sabato 29 settembre 2012

Personaggi: Kuki Gallmann: Premio Masi.

Personaggi: Kuki Gallmann: Premio Masi.



Kuki Gallmann, nata in veneto, ha scelto l'Africa come sua patria.
Dal 1972 vive infatti in Kenya, nella sua tenuta di Ol Ari Nyiro nella regione di Laikipia, al confine con la Great Rift Valley, dove ha aperto due piccoli ed esclusivi lodge e dove  è operativa la Gallmann Memorial Foundation, una fondazione che ha tra i suoi  obiettivi quello della conservazione dell'ambiente naturale e del suo sviluppo in armonia con la presenza umana.
Che cosa fa esattamente la Gallmann? racconta che vuole far conoscere l'Africa delle tradizioni, degli spazi sconfinati, delle radici.
Ospita piccoli gruppi e organizza safari, corsi di botanica e meditazioni indiane, attività didattiche e di studio della natura.





In Italia non ci torna quasi mai. Sono quarant'anni che Kuki Gallmann vive in Kenya e che dall'Africa lotta per il mondo.
Perché la sua battaglia per salvare gli elefanti dall'estinzione, non resti un problema solo di una parte del pianeta. "Se una specie scompare ne siamo tutti influenzati" ha spiegato la signora degli elefanti. Raggiunta al telefono nella sua Regione d'origine dove è arrivata per ritirare il Premio Masi, nato nel 1981 e che il 29 settembre celebra a Verona i cittadini veneti che si sono distinti per le loro storie di ordinaria eccellenza.
Come il direttore d'orchestra Andrea Battistoni, il direttore del centro di ricerche storiche di Rovigno, Giovanni Radossi, e il giornalista Gian Antonio Stella.

 


"Resto poco, devo tornare in Kenya, devo tornare in fretta", ha detto. La sua è una storia che non ha tempo da perdere.
Parla con voce decisa, velocissima, con l'accento italiano distorto dalle diverse lingue con le quali ha parlato negli anni. "Il mondo deve sapere cosa vuol dire salvare gli elefanti e comincia a farlo.


Tranne l'Italia, qui sembra che nessuno si renda conto della gravità della situazione. Il commercio di avorio sta portando all'estinzione di una specie, il compito di tutti è dare eco a un allarme che non va sottovalutato".
E' spazientita.
Kuki Gallmann trasmette una forza più preziosa dell'avorio di cui vuole fermare il commercio.
"E' un allarme vecchio il mio, eppure va rinnovato con più forza. Questo deve  farlo la stampa, come io devo tornare a difendere gli esemplari di elefanti che ancora camminano nella mia riserva.
Lottiamo 24 ore su 24 per impedire ai bracconieri di ucciderli, di prendere le zanne, di guadagnare per vivere", ha continuato la scrittrice, autrice tra vari romanzi, anche di Sognavo l'Africa (ed Mondadori, 1993).
Kuki Gallmann vive insieme alla figlia Sveva, produttrice, a Ol ari Nyiro, che significa il posto della primavera. Gestito dalla Galmann's Memorial Foundation, è un ranch di 100mila acri nella regione di Laikipia nella parte nord del Kenya. Ci passeggiano elefanti e rinoceronti neri. "Il mio Kenya è verde", ha spiegato.
Una foresta protetta, e da proteggere. "L'Africa è povera. I governi sono corrotti, l'avorio è un guadagno sicuro. Alcuni degli ultimi elefanti con grandi zanne vivono nello Tsavo, in Kenya.
Al mercato nero locale, una sola zanna di questa grandezza vale circa 5mila euro, 10 anni di paga per un operaio keniano non qualificato.
Cina e Giappone continuano a importarlo e pagano bene. Il meccanismo è incastrato. Ma è una battaglia che va fatta", ha aggiunto Kuki con parole concise, come se il tempo passato a parlarne possa toglierne a qualche altro animale in pericolo di vita. S
embra avere la testa in due zone diverse. Una parte resta vigile nella sua terra d'adozione, l'Africa. Il tono è quello di chi non sta diffondendo solo un messaggio ambientalista. Ma politico e economico.




Vive in una riserva dove è occupata a cacciare bracconieri anche a costo di essere ferita o di veder feriti quelli che lavorano con lei.

Chi non può coprirle le spalle, e resta lontano dal caldo di un Kenya ora in parte sotto le pioggie, almeno sia determinato nel passare parola. Diffonda l'allarme. "Aiuti", ha chiesto.

"Ci sono documentari, articoli, soprattutto negli Stati Uniti è un tema sentito. Quello che bisogna tentare in Italia è fare in modo che il governo firmi il trattato contro il contrabbando dell'avorio durante il prossimo convegno in Thailandia nel 2013. Io sarò lì. A breve termine spero che il parlamento keniota passi una legge che aumenti le pene per i cacciatori. Perché ora non sono sufficienti. Sarebbe un deterrente. A lungo termine bisogna cercare di ammazzare il mercato. Di stigmatizzarlo, scoperchiarlo, di togliere qualsiasi incentivo", ha continuato Gallmann. Spiegando veloce dati "che bisognerebbe conoscere", ha rimproverato.

Gli elefanti africani vengono massacrati in quasi tutto il continente africano. Uccisi per le zanne, nonostante il bando in vigore dal 1989 sul commercio internazionale dell'avorio. In quell'anno George H.W. Bush ne vietò unilateralmente l'importazione, il Kenya bruciò le sue 12 tonnellate di scorte e la Cites, organizzazione che vigila sul divieto, proclamò il suo bando internazionale, entrato in vigore l'anno dopo. Lo sottoscrissero 176 paesi, ma non il Vaticano. Mentre Zimbabwe, Botswana, Namibia, Zambia e Malawi avanzarono riserve. Nel 2008 il segretariato della Cites ha autorizzato la Cina ad acquistare avorio, con il benestare di Traffic e del Wwf e l'accordo degli Stati membri. Nell'autunno successivo Botswana, Namibia, Sudafrica e Zimbabwe hanno venduto all'asta più di 104 tonnellate d'avorio ai mercanti cinesi e giapponesi.





Numeri e date che la signora degli elefanti riassume con severità. Nel 2011 i bracconieri hanno ucciso almeno 25mila elefanti africani. Ma la cifra effettiva potrebbe essere persino doppia, oggi il fenomeno ha raggiunto i livelli più alti degli ultimi 10 anni.
Gli episodi più gravi si sono verificati nell'Africa centrale.
"Tutto fa pensare che in Cina l'industria dell'avorio sia destinata a crescere.
E' la Cina il problema principale.
Ma ora attori, atleti e personaggi pubblici sono venuti in Kenya a lanciare messaggi per scoraggiare il contrabbando", ha spiegato Kuki Gallmann.
In Cina il governo ha autorizzato l'apertura di almeno 35 fabbriche e 130 rivendite d'avorio, e finanzia corsi universitari per intagliatori, per esempio alla Beijing University of Technology.


 


Come l'inchiesta del National Geographic evidenzia nel numero in uscita il 29 settembre firmata dal giornalista investigativo Brian Christy, l'avorio è usato soprattutto per raffigurare immagini sacre.

E' il sentimento religioso, i suoi oggetti, a spingere il traffico illegale. Non solo palle da biliardo, tasti del pianoforte, manici delle spazzole.
Collaborano a questa strage di animali rappresentanti della chiesa cattolica nelle Filippine, ma anche monaci e fedeli buddhisti in Thailandia, oltre che in Cina.
Sull'isola di Cebu, nelle Filippine, il legame tra avorio e religione è così stretto che la parola garing, 'avorio', significa anche 'statua sacra'.
La battaglia di Kuki Gallmann ha avversari potenti. Lei non ha paura.
Ma fretta.