venerdì 13 dicembre 2013

Settecamini, l’ex borgata sulla Tiburtina e l’archeologia ‘svilita’.




Lungo la via Tiburtina, ben oltre il Gra, sui due lati della strada è un alternarsi di edifici commerciali, di età e dimensioni molto diverse, tra i quali spuntano gli scheletri abbandonati o mai finiti di alcuni complessi. Poco prima che la via inizi a piegare, sulla destra ci sono gli Studios Titanus, sul lato opposto un hotel. Poco dopo, all’altezza della traverse per via di Salone da un lato e per via di Casal Bianco dall’altro, il paesaggio cambia. Ancora. La via Tiburtina, a destra ha case, massimo a due piani, dagli esterni fatiscenti. Per il resto lo sguardo può quasi perdersi all’orizzonte. Invece, via di Casal Bianco ha sul lato sinistro un largo spazio occupato da diverse roulotte e prefabbricati. Tra le due strade, a partire dalla chiesetta settecentesca di S. Francesco, un terreno in abbandono, con un recinto metallico che lo perimetra ed un cancello lungo via di Casal Bianco. “Dentro”, proprio in coincidenza con l’apertura, ci sono diversi alberi di ailanto. Per il resto, rovi ovunque. Una distesa che copre quasi tutto. Anzi in più punti la vegetazione infestante ha oltrepassato anche la recinzione, invadendo il marciapiede. Non mancano immondizie varie. Qua e là bottiglie vuote, lattine, buste di plastica e cartacce.
Ci sono anche un tratto dell’antica via Tiburtina e, sul lato meridionale, i resti di una stazione di posta con un portico che si affaccia su un piazzale. Si tratta dell’area archeologica di Settecamini. La pavimentazione in basoli di selce si vede appena. Così come i basoli fuori posti accatastati su un ciglio della strada. Con minore difficoltà si riconoscono gli ambienti in opera reticolata con le ammorsature in blocchetti di tufo. Il loro stato di conservazione, particolarmente precario. Il cemento di restauro sulle creste, quasi del tutto distaccato. Le murature lesionate in più punti a causa del deterioramento delle malte. Piccoli crolli hanno interessato quasi tutte le strutture. Non è agevole farsi un’idea, seppur generica, dell’area archeologica. Né, d’altra parte, ci sono pannelli informativi di supporto. Manca perfino una sommaria indicazione sulla loro esistenza. Solo chi è in attesa del 41, l’autobus “che porta a Roma”, alla fermata vicino all’area archeologica butta dentro un’occhiata, quasi involontariamente. Per il resto, la maggior parte degli abitanti del quartiere è convinto che lì dentro non ci sia nulla se non erbacce.


Non è l’unica testimonianza del popolamento antico della zona. E’ sufficiente percorrere per un breve tratto via di Casal Bianco per giungere ad un altro tratto dell’antica via Tiburtina. Peccato che sia possibile osservare i quasi trenta metri di basolato con tanto di crepidini laterali, solo da lontano. Dall’esterno della recinzione del “Parco Fausto Antonucci”, uno spazio attrezzato con giochi per bambini gestito dall’”Associazione Regionale per la salute mentale”, insieme alla cooperativa sociale “Conto alla Rovescia”, generalmente chiuso.
Riprendendo la Tiburtina, a poco meno di un chilometro, ancora sul lato destro, s’incontra uno slargo ed un cancello. Aldilà una striscia di verde chiusa da un fronte di palazzine, alla quale porta una stradina che divide a metà l’area.  Da una parte e l’altra una straordinaria area archeologica. Un lungo tratto della via antica con tanto di colonna miliaria. Poi, ai lati, tombe di ogni tipo e forma. Quadrate e rettangolari, oltre che circolari. In opera reticolata, soprattutto. Ma anche in opera vittata e listata. Alcune strutture sono al riparo, al di sotto di coperture. Ma la gran parte di esse è coperta dalla vegetazione infestante. Anche per questo in più punti si presentano in condizioni di conservazione quanto mai allarmanti.  A parte alcuni cartelli di divieto di accesso, lungo la recinzione, non esiste alcuna segnalazione dell’area sul posto. Né è chiaro a chi ci si possa rivolgere per la visita. Informazione mancante anche nel sito online della Soprintendenza archeologica di Roma, nel quale la scheda sull’area archeologica di Settecamini, si segnala più che altro per il fatto che la descrizione riguarda i resti sul retro della chiesa di San Francesco mentre le immagini sono relative a questo più ampio complesso.
La borgata rurale nata agli inizi del Novecento, è cresciuta. Nuovi edifici, che tuttavia non hanno mutato granchè il primitivo impianto. In compenso la Tiburtina, ora che si sta provvedendo al raddoppio, si sta trasformando in una sorta di autostrada. Ma, in quel settore estremo del IV Municipio le dinamiche continuano ad essere quelle di un nucleo a sé. Autonomo senza esserlo, considerando che continua ad essere privo sia di una Asl che di una biblioteca. Oltre che di una sua identificazione culturale. Elemento questo tutt’altro che trascurabile e, comunque, inscindibile dall’acquisizione dei necessari servizi sanitari e culturali. Recuperare le diverse aree archeologiche, rendendole agevolmente fruibili, significherebbe far riacquistare alla comunità spazi da tempo interdetti. Significherebbe rigenerare luoghi che, non di rado, l’abbandono e, talora, la mancanza di una adeguata manutenzione, ha quasi svilito.
In fondo l’archeologia dovrebbe poter servire anche a questo. A offrire una definizione che spesso la pianificazione urbana moderna non è riuscita a disegnare.