martedì 1 ottobre 2013

L’inspiegabile esplosione evolutiva del Cambriano e i rischi per la teoria di Darwin.


I risultati di uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology sono sorprendenti: i ricercatori hanno scoperto che la diversificazione degli artropodi è stata quattro volte più veloce di quanto non sia avvenuto nei successivi 500 milioni di anni.






Charles Darwin ha rivoluzionato il nostro modo di guardare a noi stessi e ai nostri antenati come specie. 
Dopo aver proposto la sua teoria, secondo la quale solo gli esseri viventi meglio adattati all’ambiente riescono a sopravvivere alla selezione naturale, Darwin ha dovuto affrontare un dilemma quasi inspiegabile. 
Lo studioso non riusciva a spiegarsi l’improvvisa comparsa di numerosissime specie viventi avvenuta circa 530 milioni di anni fa e nota come “Esplosione del Cambriano”. 
Dal punto di vista di questo enigmatico fenomeno, durante l’epoca cambriana è come se fossero esistite due Terre. La prima caratterizzata da organismi unicellulari estremamente primitivi, i quali prosperavano nella fanghiglia compiendo operazioni molto limitate. 
La seconda, invece, caratterizzata da un’esplosione di vita dalla quale discende tutta la fauna moderna, esseri umani compresi. La comparsa improvvisa e inspiegabile di tutte queste specie nei reperti fossili mise in serio pericolo la teoria di Darwin, attirandosi le critiche più aspre di coloro che non accettavano l’idea della selezione naturale. 
Come spiegare questa apparente contraddizione? Micheal Lee, un biologo molecolare dell’Università di Adelaide, ha condotto una ricerca proprio partendo da questa domanda, cercando di misurare la velocità con la quale l’evoluzione ha generato una così grande varietà di specie. 
“La comparsa apparentemente improvvisa di decine di gruppi di animali in questo periodo è senza dubbio il più importante evento evolutivo dopo l’origine della vita”, spiega Lee. 
“I tassi di velocità incredibilmente alti registrati nell’esplosione cambriana sono stati a lungo utilizzati come argomenti contro la teoria dell’evoluzione. Lo stesso Darwin aveva ammesso che questi dati erano in contrasto con i normali processi evolutivi”. 
Il ricercatore dell’università australiana crede che la discrepanza sia dovuta all’imperfezione dei dati forniti dai reperti fossili antichi, i quali non permettono di misurare con precisione i tassi evolutivi durante il cambriano, spesso definito come il Big Bang dell’evoluzione. 
“In questo studio abbiamo stimato che il tasso di evoluzione avvenuta durante l’esplosione cambriana, sia morfologica che genetica,  è stata fino a cinque volte più veloce di oggi, decisamente rapida, ma perfettamente coerente con la teoria dell’evoluzione di Darwin”, continua Lee. 
Il team guidato dal ricercatore ha condotto un attento studio del codice genetico e dell’anatomia degli artropodi (insetti, crostacei, aracnidi e loro familiari), il gruppo di animali più dissimili tra loro, sia nel periodo Cambriano che oggi. 
“E’ stato durante il cambriano che si sono presentati molti dei tratti più familiari associati a questo gruppo di animali, quali un esoscheletro duro, zampe articolate e occhi composti”, riprende Lee. “Abbiamo anche trovato la prima documentazione fossile della comparsa delle antenne, caratteristica condivisa da insetti, millepiedi e aragoste, e delle prime mascelle mordaci”. 
Il team ha quantificato le differenze anatomiche e genetiche tra gli animali viventi, e con l’aiuto dei reperti fossili ha stabilito il periodo di tempo durante il quale tali differenze si sono accumulate, utilizzando modelli matematici complessi. 
I risultati, pubblicati sulla rivistCurrent Biology, sono stati sorprendenti. I ricercatori hanno scoperto che la diversificazione degli artropodi è stata quattro volte più veloce di quanto non sia avvenuto nei successivi 500 milioni di anni.  
I dati risolvono, almeno in parte, il dilemma di Darwin, in quanto mostrano che l’evoluzione accelerata è sufficiente a spiegare la comparsa apparentemente improvvisa di molti gruppi di animali complessi nella documentazione fossile del periodo cambriano.

La “Stirpe del Serpente” nella simbologia e nel mito della storia umana.


Secondo alcuni studiosi, la frequenza della figura serpentina nelle tradizioni e nella simbologia umana affonda le radici in qualcosa di reale accaduto agli albori dell'evoluzione dell'uomo. Tra alcuni ricercatori si registra un certo sconcerto quando si considera lo spazio di tempo estremamente ristretto nel quale si è evoluta la specie umana.






Nel momento in cui Eva, la prima donna mitica e madre di tutti i viventi, si è fatta convincere a raccogliere il frutto proibito dall’Albero della Vita, l’umanità cade vittima del primo grande inganno del serpente. 
Quello raccontato da Genesi, il libro di apertura della Bibbia, è una storia ricca di simbolismo. Secondo il pensiero religioso occidentale, l’incidente narrato dal testo sacro presenta il nemico più insidioso dal quale l’umanità deve guardarsi. 
Eppure, la figura del serpente non è presente soltanto nei racconti della tradizione semitica che ha partorito il racconto di Genesi. Se guardiamo alla mitologia delle altre culture umane, scopriamo uno scenario popolato di rettili, serpenti piumati e strani esseri ibridi rettiloidi. 
Secondo alcuni studiosi, la frequenza della figura serpentina nelle tradizioni e nella simbologia umana affonda le radici in qualcosa di reale accaduto agli albori dell’evoluzione dell’uomo. 
Lo scenario raccontato dai miti di tutto il mondo è pressoché lo stesso: esseri considerati divini, dalle sembianze rettili e dai grandi poteri, hanno consegnato nelle mani dell’umanità la conoscenza tecnologica e la civilizzazione urbana. 
E’ possibile che entità non umane abbiano influenzato il normale andamento evolutivo del genere umano? La rapida evoluzione dell’uomo, incapace di armonizzarsi con i tempi e le regole della natura, potrebbe dipendere da questo? E’ possibile che il nostro DNA sia stato alterato in maniera innaturale per scopi a noi ignoti? 
Per quanto la scienza abbia fatto passi da gigante nella comprensione dei meccanismi che regolano l’evoluzione degli esseri viventi, l’origine dell’uomo rimane ancora avvolta nel mistero. 
Le indagini archeologiche e i ritrovamenti fossili, più che chiarire la storia dell’evoluzione umana, non fanno che complicare un puzzle di per sé già abbastanza complicato. Tra alcuni ricercatori si registra un certo sconcerto quando si considera lo spazio di tempo estremamente ristretto nel quale si è evoluta la specie umana. 
Per fare un paragone indebito, possiamo pensare ai dinosauri, un gruppo di esseri viventi che ha dominato il pianeta Terra per ben 160 milioni di anni, un ciclo di vita biologica estremamente lungo o, quanto meno, in armonia con i tempi cosmici dell’Universo. 
Se invece consideriamo l’homo sapiens, si rimane sconcertati nel considerare che il genere homo è comparso sul pianeta solo 2 milioni di anni fa e, attraverso una rocambolesca serie salti evolutivi, è giunto a costruire appena 6 mila anni fa le prime città moderne in Mesopotamia, per poi passare, in poche migliaia di anni, dalla scrittura cuneiforme all’informatica e dall’esplorazione dei territori sconosciuti al volo spaziale.

Gli antichi peruviani sapevano ammorbidire la roccia? Il mistero di Sacsayhuamán.


Quando si osservano le gigantesche costruzioni megalitiche che l'impero Inca si è lasciato alle spalle, subito balza agli occhi l'incredibile precisione con la quale sono stati posizionati i blocchi di pietra, alcuni dei quali pesanti più di 150 tonnellate. Come ha potuto una civiltà tanto primitiva realizzare delle opere architettoniche così precise?





Nella sierra sud del Perù, a più di 3400 metri di altitudine, si trova Cuzco, l’antica capitale dell’Impero Inca. 
Qui è possibile osservare una delle realizzazioni architettoniche più sconcertanti dell’archeologia sudamericana: la Calle Hatun Rumiyuq, la strada che va dalla piazza de Armas fino al Barrio de San Blas. 
La via è costeggiata da un’incredibile muraglia in pietra realizzata a secco, utilizzando una serie di massi accuratamente tagliati per combaciare perfettamente uno accanto all’altro. I massi corrispondono così perfettamente che nella fessura tra l’uno e l’altro non è possibile inserire nemmeno uno spillo. 
Nel muro è incastonata una pietra che più di tutte ha attirato da sempre l’attenzione dei ricercatori e dei turisti: è la famosa “pietra dei dodici angoli” (immagine in apertura), un masso di notevoli dimensioni perfettamente scolpito per combaciare con le pietre che lo circondano. La precisione dell’assemblaggio è davvero sconcertante.
 Le terrazze di Sacsayhuamán.
A circa 2 chilometri a nord di Cuzco, ad un’altitudine di 3700 metri, si trova Sacssayhuaman, un complesso fortificato realizzato in pietra che estende su un’area di 3 mila ettari. 
Anche qui la tecnica di assemblaggio delle strutture in pietra mostra una precisione che non ha paragoni in America. Alcune delle rocce utilizzate dagli antichi costruttori raggiunge le 150 tonnellate, un peso che avremmo difficoltà a spostare anche con le moderne attrezzature a nostra disposizione. 
La precisione con la quale i blocchi sono stati posizionati, combinata con gli angoli arrotondati di alcuni di essi, la varietà delle forme ad incastro e il modo in cui i muri sporgono verso l’interno, ha sconcertato gli scienziati per decenni.


Come hanno fatto gli Inca a realizzare opere così precise avendo a disposizione solo utensili in pietra? Ad oggi, il metodo utilizzato dagli Inca per abbinare con precisione maniacale le incisioni tra i blocchi di pietra è ancora sconosciuto, soprattutto perchè nessun attrezzo è stato rinvenuto in prossimità del sito. 
La spiegazione “ufficiale” è che gli Inca siano riusciti in qualche modo ad indovinare la forma da dare ai blocchi utilizzando semplici strumenti di pietra. Praticamente, posizionavano la pietra sul posto, osservavano la forma di quelle adiacenti e la mettevano giù per realizzarne la forma. 
Poi la innalzavano nuovamente e se non corrispondeva ripetevano l’operazione fino a quando i blocchi non combaciavano perfettamente. Tutto questo sarebbe stato eseguito con massi che raggiungevano le 100 tonnellate. Ma è possibile immaginare una procedura tanto complessa e faticosa? Considerando l’assoluta precisione dei tagli, che sarebbe stata ottenuta utilizzando utensili in pietra, e il reiterato innalzamento dei mastodontici blocchi senza l’utilizzo di gru meccaniche, l’intero processo appare straordinariamente improbabile. 
Nei libri di storia si legge che Sacsayhuamán all’epoca dei conquistadores era occupata dagli Inca e che i lavori della sua costruzione siano stati completati nel 1508. Ma Garcilaso de la Vega, uno scrittore peruviano nato nel 1539 a Cuzco, affermava di non avere idea su come fossero state realizzate le strutture di Sacsayhuamán. 
Inoltre, quando i conquistadores spagnoli arrivarono in Perù, appresero dagli stessi Inca che le strutture megalitiche erano lì da molto tempo prima di loro, costruite da un popolo diverso. 
Se i costruttori erano più antichi degli Inca, vorrebbe dire che è esistita una civiltà molto più avanzata di cui non sappiamo quasi nulla, tranne che avrebbe avuto la possibilità di creare una fortezza come quella di Sacsayhuamán.