venerdì 13 dicembre 2013

Ambiente: I dieci luoghi più inquinati del mondo.



1 - Agbogloboshie, Ghana. Il recupero di metalli preziosi e di altri componenti dicomputer e dispositivi elettronici costituisce la maggior parte dell'inquinamento di questa discarica ai confini della capitale del Ghana. I riciclatori bruciano il rivestimento in plastica di cavi e fili di rame, spesso usando il polistirolo come combustibile. I metalli pesanti incorporati nei cavi, come il piombo, viaggiano quindi nel fumo per poi posarsi su case e terreni. Rilevamenti effettuati nell'area della discarica, dove vivono oltre 40.000 persone hanno registrato livelli di piombo fino a 18.125 parti per milione, 45 volte superiori al limite fissato dalla Environmental Protection Agency degli Stati Uniti. (Cortesia Blacksmith Institute).

Gbogbloshie, alla periferia di Accra, la capitale del Ghana, ha il discutibile primato di località più inquinata del mondo, secondo un rapporto realizzato in collaborazione dal Blacksmith Institute e da Green Cross Switzerland e diffuso nei giorni scorsi, che denuncia come situazioni ambientali quali quelle delle dieci località in cima alla classifica minacciano la salute di oltre 200 milioni di persone in paesi a basso e medio reddito.

Intitolato Top Ten Toxic Threats in 2013, il documento è l'ultimo in ordine di tempo di una serie di rapporti annuali dedicati ai problemi globali dell'inquinamento e fa riferimento a contaminanti e fonti di inquinamento diversi, incluso il cromo esavalente delle concerie e i metalli pesanti rilasciati nel corso delle operazioni di riciclaggio e fusione. 






2 - Chernobyl, Ucraina. Malgrado il disastro di Fukushima, quello della centrale di Chernobyl rimane il più grave incidente nucleare civile della storia. Quasi 30 anni dopo, 150.000 chilometri quadrati di terreno sono ancora contaminati dai vari isotopi radioattivi, come il cesio 137 o il plutonio, rilasciati quando il reattore esplose, mettendo a rischio ben 10 milioni di persone. Oggi però un nuovo sarcofago contiene i resti radioattivi, e Green Cross Switzerland sta insegnando come coltivare in modo da ridurre i radionuclidi presenti nelle coltivazioni e nuove tecniche di cottura che possono diminuire il rischio di ingerire particelle radioattive. 





3 - Fiume Citarum, Indonesia. Almeno nove milioni di persone vivono nel bacino del fiume Citarum, che occupa 13.000 km quadrati dell'isola di Giava. Oltre 2.000 fabbriche si affacciano lungo il fiume, che fornisce anche l'acqua per bere, lavarsi e irrigare il riso. La contaminazione da metalli - tra cui piombo, mercurio e persino arsenico - rilevata nelle acque del Citarum supera gli standard di sicurezza internazionali, veleno. Ma il governo indonesiano si è impegnato a investire 3,5 miliardi di dollari per pulire il fiume, tra cui un prestito di 500 milioni di dollari dalla Banca Mondiale. 





4 - Dzerzhinks, Russia. Questa città di 245.000 abitanti è nella classifica delle dieci più inquinate del mondo dal 2006. Nel 2011, è stata citata nel Guinnes dei Primati come città chimicamente più inquinata del mondo, grazie ai residui della produzione chimica di epoca sovietica. Per più di 60 anni, almeno 300.000 tonnellate di rifiuti chimici sono stati impropriamente sepolti nella regione. Nelle falde acquifere sono state identificate fino a 190 sostanze chimiche diverse, e la speranza di vita (47 per le donne e 42 per gli uomini), è da 10 a 15 anni inferiore rispetto alla già bassa aspettativa di vita media in Russia.





5 - Hazaribag, Bangladesh. Circa il 90 per cento delle 270 concerie del paese sono concentrate in questo suburbio di Dhaka, entro circa 25 ettari di terreno. Ogni giorno le concerie scaricano intorno a 22.000 litri cubi di rifiuti tossici, incluso il cromo esavalente, un carcinogeno, nel fiume Buriganga. Ad Hazaribagh vivono 185.000 persone, ma il numero potrebbe essere molto più alto a causa degli insediamenti illegali nell'area. Tutte queste persone potrebbero essere avvelenate da un'attività che impiega da 8000 a 12.000 addetti.





6 - Kabwe, Zambia. La seconda città per dimensioni del paese africano è stata sede di una delle più grandi fonderie di piombo del continente e di onnipresenti miniere di piombo che hanno contaminato l'intera città con la polvere di piombo. I giovani continuano a estrarre i residui, rilasciando nell'aria ulteriori quantitativi di questo metallo pesante tossico. Il risultato è che alcuni bambini di Kabwe hanno livelli di piombo nel sangue fino a 200 microgrammi per decilitro, cioè 40 volte di più del limite di sicurezza proposto dai  Centers for Disease Control degli Stati Uniti. La concentrazione media nel sangue è tra i 50 e i 100 mg per decilitro. 





7 - Kalimantan, Indonesia. Ecco come milioni di piccoli minatori raccolgono l'oro in tutto il mondo: mercurio liquido viene aggiunto al minerale; il mercurio forma un amalgama con l'oro, amalgama che viene poi bruciato, rilasciando il mercurio nell'aria e piccole quantità di oro puro nei recipienti di raccolta. Questo metodo artigianale di estrazione dell'oro è la seconda più grande fonte di inquinamento da mercurio nel mondo (dopo le centrali elettriche a carbone), ed è la ragione per cui questa zona del Borneo è inclusa nella lista. Più di 1000 tonnellate di mercurio entrano nell'ambiente ogni anno. 





8 - Rio Matanza-Riachuelo, Argentina. I 60 chilometri di questo bacino idrografico a Buenos Aires ospitano almeno 15.000 piccole industrie che inquinano il fiume. Di conseguenza, nel suolo lungo le sponde vi sono elevate concentrazioni di metalli pesanti. Per esempio, il cromo è a un livello medio di 1141 parti per milione, cioè più di 900 ppm oltre i livelli regolamentari negli Stati Uniti. I metalli pesanti, inoltre, contaminano l'acqua potabile per almeno 20.000 persone. 





9 - Delta del Niger, Nigeria. La dipendenza globale dal petrolio ha martirizzato il delta del fiume Niger. Questa regione densamente popolata, ampia circa 70.000 km quadrati, è stata inquinata dal petrolio fin dagli anni cinquanta. Ogni anno anno si sono riversati nel delta almeno 240.000 barili di petrolio grezzo, con le prevedibili conseguenze sulla pesca, la coltivazione delle zone umide e la salute umana.





10 - Norilsk, Russia. Questa città al di sopra del Circolo Polare Artico ospita la più grande fonderia di metalli del mondo e si trova in questa lista a causa del terribile inquinamento dell'aria. La foschia è tale che gli alberi non crescono entro un raggio di 30 chilometri dalla città, fondata solo nel 1930. La speranza di vita dei suoi 135.000 abitanti è di 10 anni inferiore alla media russa. Le malattie respiratorie sono comuni, come i tumori dei polmoni e dell'apparato digerente. L'aggiornamento delle attrezzature fonderia potrebbe ridurre l'inquinamento atmosferico.

Settecamini, l’ex borgata sulla Tiburtina e l’archeologia ‘svilita’.




Lungo la via Tiburtina, ben oltre il Gra, sui due lati della strada è un alternarsi di edifici commerciali, di età e dimensioni molto diverse, tra i quali spuntano gli scheletri abbandonati o mai finiti di alcuni complessi. Poco prima che la via inizi a piegare, sulla destra ci sono gli Studios Titanus, sul lato opposto un hotel. Poco dopo, all’altezza della traverse per via di Salone da un lato e per via di Casal Bianco dall’altro, il paesaggio cambia. Ancora. La via Tiburtina, a destra ha case, massimo a due piani, dagli esterni fatiscenti. Per il resto lo sguardo può quasi perdersi all’orizzonte. Invece, via di Casal Bianco ha sul lato sinistro un largo spazio occupato da diverse roulotte e prefabbricati. Tra le due strade, a partire dalla chiesetta settecentesca di S. Francesco, un terreno in abbandono, con un recinto metallico che lo perimetra ed un cancello lungo via di Casal Bianco. “Dentro”, proprio in coincidenza con l’apertura, ci sono diversi alberi di ailanto. Per il resto, rovi ovunque. Una distesa che copre quasi tutto. Anzi in più punti la vegetazione infestante ha oltrepassato anche la recinzione, invadendo il marciapiede. Non mancano immondizie varie. Qua e là bottiglie vuote, lattine, buste di plastica e cartacce.
Ci sono anche un tratto dell’antica via Tiburtina e, sul lato meridionale, i resti di una stazione di posta con un portico che si affaccia su un piazzale. Si tratta dell’area archeologica di Settecamini. La pavimentazione in basoli di selce si vede appena. Così come i basoli fuori posti accatastati su un ciglio della strada. Con minore difficoltà si riconoscono gli ambienti in opera reticolata con le ammorsature in blocchetti di tufo. Il loro stato di conservazione, particolarmente precario. Il cemento di restauro sulle creste, quasi del tutto distaccato. Le murature lesionate in più punti a causa del deterioramento delle malte. Piccoli crolli hanno interessato quasi tutte le strutture. Non è agevole farsi un’idea, seppur generica, dell’area archeologica. Né, d’altra parte, ci sono pannelli informativi di supporto. Manca perfino una sommaria indicazione sulla loro esistenza. Solo chi è in attesa del 41, l’autobus “che porta a Roma”, alla fermata vicino all’area archeologica butta dentro un’occhiata, quasi involontariamente. Per il resto, la maggior parte degli abitanti del quartiere è convinto che lì dentro non ci sia nulla se non erbacce.


Non è l’unica testimonianza del popolamento antico della zona. E’ sufficiente percorrere per un breve tratto via di Casal Bianco per giungere ad un altro tratto dell’antica via Tiburtina. Peccato che sia possibile osservare i quasi trenta metri di basolato con tanto di crepidini laterali, solo da lontano. Dall’esterno della recinzione del “Parco Fausto Antonucci”, uno spazio attrezzato con giochi per bambini gestito dall’”Associazione Regionale per la salute mentale”, insieme alla cooperativa sociale “Conto alla Rovescia”, generalmente chiuso.
Riprendendo la Tiburtina, a poco meno di un chilometro, ancora sul lato destro, s’incontra uno slargo ed un cancello. Aldilà una striscia di verde chiusa da un fronte di palazzine, alla quale porta una stradina che divide a metà l’area.  Da una parte e l’altra una straordinaria area archeologica. Un lungo tratto della via antica con tanto di colonna miliaria. Poi, ai lati, tombe di ogni tipo e forma. Quadrate e rettangolari, oltre che circolari. In opera reticolata, soprattutto. Ma anche in opera vittata e listata. Alcune strutture sono al riparo, al di sotto di coperture. Ma la gran parte di esse è coperta dalla vegetazione infestante. Anche per questo in più punti si presentano in condizioni di conservazione quanto mai allarmanti.  A parte alcuni cartelli di divieto di accesso, lungo la recinzione, non esiste alcuna segnalazione dell’area sul posto. Né è chiaro a chi ci si possa rivolgere per la visita. Informazione mancante anche nel sito online della Soprintendenza archeologica di Roma, nel quale la scheda sull’area archeologica di Settecamini, si segnala più che altro per il fatto che la descrizione riguarda i resti sul retro della chiesa di San Francesco mentre le immagini sono relative a questo più ampio complesso.
La borgata rurale nata agli inizi del Novecento, è cresciuta. Nuovi edifici, che tuttavia non hanno mutato granchè il primitivo impianto. In compenso la Tiburtina, ora che si sta provvedendo al raddoppio, si sta trasformando in una sorta di autostrada. Ma, in quel settore estremo del IV Municipio le dinamiche continuano ad essere quelle di un nucleo a sé. Autonomo senza esserlo, considerando che continua ad essere privo sia di una Asl che di una biblioteca. Oltre che di una sua identificazione culturale. Elemento questo tutt’altro che trascurabile e, comunque, inscindibile dall’acquisizione dei necessari servizi sanitari e culturali. Recuperare le diverse aree archeologiche, rendendole agevolmente fruibili, significherebbe far riacquistare alla comunità spazi da tempo interdetti. Significherebbe rigenerare luoghi che, non di rado, l’abbandono e, talora, la mancanza di una adeguata manutenzione, ha quasi svilito.
In fondo l’archeologia dovrebbe poter servire anche a questo. A offrire una definizione che spesso la pianificazione urbana moderna non è riuscita a disegnare.


giovedì 12 dicembre 2013

Chi ha realizzato il Grande Tumulo del Serpente e perchè? Dibattito sulla sua datazione.

Il 'Grande Tumulo del Serpente' è forse l'icona più riconoscibile degli antichi nativi americani. Eppure, ancora oggi, la sua datazione è tema aspramente dibattuto tra gli esperti. La datazione al radio carbonio sembra indicare che il tumulo sia stato realizzato dalla cultura Fort intorno al 1120 d.C. Ma uno studio presentato il mese scorso suggerisce che potrebbe essere un tumulo della cultura Adena, facendolo risalire al 1000 a.C.






Il Grande Tumulo del Serpente (The Great Serpent Mound) è un grosso geoglifo preistorico situato sull’altopiano del cratere Brush Creek, nella contea di Adams, Ohio. Con i suoi 420 metri di lunghezza, il terrapieno rappresenta la più grande effigie di un serpente incisa sul suolo del nostro pianeta.
La figura segue la curvatura del terreno su cui poggia, con la testa collocata in prossimità di una scogliera nei pressi di un torrente e apparentemente con la bocca aperta, mentre si avventa sopra una figura ovale, che secondo gli studiosi potrebbe rappresentare un uovo, il sole, il corpo di una rana, o semplicemente il residuo di un’antica piattaforma.
Sebbene siano presenti tumuli sepolcrali simili sia in Scozia che nell’Ontario, quello dell’Ohio presenta delle caratteristiche che sono ancora oggetto di speculazione da parte degli studiosi. Il Serpent Mound, per esempio, non contiene resti umani, quindi non è stato costruito per scopi funerari.
La cultura Cherokee associa il tumulo alla leggenda dell’Uktena, un grande serpente con poteri soprannaturali. I ricercatori hanno ipotizzato che forse gli antichi nativi creavano grandi santuari totemici fornite di piattaforme di terra e di pietra. Le altre piattaforme realizzate potrebbero essere andate distrutte nel corso di guerre o dell’avvicendamento delle varie culture, con il risultato che il Grande Tumulo del Serpente è l’unico superstite. Ma si tratta solo di speculazioni.
Nel 1987 Clark e Marjorie Hardman pubblicarono uno studio che dimostrava che l’area ovale davanti alla testa del serpente è allineata al solstizio d’estate. Successivamente, William F. Romain ha suggerito una serie di allineamenti lunari sulla base delle curve del corpo del serpente. Fletcher e Cameron hanno sostenuto in maniera convincente che le spirali del serpente sono allineate ai solstizi e agli equinozi annuali.

La datazione del sito e i suoi costruttori

La datazione della progettazione, della costruzione originaria e l’identità dei costruttori della effigie sono le tre grandi questioni ancora dibattute nell’ambito delle scienze sociali, dell’etnologia, dell’archeologia e dell’antropologia. I ricercatori hanno attribuito la costruzione del tumulo a tre diverse culture indigene preistoriche.
Quando il terrapieno fu portato alla luce da Frederic Ward Putnam alla fine del 1800, nei pressi del sito furono trovati diversi artefatti appartenuti a quella che i ricercatori identificano come cultura Adena, una popolazione americana vissuta tra il 1000 a.C. E il 100 d.C. Per tale motivo, sin dall’inizio si è attribuito il Serpent Mound alla cultura di Adena.
Ma Putnam nei pressi del sito trovò anche tracce di un grande villaggio appartenuto alla più recente cultura Fort, costruito sulle rovine di un precedente villaggio Adena. Alcuni pensarono che il terrapieno dovesse essere appartenere alla cultura Fort, spostando la datazione in un arco di tempo compreso tra il 1000 d.C. E il 1750 d.C. A conferma di tale ipotesi, negli anni ’90 furono eseguiti i test al radiocarbonio su alcuni frammenti di carbone di legno trovati sul sito, che confermarono la datazione.


Recentemente, però, la datazione è stata nuovamente messa in discussione. L’anno scorso, William Romain e un team di scienziati provenienti da varie università si sono recati al Serpent Mound per condurre una ricerca finalizzata ad ottenere una datazione più precisa per la costruzione del tumulo. La datazione al radiocarbonio eseguita su alcune tracce di carbone rilevati nel carotaggio del terreno ha restituito date comprese tra il 400 a.C. E l’80 a.C., rivalutando l’ipotesi della cultura Adena.
Ma c’è chi si spinge decisamente oltre. Secondo alcuni ricercatori, infatti, il tumulo potrebbe anche essere stato progettato in allinea con il modello astronomico delle stelle che compongono la costellazione del Dragone, allineandosi esattamente nel suo centro geografico alla posizione di quella che in antichità figurava come Stella Polare, Thuban.
Sulla base di questa misurazione, tenendo presente la processione degli equinozi, quando Thuban occupava la posizione di Stella Polare, sarebbe possibile datare il Grande Tumulo del Serpente a circa 5 mila anni fa, decisamente prima della comparsa della cultura di Adena.
Struttura da Criptoesplosione
Un ultima, e quanto mai intrigante particolarità del Serpent Mound, è stata la scoperta avvenuta nel 2003 da parte dei geologi dell’Ohio e dell’Università di Glasgow (Scozia), i quai hanno scoperto che il terrapieno sorge su un altopiano caratterizzato da una struttura a criptoesplosione.
Come spiega Bevan M. French nel libro Traces of Catastrophe (2008), il termine criptoesplosione (o struttura criptovulcanica) significa un’esplosione di causa sconosciuta. Il termine è oggi in disuso e considerato obsoleto. Un tempo era comunemente utilizzato per descrivere questi siti in cui non vi era evidenza geologica di un’esplosione di grandi dimensioni all’interno della crosta terrestre.
Questi siti sono di solito di forma circolare con segni di deformazione della roccia, decisamente in contrasto con la regione circostante, spesso mostrando prove che il materiale roccioso era stato sollevato o ‘soffiato’ verso l’esterno. Si riteneva che una qualche forma insolita di vulcanismo, o di esplosione di gas provenienti dall’interno della crosta terrestre, ne fosse la causa.
L’uso del termine è caduto in disuso con la nascita della scienza che permette il riconoscimento dei crateri da impatto nel tardo 20° secolo. La maggior parte delle strutture descritte come criptoesplosioni si sono rivelate prodotte dall’impatto con corpi celesti tipo meteoriti e comete.
Lo studio del 2003 è stato eseguito studiano i carotaggi prelevati presso il sito del Serpent Mound nel 1970. Le analisi dei campioni indicarono che l’area è stata interessata da un impatto meteoritico avvenuto nel Permiano, circa 286 milioni di anni fa. Si tratta di uno dei pochi siti conosciuti in Nord America interessati da fenomeni simili.
Alcuni studiosi si chiedono se i costruttori del Grande Tumulo del Serpente abbiano costruito volutamente il terrapieno in questa zona, individuandone caratteristiche uniche forse ritenute sacre, mentre altri pensano che si tratti sono di una coincidenza, dato che nessun segnale esterno avrebbe potuto segnalare agli antichi nativi una particolarità geologica così inusuale.


Perù: Strage di delfini: fino a 15mila l’anno.

La sovrapesca minaccia anche gli squali e avanza a ritmi che rendono le specie
dell’area a rischio estinzione.






Un video realizzato da una Organizzazione non governativa mostra le quotidiane stragi di delfini di cui si macchiano i pescatori in Perù per consumo umano o per utilizzare le carcasse come esche da pesca.  
 Immagini crude filmate dalla Mundo Azul che rivelano le cruente pratiche promosse dai pescatori per uccidere squali e delfini, i più giovani dei quali vengono lasciati morire senza alcun intervento sulle imbarcazioni. «È ormai chiaro che i pescatori di squali in Perù sono coinvolti nella sistematica uccisione dei delfini» ha spiegato Stefan Austermuhle, responsabile di Mundo Azul al Guardian che ha pubblicato il video.  
 «Parliamo di un numero di delfini ammazzati che va da settemila a quindicimila esemplari per anno». La sovrapesca minaccia anche gli squali e avanza a ritmi che rendono le specie dell’area a rischio estinzione. In Perù uccidere i delfini è illegale, un reato considerato un crimine contro l’ambiente.  


Video: Attenzione, immagini molto forti.





Il Calendario di Adamo: prove di una civiltà antica di 200 mila anni?.

Potrebbe trattarsi della scoperta più importante nella storia del genere umano. Ma che cos'è il 'Calendario di Adamo'? E' davvero il cerchio di pietra più antico del mondo? È stato davvero realizzato dagli Annunaki, gli dei alieni dei Sumeri, come avamposto terrestre per la ricerca dell'oro circa 200 mila anni fa? Oppure si tratta del primo calendario solare- lunare realizzato ben 75 mila anni fa?




L’area geografica dove è collocato ilCalendario di Adamo si trova nei pressiMpumalanga ed è stata scoperta nel 2005 da Johan Heine, mentre sorvolavano la zona nel corso di una missione per salvare il pilota di un aereo in avaria. 
Negli ultimi anni, l’enigmatico cerchio di pietra è stato promosso, insieme alle piramidi bosniache, come una delle più antiche strutture umane del pianeta.
Il Calendario di Adamo è situato sulla cima di una scogliera in pendenza verso sud, nota come la scarpata di Transvaal, una zona ricca di quarzite e di giacimenti d’oro. Il sito è costituito da un gran numero di rocce apparentemente sparse a caso, di cui una piccola percentuale è stata posizionata per creare non tanto un cerchio di pietre, ma ciò che Heine ha valutato come una ‘cornice in pietra’.
Johan ha cominciato a misurare e calcolare la posizione dei monoliti. Forte dei i suoi anni di esperienza nel campo della scienza aeronautica e della navigazione, molto presto si è reso conto che la struttura circolare è stata volutamente progettata per allinearsi ai punti cardinali della Terra, e con gli equinozi e i solstizi.
In tutto ci sono circa una dozzina di pietre che sembrano essere state collocate in posizione verticale, tra cui due alte circa 2 metri e mezzo che si distinguono in mezzo al monumento. Heine ritiene di aver individuato vari allineamenti solare, tra cui particolarmente interessante che riguarda tre pietre reclinate che, a suo parere, una volta erano orientate verticalmente verso le stelle della cintura di Orione. Niente di strano, dato che molti siti preistorici sembrano contenere questo tipo di allineamento.


L’unico problema è che Heine utilizza questo particolare allineamento per dimostrare che il Calendario di Adamo è antico almeno di 75 mila anni, dal momento che le pietre risulterebbero allineate con la costellazione di Orione nella posizione in cui sarebbe apparsa in quell’epoca così lontana della storia del genere umano.
Il ricercatore Michel Tellinger si spinge decisamente oltre, fino a suggerire che il Calendario di Adamo possa essere stato realizzato circa 200 mila anni fa, come centro delle operazioni degli Annunaki, le divinità aliene riportate nella mitologia sumera, noti anche come Nephilim [Leggi: Chi erano i Nephilim della Bibbia?.
Costoro sarebbero giunti dal loro pianeta natale Nibiru in cerca di giacimenti d’oro. Una volta giunti sul nostro pianeta, gli Annunaki crearono l’Homo Sapiens, modificando geneticamente un ominide (secondo alcuni l’Homo Erectus, secondo altri l’Homo di Neanderthal) e creare un lavoratore che estraesse l’oro per conto l’oro. Questo intervento degli Annunaki avrebbe dato un colpo di acceleratore all’evoluzione umana, mettendo il turbo ad un processo che naturalmente sarebbe durato migliaia di anni.


Le idee di Tellinger si ispirano agli scritti di Zecharia Sitchin, filologo e studioso della mitologia sumera, il quale in diverse opere ha scritto che gli Annunaki scavarono buona parte delle miniere d’oro in Sud Africa. Le fonti di Sitchin per le sue conclusioni partono da una serie di testi sumeri ed ebraici, tradotti in maniera non convenzionale rispetto all’interpretazione tradizionale.

Misteriose rovine antiche dell’Africa meridionale

Il ritrovamento di Heine ha aperto un vero e proprio ‘vaso di pandora’ sull’Africa del Sud, permettendo la scoperta di numerosi insediamenti in pietra che rappresentato un nuovo affascinante ed enigmatico capitolo per l’archeologia contemporanea. Si stima la presenza di oltre 20 mila antiche rovine in pietra sparse sulle montagne del Sud Africa.
Gli archeologi e gli antropologi speculano sull’origine delle misteriose rovine, spesso etichettandole come ‘materiale di poca importanza’. Mentre la parte della comunità scientifica più attenta e possibilista intravede un quadro completamente nuovo e sorprendente sulla storia antica delle rovine africane e sulla storia dell’uomo più in generale.
La verità è che si sa davvero molto poco su questi spettacolari rovine antiche e che purtroppo molte di esse sono andate distrutte per pura ignoranza dalla silvicoltura, dagli agricoltori e dallo sviluppo urbano. Alcuni ricercatori sono convinti che alcuni di essi possano essere antichi anche di 100 mila anni.
E’ chiaro che ciò pone immediatamente un problema enorme per archeologi, antropologi e storici, dato che l’inizio della storia della civiltà umana è comunemente collocata non oltre i 12 mila anni fa, con la nascita dall’agricoltura. E diventa ancora più complessa quando ci si rende conto che non si tratta di semplici strutture isolate lasciate dalla migrazione di orde di cacciatori-raccoglitori. Fotografie aeree e satellitari mostrano che la grandezza e la vastità di questi insediamenti copre oltre 5 mila chilometri quadrati, e forse molti di più.
La maggior parte di questi insediamenti è ben sepolta sotto il suolo è può essere notata solo dall’altro da occhi esperti di un osservatore. Diventa ancora più sconcertante quando si osservano le antiche strade che collegano tutti questi insediamenti, con una rete viaria che sembra superare i 500 chilometri. La posizione degli antichi tratti stradali suggerisce che una volta collegavano la costa del Mozambico al Botswana e forse oltre. Un calcolo approssimativo indica che le strade originali avrebbero richiesto l’utilizzo di più di 500 milioni di pietre tra i 10 e i 50 chilogrammi ciascuna.
Forse stiamo osservando i più antichi insediamenti della Terra. Molti scienziati affermano che non dovremmo essere sorpresi di trovare tali rovine. Anzi, dal momento che il Sud Africa è considerato la culla del genere umani, dovremmo aspettarci questo tipo di scoperte. Gli indizi sembrano mostrare che ci troviamo di fronte a quella che forse è stata la più grande e misteriosa civiltà esistita sulla Terra.

Come si inserisce il Calendario di Adamo nel quadro delle rovine africane?

Secondo Tellinger, il Calendario di Adamo rappresenta il fiore all’occhiello fra queste rovine, poiché è possibile datare il calendario monolito, con relativa certezza, ad almeno 75 mila anni fa, sulla base di una serie di valutazioni scientifiche. Inoltre, rappresenta la prima prova tangibile che l’Africa meridionale è davvero la ‘Culla dell’Umanità’.
Il Calendario di Adamo era in origine una grande struttura circolare simile a quella di Stonehenge, ma anticipandola di molte migliaia di anni. La forma originale è ancora chiaramente visibile dalle immagini satellitari. Esso è costruito lungo il medesimo meridiano della Grande Piramide di Giza.
Tre monoliti sembrano essere allineati con le tre stelle della cintura di Orione, così come appariva nella volta celeste di 75 mila anni fa. Se ciò fosse vero, il Calendario di Adamo ci porta in un’epoca molto più vicina alla comparsa dell’Homo Sapiens, rispetto a qualsiasi altra struttura mai trovata fino ad oggi e che potrebbe costringere storici e archeologi a riconsiderare l’intera storia evolutiva e culturale del genere umano.


Natura: La tigre siberiana svela la firma genetica del predatore.


Identificati i geni che consentono a questi grandi felini di seguire una dieta esclusivamente carnivora e forniscono ai muscoli una capacità di contrazione pressoché unica, permettendo loro di passare dallo stato di riposo a quello di massima efficienza senza aver bisogno di un “riscaldamento” dei muscoli.





Il sequenziamento completo ad alta risoluzione del genoma della tigre dell'Amur o tigre siberiana (Panthera tigris altaica) – il primo mai effettuato di una specie del genere Panthera – e il suo confronto con quello di altre specie ha permesso di identificare alcune firme genomiche caratteristiche dell'adattamento alla vita da predatore. 
I risultati della ricerca, condotti da un gruppo di biologi della Genome Research Foundation a Suwon, in Corea, con la collaborazione di colleghi di altri centri di ricerca internazionali, sono illustrati in un articolo pubblicato su "Nature Communications". I dati ottenuti aprono la strada a ulteriori studi sulle popolazioni dei grandi felini che chiariscano le basi genetiche degli adattamenti locali e il potenziale di ibridazione fra popolazioni selvatiche e in cattività che potrebbe garantirne la sopravvivenza .
Attualmente infatti la popolazione complessiva di tigri selvatiche si aggira attorno ai 4000 individui, suddivisi in cinque sottospecie  (altre quattro sottospecie si sono estinte il secolo scorso) che mostrano adattamenti molto particolari: la tigre dell'Amur, per esempio, è la più grande per stazza e l'unica in grado si vivere in un ambiente coperto dalla neve per molti mesi dell'anno.





In particolare, attraverso un'analisi comparativa dei genomi completi di tigre, uomo, cane e topo, e il confronto con i dati genetici di altri grandi felini - la tigre bianca del Bengala (Panthera tigris tigris), il leopardo delle nevi (Panthera uncia), il leone africano e il leone bianco africano – oltre che al panda gigante e all'opossum, il gruppo di ricerca ha identificato 1376 geni specifici correlati a una dieta esclusivamente carnivora e alla capacità di contrazione muscolare tipica dei felini: potente e in grado di passare da uno stato di riposo a uno di massima efficienza senza necessità di un “riscaldamento” dei muscoli.
I ricercatori hanno anche identificato due geni che potrebbero essere state importanti nell'adattamento all'alta quota del leopardo delle nevi, che vive ad altitudini comprese fra i 3300 e i 6700 metri, e uno che potrebbe essere responsabile del colore del mantello del leone bianco.






Ma quanto intelligenti erano veramente gli uomini di Neanderthal?


Questa è la domanda alla quale gli esperti stanno cercando di dare risposta da alcuni decenni e le ultime ricerche sembrano dimostrare che gli uomini di Neanderthal fossero molto più intelligenti di quanto avevamo precedentemente pensato.


Una nuova ricerca effettuata da un team internazionale di esperti, e pubblicata su periodico Quaternary Science Review, offre ulteriori indizi che suggeriscono che i Neanderthal erano tutt’altro che i bruti primitivi sub-umani che abbiamo sempre immaginato.
Il team di scienziati, composta da ricercatori provenienti da Francia, Stati Uniti e Spagna, ha condotto delle analisi su alcuni strumenti in pietra e altri materiali, come ad esempio frammenti di legno, recuperati presso il sito archeologico noto come Abri du Maras, nella Valle del Rodano, nel sudest della Francia e collocabile al mondo di 74 mila anni fa.
Lo scavo ha rivelato la presenza di numerose ossa di una grande varietà di mammiferi con segni da taglio sulle ossa, frammenti di piume di uccello e squame di pesce, e residui di vari vegetali, elementi che offrono uno spaccato affascinante sulla dieta dei Neanderthal. 
Essi mostrano che i nostri cugini non solo fossero altamente specializzati nella caccia, ma che avessero la possibilità di procacciare una grande varietà di alimenti da scegliere, tra cui grandi mammiferi, pesci, anatre, rapaci, conigli, funghi e piante.


I ricercatori hanno rinvenuto anche la presenza di fiocchi di Levallois, un nome dato dagli archeologi ad un tipo di distintivo di pietra scheggiata sviluppatosi durante il periodo Paleolitico, tracce di fibra intrecciata, suggerendo la capacità di fabbricare corde e stringhe, e sei punti litici che sembrano essere legati alla produzione di proiettili in pietra molto complessi, aspetto solitamente associato alla comparsa dei primi esseri umani moderni.
“Queste evidenze mostrano un livello di variabilità comportamentale che molto spesso viene negata ai Neanderthal”, spiegano gli autori dello studio a Science Direct. “Lungi dall’essere inflessibile dal punto di vista comportamentale, l’uomo di Neanderthal ha mostrato una capacità tale da consentirgli la produzione di una serie di strumenti che gli hanno garantito la sopravvivenza per migliaia di anni.
Sebbene non sia ancora chiaro cosa abbia causato l’estinzione finale dei Neanderthal, gli scienziati ora sono almeno in grado di escludere uno degli aspetti che avrebbe potuto causare il loro declino. L’idea che gli uomini di Neanderthal siano stati soppiantati dall’Homo Sapiens a causa della loro limitata capacità di inventare e utilizzare una più ampia gamma di strumenti, tecniche e risorse è ormai superata, dato che non esistono prove a suo sostegno.
Una scoperta precedente realizzata da alcuni ricercatori olandesi ha portato alla luce una serie di vecchi utensili appartenuti agli uomini di Neanderthal di 50 mila anni fa. Gli strumenti, ricavati dalle ossa di cervo, sono simili agli attrezzi utilizzati ancora oggi per conciare le pelli animali, capaci di renderle molto morbide e più resistenti all’acqua rispetto agli altri trattamenti.


Lo studio, pubblicato sulla rivista Proceedings of National Academy of Sciences, riferisce di strumenti simili rinvenuti in siti occupati in una fase successiva dai primi Sapiens, quando questi hanno cominciato a sostituire i Neanderthal in Europa circa 40 mila anni fa. “Se i Neanderthal sono stati capaci di sviluppare questo tipo si attrezzo da soli, è possibile che gli esseri umani moderni abbiano acquistato da loro questa tecnologia”, ha spiegato Marie Soressi, una delle ricercatrici dell’Università di Leiden in Olanda.
La scoperta mostrerebbe che i Neanderthal abbiano passato una parte importante del know-how per la produzione di strumenti ai Sapiens. Le ricerche alimentano l’enigma della situazione degli uomini di Neanderthal che sono misteriosamente scomparsi dalla storia umana circa 30 mila anni fa, suggerendo che i nostri progenitori non erano così primitivi come si è sempre creduto.
Anzi, le continue prove portate alla luce dai ricercatori mostrano un elevato grado di sofisticazione e di pratiche culturali che lasciano a bocca aperta: dalla sepoltura alla produzione artistica, dall’uso di piante medicinali alla creazione di campi base stabili considerati come casa. I ricercatori sono ormai convinti che i Neanderthal fossero anche in possesso di una sofisticata forma di linguaggio moderno.


Esposti al Museo Tullie House due misteriosi tridenti lignei del neolitico.


Il Tullie House Museum di Carlisle, Inghilterra nord-occidentale, dispone di due rari tridenti di legno del periodo Neolitico ora in mostra. I manufatti sono stati scoperti nel 2009, ma fino ad oggi, nonostante i molti esami e teorie, questi oggetti vecchi 6 mila anni lasciano sconcertati gli archeologi circa il loro utilizzo. A che servivano?



I due rarissimi tridenti in legno sono stati donati al Museo Tullie House dal Consiglio della Contea di Cumbria.
Secondo gli esperti, esistono solo altri quattro reperti simili in tutto il Regno Unito e il fatto che abbiano tutti un disegno identico e mostrino tecniche di lavorazione decisamente precise suggerisce che i manufatti erano stati realizzati per un fine preciso.
Ma ai ricercatori sfugge quale fosse questo fine: si è teorizzato che venissero utilizzati per la pesca, per la caccia o per uso agricolo, ma nessuna di queste ipotesi è sufficientemente convincente. Il Tullie House sta incoraggiando i visitatori ad avanzare le loro teorie.
I due enigmatici manufatti sono stati rinvenuti nel 2009, nel corso di alcuni scavi eseguiti dalla Oxford Archaelogy North in una pianura alluvionale di proprietà del Consiglio della Contea di Cumbra, al fine di eseguire delle indagini archeologici prima della costruzione di una nuova strada, dato che la zona è ricca di antichi insediamenti romani.
Durante gli scavi gli esperti si sono imbattuti nei due tridenti che, grazie alla datazione al carbonio, sono stati data tra i 5900 e 5400 anni fa. I manufatti sono stati rinvenuti in un antico insediamento dove sono state trovate anche migliaia di pezzi di selce, rimanenza di quello che gli esperti credono essere parte del processo di fabbricazione di strumenti in pietra.
Entrambi i reperti misurano più di due metri di lunghezza e ciascuno di essi è stato finemente realizzato, ricavati da un’unica tavola di quercia e utilizzando strumenti di pietra per la modellazione e la levigatura. Data la loro dimensione e il loro peso, gli strumenti sembrano essere decisamente esagerati per l’utilizzo da parte di una singola persona.
“Questi tridenti sono così rari che acquisiscono importanza nazionale ed è quindi una grande emozione poterli avere a disposizione per mostrarli ai nostri visitatori”, ha detto al The West Morland Gazzette Andrew Mackay, responsabile delle Collezioni e della Programmazione del Tullie House. “Siamo molto interessati a valutare i pareri su quello che potrebbe essere stata la loro funzione”.
“E’ importante che gli abitanti locali abbiano la possibilità di vedere questi manufatti unici”, ha detto Keith Little, consigliere del Consiglio della Contea di Cumbria. “Il ritrovamento di oggetti come questi può sembrare un inconveniente quando si sta cercando di costruire una strada, ma dobbiamo far capire la straordinaria opportunità da cogliere quando si presenta la possibilità di preservare la nostra storia”.
Nonostante lo studio dettaglio dei tridenti, la loro funzione rimane ancora un mistero. Essi non sembrano particolarmente adatti per essere usati come attrezzi da scavo o lance da pesca, oppure, come qualcuno ha suggerito, ad essere utilizzati come remi una volta coperto il tridente con un rivestimento in pelle. Altri studiosi, hanno realizzato uno studio comparando i tridenti con altre forche a legno di funzione nota, concludendo che non vi sono chiari paralleli e che i tridenti di Cumbria sono unici nel loro genere.


La guerra segreta dell'Australia contro gli aborigeni.

I corridoi del parlamento australiano sono così bianchi che ti fanno strizzare gli occhi. Il suono è sommesso; l’odore è di cera per pavimenti. I pavimenti in legno brillano così virtuosamente che riflettono le caricature dei primi ministri e file di dipinti aborigeni, appesi su pareti bianche, il loro sangue e le lacrime invisibili.



Il parlamento si trova a Barton, un sobborgo di Canberra dal nome del primo ministro dell’Australia, Edmund Barton, il quale ha redatto la  White Australian policy  (Politica dell’Australia bianca) nel 1901. “La dottrina dell’uguaglianza dell’uomo”, ha detto Barton, “non si è mai voluto applicarla” a coloro che non sono britannici e di pelle bianca.
La preoccupazione di Barton riguardava il cinese, noto come il pericolo giallo; lui non aveva menzionato la più vecchia e durevole presenza sulla terra: i primi australiani. Essi non sono esistiti.
La loro sofisticata cura della terra arida non è interessante. La loro resistenza epica non è mai accaduta. Di coloro che combatterono gli invasori britannici in Australia, il Sydney monitor afferma nel 1838: “E’ stato deciso di sterminare l’intera razza nera in quell’angolo”. Oggi, i sopravvissuti sono un vergognoso segreto nazionale.
La città di Wilcannia, nel Nuovo Galles del sud, si è distinta due volte. Ha vinto il premio come la miglior città ordinata e le sue popolazioni indigene hanno una delle più basse aspettative di vita mai registrate. Muoiono all’età di 35 anni. Il governo cubano gestisce un programma di alfabetizzazione per loro e per i poveri dell’Africa. Secondo la Credit Suisse Global Wealth report, l’Australia è il paese più ricco della terra.
I politici a Canberra sono tra i cittadini più benestanti. La loro auto-investitura è leggendaria. L’anno scorso, l’allora ministro per gli affari indigeni, Jenny Macklin, rinnovò il suo incarico con un costo per il contribuente di 331.144 dollari.


Macklin ha recentemente affermato che nel governo ha fatto una “grande differenza”. Questo è vero. Durante il suo mandato, il numero di aborigeni che vivono nelle baraccopoli è aumentato di quasi un terzo e più della metà dei soldi spesi per l’edilizia abitativa indigena è stata intascata dagli appaltatori bianchi, una burocrazia per la quale è stata fondamentalmente responsabile. Una tipica casa pericolante nella comunità indigena dell’outback (entroterra) deve ospitare fino a 25 persone. Le famiglie, gli anziani e i disabili aspettano da anni perché i servizi igenico-sanitari funzionino.
Nel 2009 il professor James Anaya, il rispettato portavoce delle Nazioni Unite sui diritti degli aborigeni, descrive come razzista lo “stato di emergenza” che ha privato le comunità aborigene dei loro tenui diritti e servizi con il pretesto che le gang di pedofili sono presenti in numeri “inconcepibili”- un’affermazione respinta come falsa dalla polizia e dalla Commissione sul crimine australiano. Il portavoce dell’opposizione sugli affari indigeni, Tony Abbott, ha detto ad Ananya di “farsi una vita” e “di non ascoltare solo la brigata vecchia e vittimista.” Abbott è ora il primo ministro dell’Australia.
Ho guidato nel cuore rosso dell’Australia centrale ed ho chiesto alla dottoressa Janelle Trees della “brigata vecchia e vittimista”. Un medico di famiglia, i cui pazienti indigeni vivono a pochi chilometri dai mille dollari per notte resort servendo Uluru (Ayers Rock), ha detto, “C’è amianto nelle case degli aborigeni, e quando a qualcuno viene trovata una fibra di amianto nei polmoni e si sviluppa il mesotelioma, [al governo] non interessa”.


Quando i bambini hanno infezioni croniche e finiscono ad aggiungersi a queste statistiche incredibili di persone indigene morte per malattie renali e record mondiali sulla vulnerabilità per malattie cardiache reumatiche, non si fa nulla. Mi chiedo: perché no?
La malnutrizione è comune. Ho voluto dare ad un paziente un anti-infiammatorio per un’infezione che sarebbe stata evitata se le condizioni di vita fossero state migliori, ma non potevo farle il trattamento perché non aveva abbastanza cibo da mangiare e non poteva ingerire le compresse. A volte mi sento come se avessi a che fare con condizioni simili a quelle della classe operaia inglese all’inizio della rivoluzione industriale.
A Canberra, negli uffici ministeriali dove mostrano ancor più l’arte della prima-nazione, mi è stato detto più volte come sono stati “orgogliosi” per “quanto fatto per gli indigeni australiani”. Quando ho chiesto a Warren Snowdon — il ministro della sanità degli aborigeni nel partito Laburista recentemente rimpiazzato dalla coalizione conservatrice di Abbott — il perché dopo quasi un quarto di secolo, nel quale ha rappresentato i più poveri e i più ammalati australiani , non sia ancora arrivato ad una soluzione, ha risposto, “Che domanda stupida. Che domanda puerile”.
Al termine della parata ANZAC a Canberra sorge l’Australian National War Memorial, che lo storico Henry Reynolds chiama “il centro sacro del nazionalismo bianco”. Mi è stato vietato di filmare in questo grande luogo pubblico. Avevo commesso l’errore di esprimere un interesse per le guerre di frontiera nelle quali gli australiani neri hanno combattuto l’invasione Britannica senza armi ma con ingegno e coraggio — l’epitome della “tradizione ANZAC”.
Eppure, in un paese disseminato di cenotafi, nessuna commemorazione ufficiale per quei caduti resistiti “ad una delle più grandi appropriazioni di terra nella storia del mondo”, ha scritto Reynolds nel suo libro più famoso la Guerra Dimenticata. Altri primi australiani furono uccisi come i nativi americani sulla frontiera americana e i maori in Nuova Zelanda.

Lo stato del Queensland fu un mattatoio. Un intero popolo divenne prigioniero di guerra nella loro stessa casa, con i coloni che chiedevano la loro estradizione. L’industria del bestiame prosperava usando uomini indigeni praticamente come schiavi. Oggi l’industria mineraria trae profitti per un miliardo di dollari a settimana sulle terre indigene.
Sopprimere queste verità, mentre si venera il ruolo servile dell’Australia nelle guerre coloniali della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, è quasi un classico a Canberra oggi. Reynolds e pochi altri, che hanno contestato, li hanno diffamati con l’abuso. L’unico primo popolo dell’Australia è il suo Intermenschen. Come si entra nel National War Memorial, facce di indigeni sono raffigurate come statue dei gargoyles accanto a canguri, rettili, uccelli e altri “animali selvatici nativi”.
Quando ho iniziato a filmare questo segreto in reportAustralia 30 anni fa, una campagna globale era in atto per porre fine all’apartheid in Sud Africa. Trattandosi del Sud Africa, sono rimasto colpito dalla somiglianza tra la supremazia bianca e la disciplina difensiva dei liberali. Eppure nessun obbrobrio internazionale, nessun boicotaggio, disturbarono la superfice dell’Australia “fortunata”.
Osservare le guardie di sicurezza espellere persone aborigene dai centri commerciali ad Alice Springs; guidare a breve distanza dalle barbies suburbane di Cromwell Terrace fino al campo di Whitegate, dove le baracche di latta non hanno elettricità affidabile ed acqua. Questo è apartheid, o quello che Reynolds chiama, “il sussurro nei nostri cuori”.