un relitto sommerso a Zambratija, Croazia.
L’imbarcazione in legno risale almeno al 1200 a.C. A farne una scoperta unica è l’estrema rarità di reperti simili dell’età del bronzo.
Il relito fu individuato per la prima volta nel 2008, a soli 600 metri dalla spiaggia e a soli due metri sotto la superficie del mare. Tuttavia, i pescatori credettero che si trattasse di un naufragio recente.
Giulia Boetto, Ida Koncani (del Museo Archeologico dell’Istria) e suo marito Marko Uhac (del Ministero della Cultura), hanno voluto osservare il relitto ipotizzando che si trattasse di un reperto più antico. I primi sopralluoghi rivelarono che l’imbarcazione era certamente di epoca preromana.
Il team di ricerca è tornato sul luogo nel 2011 per prelevare campioni e condurre ulteriori analisi più approfondite. I risultati della datazione al radiocarbonio, infatti, hanno poi rivelato che la barca risaliva ad un periodo molto anteriore al 12° secolo a.C.
L’imbarcazione misura circa 7 metri di lunghezza e 2,5 metri di larghezza. Si tratta di una barca “cucita”, cioè composta di vari pannelli di legno cuciti insieme, una tecnologia di costruzione praticata nell’antico Adriatico fino all’epoca romana, ma anche in altre parti del mondo, prima dello sviluppo di elementi metallici di fissaggio.
“E’ estremamente raro trovare un relitto dell’età dl bronzo”, spiega la Boetto a point.fr. “Qualcuno potrebbe obiettare che abbiamo trovato imbarcazioni antiche anche di 6 mila anni. Questo è vero. Ma si tratta di canoe ricavate da tronchi d’albero e utilizzate nei fiumi. Qui abbiamo a che fare com una realizzazione molto particolare, tipica delle popolazioni del Mare Adriatico: una barca cucita”.
I resti sommersi sono incredibilmente ben conservati, con le cuciture ancora ben visibili. I diversi tipi di legno utilizzati per costruirla sono stati identificati come olmo, ontano e abete. La Moetto spera di poter realizzare un modello computerizzato 3D dell’imbarcazione e, successivamente, la ricostruzione completa in un modello reale.
Per ora la barca rimane sott’acqua, anche se è in considerazione l’idea di prelevarla e spostare il relitto in un museo a Pula, una volta condotte le ultime analisi sui reperti.



Scoperta quella che potrebbe essere la tomba di Alessandro Magno.


Sul luogo della sepoltura di Alessandro Magno girano diverse leggende. La più accreditata vuole che il suo corpo sia stato sepolto in un sarcofago d'oro pieno di miele.



Un comunicato diramato dal Ministero della Cultura della Grecia ha entusiasmato i ricercatori di tutto il mondo. Si legge, infatti, che un team di archeologici, guidato da Aikaterini Peristeri, ha portato alla luce una gigantesca tomba in marmo del 4° secolo a.C.
Gli esperti ritengono che l’antico tumulo, degno di un imperatore, possa contenere i resti di Alessandro Magno, o comunque di un altro importante re macedone. La struttura è stata rinvenuta in un sito archeologico nei pressi dell’antica Anfipoli, a circa 600 chilometri a nord di Atene.
Le dimensioni del tumulo sono davvero notevoli: 500 metri di lunghezza, per 3 metri di altezza. E’ così grande che gli archeologi sono convinti che debba conservare le spoglie di qualcuno di immensa importanza.
La notizia ha catturato l’immaginazione del pubblico greco. Sono in molti, infatti, a sperare che il sito possa risolvere il mistero della sepoltura di Alessandro Magno, che attualmente si pensa essere sepolto in Egitto. Tuttavia, il Ministero della Cultura ha messo in guardia contro conclusioni troppo affrettate.
Ma le cautele del Ministero non smorzano l’entusiasmo di Peristeri, l’archeologa responsabile del sito: “Ci aspettiamo di trovare il corpo di un individuo significativo”. L’ipotesi che la tomba possa contenere i resti di Alessandro Magno si basa sulla datazione della parete di marmo portata alla luce che, secondo le prime analisi, risale alla fine del 4° secolo a.C.
Alessandro III, più conosciuto come Alessandro Magno, nacque a Pella nel 356 a.C. Fu allievo di Aristotele fino all’età di 16 anni. Divenne re di Macedonia nel 336 a.C. e in dieci anni riuscì a creare uno dei più grandi imperi del mondo antico, i cui confini si estendevano dal Mar Ionio fino all’Himalaya.
Imbattuto in tutte le sue battaglie, Alessandro III è considerato uno dei comandanti di maggior successo della storia. Ha conquistato perfino l’intero impero Persiano. Ma essendo un guerriero ambizioso, cercò di raggiungere i ‘confini del mondo’, invadendo l’India nel 326 a.C., ma poi decise di tornare indietro.
Il suo nome fu celebrato con la fondazione di almeno 20 città che portavano il suo nome, tra cui Alessandria d’Egitto. Si deve alle sue conquiste la diffusione della cultura della Grecia orientale nel resto del mondo.
Gli storici pensano che Alessandro Magno sia morto di febbre a Babilonia, nel 323 a.C., a soli 32 anni, prima di poter portare a compimento il suo piano d’invasione dell’Arabia. Sul luogo della sua sepoltura girano diverse leggende.
La più accreditata vuole che il suo corpo sia stato sepolto in un sarcofago d’oro pieno di miele. Fu prima portato a Menfi e poi ad Alessandria, dove vi rimase fino alla tarda antichità.



Brein Foerster e le camere segrete sotto la piana di Giza.


Molti studiosi hanno ipotizzato l'esistenza di una fitta rete di tunnel che percorre l'intero sottosuolo della Piana di Giza, collegando alcune camere sotterranee, la più importante delle quali sarebbe collocata sotto le zampe anteriori della Sfinge.






Sono molti gli studiosi “alternativi” convinti dell’esistenza di una serie di camere segrete localizzate sotto la Piana di Giza e collegate fra loro da una fitta rete di tunnel.
Tra di essi, certamente tra i più conosciuti c’è Brien Foerster, ricercatore e archeologo indipendente e curatore del visitatissimo sito hiddenincatours.com.
In una recente spedizione in Egitto, di cui Foerster ne fa un resoconto sul suo sito web, l’archeologo ha cominciato una ricerca più approfondita di indizi che possano confermare l’ipotesi dei tunnel e delle camere.
In una delle foto pubblicate da Foerster è possibile vedere una pietra che sembra coprire l’entrata posteriore nel sottosuolo della Sfinge.
Viene poi mostrato un altro ingresso, uno dei tanti nella piana di Giza, che fornisce l’ingresso all’antico sistema di pozzi e gallerie. Secondo l’autore Stephen Mehler, il sistema di tunnel è molto più vasto dell’area della zona di Giza, estendendosi almeno da Abu Sir, a nord, a Dashur (a sud).


Molti esploratori sono convinti che la camera più importante si trovi sotto le zampe anteriori della Sfinge. Questa convinzione è stata alimentata anche dalle presunte rivelazioni di Edgar Cayce, un chiaroveggente morto nel 1945, secondo le quali le piramidi sono state realizzate da una civiltà antica discendente diretta di Atlantide esistita nel 10 mila a.C.
Oltre a costruire la Grande Piramide, questo antico popolo avrebbe anche scavato una camera sotterranea chiamata “The Hall of Record” (La Stanza dei Registri), dove sarebbero custoditi documenti nei quali è riportata la storia perduta del genere umano.
«I documenti contengono le memorie di Atlantide fin dall’inizio, dal momento in cui lo Spirito ha preso forma e ha cominciato a prendere forma in quella terra», dice Cayce in una sua rivelazione. «Le registrazioni conterrebbero la storia della prima distruzione della civiltà atlantidea, l’esodo dei suoi abitanti verso altre terre e la distruzione finale del continente e della civiltà di Atlantide. Inoltre, ci sarebbe una dettagliata descrizione della costruzione della Grande Piramide, così come una profezia sull’identità e la provenienza di colui che troverà La Stanza dei Registri».
Tuttavia, Brian Foster è convinto che i possibili alloggiamenti al di sotto della Sfinge non sia la Stanza dei Registri, ma molto più probabilmente sia un sistema idrico sotterraneo costruito da una civiltà precedente a quella Egizia, in possesso di un’elevata conoscenza tecnologica.



Il contributo di Andrew Collins

Dunque, sotto la Piana di Giza ci sarebbe una serie di tunnel e ambienti ancora inesplorati, come confermato da esperienze di prima mano, tra le quali va segnalata quella di Andrew Collins, scrittore ed esploratore britannico.
Nell’agosto del 2008, Collins annunciò di aver scoperto l’ingresso di un sistema di grotte inesplorate, posizionato in una tomba misteriosa collocata a diverse centinaia di metri ad ovest della Grande Piramide.
“La Stanza dei Registri non è mai stata trovata. Forse è ancora lì, da qualche parte, in attesa di essere scoperta”, commenta Collins. “Io credo che le grotte che abbiamo individuato facciano parte di un complesso molto più grande che si estende sotto l’intera piana di Giza.
Secondo Collins, la rete di grotte è di origine naturale e ricorda una struttura simile a quella del formaggio svizzero. Egli crede che queste strutture si siano create molto tempo prima che le piramidi fossero costruire e potrebbero essere la ragione per cui è stato scelto proprio questo sito per la loro costruzione. Ci sono prove di attività umane nelle parti più profonde delle grotte.
Fin qui nulla di strano, se non fosse per i fatti strani che successero poco dopo. Benchè la scoperta di Collins avesse convinto anche gli scettici dell’esistenza della Stanza dei Registri che qualcosa di importante si trovasse sotto la piana di Giza, questa fu la reazione del dottor Zahi Hawass, ex Segretario Generale per Consiglio Supremo delle Antichità d’Egitto:


Perchè Hawass decise di negare l’evidenza fino a questo punto? Di cosa aveva paura? Temeva di perdere la paternità di una scoperta che potrebbe costringere a riscrivere l’intera storia della civiltà egizia? Oppure stava cercando di nascondere qualcosa? Perchè, più in generale, gli archeologi egiziani continuano a circondare i monumenti di Giza con una cortina impenetrabile? Quali segreti non vogliono farci sapere? [Ingredienti ottimi per una perfetta teoria del complotto!].
“Effettivamente, il dottor Hawass negò pubblicamente l’esistenza delle grotte”, racconta Collins. “Perchè lo abbia fatto è oggetto di dibattito. Tuttavia, quindici mesi dopo, nel dicembre del 2009, Hawass dovette ammettere che un team di scavo sotto la sua supervisione stava indagando sulla tomba antica al centro della scoperta di una rete sotterranea sotto le Piramidi di Giza e oggetto della polemica.
“Polemica? Come può esserci una polemica di fronte ad una scoperta di tale portata”, commenta Collins. Sebbene sia soddisfatto per il rinnovato interesse di Hawass per il sito, Collins rimane scettico sulle sue reali intenzioni. Anche se il dottor Hawass suggerisce che non ci sia alcun mistero che circonda la “catacomba”, Collins è convinto che il sistema di grotte si estenda sotto la seconda piramide, dove la tradizione antica vuole sia collocata la tomba di Hermes-Thot, il leggendario fondatore dell’Egitto.
Si tratterebbe di una scoperta molto importante, forse la più importante per la comprensione della storia perduta dell’umanità, dato che Hermes-Thot è considerato il portatore della saggezza e della civilizzazione e Collins sospetta che le camere possano contenere documenti fondamentali lasciati da Hermes-Thot, qualcosa di simili alla Stanza dei Registri.